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    SOLIDARIETA' E TESTIMONIANZA A SAN LORENZO FUORI LE MURA

    CONVEGNO PROMOSSO DA 'IDENTITA' E CONFRONTI' - 'IL CONSULENTE RE' DI GIUGNO 2008 - DI MARTA PETROSILLO

     

    Come testimoniare oggi il Vangelo ed i valori cristiani?. L’Associazione “Identità e Confronti” ha organizzato martedì 20 maggio un incontro molto partecipato (oltre duecento le presenze) sul tema “Solidarietà e Testimonianza” nella Basilica romana di San Lorenzo fuori le Mura. E' intervenuto anche Giuseppe Rusconi

    Il pomeriggio è stato un crescendo di racconti in prima persona culminato in una tavola rotonda dedicata al martirio. “Comprendere chi siamo ed aprirci al confronto è la missione insita nel nome stesso della nostra associazione” ha spiegato Adriana Elena, animatrice di “Identità e Confronti”.

    Ma come si può dare prova dei valori cristiani oggi?. “In questo secolo denso di contraddizioni è ormai difficile riuscire a testimoniare Gesù” ha rilevato in apertura esclamato monsignor Enzo Dieci, vescovo ausiliare della diocesi di Roma. Il primo passo è quello di mostrare al mondo la gioia di essere cristiani senza limitarsi ad un’interpretazione nozionistica delle Scritture, ma vivendo in prima persona i principi racchiusi nel Vangelo. Unendosi poi all’appello di Benedetto XVI, preoccupato per l’emergenza educazione delle nuove generazioni, monsignor Dieci ha ribadito l’importanza dell’essere cristiani anche di fronte ai problemi sociali, come ad esempio l’immigrazione.

    “Accogliamo gli altri così che possano vedere la bellezza del dono che ci è stato fatto” ha incalzato padre Giacobbe Elia, superiore della Fraternità Missionaria Mariana. Anche don Ferdinando Colombo ha esaltato il principio di sussidiarietà, sottolineando l’importanza dei laici all’interno delle missioni, “soprattutto per i giovani che hanno bisogno di testimoni vicini a loro”.  Nel corso della prima tavola rotonda, “Esperienze di presenza dei cattolici nei paesi di missione”, oltre al vice presidente del Vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), anche gli altri relatori – delle Suore Angeliche di San Paolo, della Compagnia delle Opere, dell’Aifo -  hanno vissuto la testimonianza in prima persona. Tra loro suor Maria Liliana Ugoletti, missionaria delle Figlie della Carità Canossiane, che concretizzano in tutti e cinque i continenti l’ intuizione missionaria di Maddalena di Canossa.

    Il secondo momento della serata ha ristretto il campo al continente africano ed è stato animato dagli interventi di Rosalinda Corbi per il progetto “Harambee”,  di don Alessandro De’ Spagnolis (Africaprojet Onlus), di Alfonso Ippolito (“Convivium 2000) e di Martin Nkafu (docente universitario di filosofia, cultura e religione africana).

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    Dopo la presentazione dell’Associazione “identità e Confronti” da parte di Giancarlo Elena, di Africa o, come lui preferisce, di Afriche ha parlato con grande intensità padre Giulio Albanese, fondatore del Missionary Service News Agency (Misna) e direttore della rivista Popoli e Missione.  In molti hanno offerto la vita in nome della propria missione nel continente africano; un’azione dal valore inestimabile che ha dato i suoi frutti, come testimonia la diminuzione dei conflitti dal 2000 ad oggi. “Mi piace chiamarli i caschi blu di Dio – ha detto – una forza di interposizione non violenta fatta di uomini e donne che vivono concretamente l’esperienza del martirio”.

    Le parole di padre Albanese hanno introdotto l’ultima tavola rotonda, nel corso della quale i racconti diretti delle proprie esperienze hanno lasciato spazio ad un’interessante riflessione sul tema “Il martirio: legame tra i popoli diversi per cultura ma uniti nella stessa fede”.

    La Chiesa contemporanea è quella che ha conosciuto il maggior numero di martiri, di cui spesso ignoriamo il nome” ha rilevato Giuseppe Rusconi in veste di moderatore. Assassinati dal comunismo sovietico, cinese, coreano, cambogiano, vietnamita e altri. Sterminati nei lager della barbarie nazista. Massacrati in Armenia. Uccisi in Messico e in Spagna, nell’Italia della Repubblica di Salò e dai partigiani rossi, in America Latina, in Africa e in Asia,  dalla mafia e dalla camorra. Milioni di cattolici e milioni di cristiani di altre confessioni che non dobbiamo dimenticare in quanto, ha ricordato Rusconi, “il sangue dei martiri è seme dei cristiani ed il martirio è un elemento essenziale dell’ecumenismo”. “Si tratta di una folla impressionante di testimoni uccisi perché scomodi. Di cristiani che hanno dato testimonianza limpida dei propri valori, della propria umanità in tutto il mondo”. Testimonianze come queste sono divenute essenziali anche per fronteggiare la deriva relativistica del mondo occidentale. In una società in cui, ha messo in guardia il direttore de Il Consulente RE , il rischio non è quello del martirio classico, bensì quello dell’irrisione che “dai pulpiti massmediatici” si insinua soprattutto tra i giovani.

    Ha poi evidenziato Rusconi, salutando la presenza di Gianni Alemanno, che il neo-eletto primo cittadino romano sa “quanto è oggi necessaria una cultura nuova, non dominata dai  lustrini e dall’effimero, ma fatta di opere concrete, incisive, nel segno di una svolta culturale che riproponga valori fondamentali, condivisi da credenti e non credenti su vita, famiglia, sociale”. A riprova di tale sensibilità Gianni Alemanno ha tra l’altro rilevato : “Un confronto come questo è molto importante.  La nostra città è strutturalmente aperta e universale, ma il punto d’incontro con le realtà diverse deve partire da una profonda percezione d’identità, senza la quale non può esserci integrazione”. Il sindaco ha poi fermamente condannato l’incapacità mostrata dalla precedente maggioranza di mostrare solidarietà in Consiglio comunale a Benedetto XVI, dopo quanto accaduto all’Università La Sapienza. “Per cancellare questa grave offesa, durante il mio discorso di insediamento inviterò ufficialmente il Pontefice in Campidoglio”. La capitale trova infatti nel Papa, “nel suo rigore mite e gioioso”, un saldo punto di riferimento. “Così come Giovanni Paolo II ha sconfitto il comunismo portando il messaggio cattolico nell’Est, io credo che papa Ratzinger riuscirà a sconfiggere questa società molecolare caratterizzata dall’omologazione e dal consumismo”. Alemanno ha poi evocato valori importanti come il rispetto per la persona umana e la famiglia: “E’ ad essi che deve ispirarsi la globalizzazione – ha detto- così che Roma possa costituire un punto di riferimento e diffondere il messaggio di umanità e speranza. Sono convinto che i problemi materiali di questa città non troveranno soluzione senza una disposizione culturale scaturita da valori morali”.

    La tavola rotonda si è aperta con l’intervento di Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ma a san Lorenzo come fratello di don Italo Calabrò, “difensore dei poveri”. “La sfida di don Italo – ha detto Calabrò – era quella di applicare concretamente il Vangelo, non semplicemente di predicarlo. Per questo la sua vita è incomprensibile se non la si legge attraverso il Vangelo”. “La Chiesa è presente nei posti dove meno ci si aspetta” ha rilevato padre Efisio Locci, presidente di “Salute e Sviluppo” dei missionari Camilliani. I missionari di oggi rappresentano il valore della persona umana insegnataci da Cristo. Testimonianze “di solidarietà commovente” come quella, raccontata dalla teologa Mirella Susini, dei sette monaci trappisti francesi rapiti  e poi uccisi nel 1996 da esponenti dei Gruppi islamici armati in Algeria.

    L’Asia, un continente dove la Chiesa è minacciata, è stata il tema della testimonianza di  Vincenzo Faccioli di Asia News, l’agenzia del PIME diretta da padre Bernardo Cervellera. Nel suo intervento, asciutto ma allo stesso tempo toccante, Faccioli ha individuato le tre matrici del martirio cristiano in Asia: terroristica, in Iraq e nelle Filippine; interreligiosa, come in Pakistan, politica, in Cina, Crea, Vietnam.  Anche mons. Marco Gnavi, direttore dell’Ufficio ecumenismo e Dialogo del Vicariato di Roma, ha ricordato la “nube di militi ignoti della causa di Cristo”; sottolineando come “ciò che distingue i martiri di oggi è la loro somiglianza a noi contemporanei”. Basta entrare nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola tiberina, mausoleo dei ‘nuovi martiri’, per rendersene conto. Il saluto (e ringraziamento) finale è stato di padre Carmine De Filippis, ministro provinciale dei Cappuccini del Lazio.    

    lare dG�ni�v�xo Marini – i movimenti giusti. Intanto sono giunti il cardinale Salvatore De Giorgi e diversi vescovi pugliesi, altri da Roma. La folla ha ormai riempito il piazzale ed è impaziente. Primo falso allarme alle cinque meno cinque, con gran sventolio di bandiere vaticane; secondo alle cinque e cinque, ma il ronzio non è ancora quello giusto. Finalmente alle cinque e dodici, ecco un elicottero bianco che plana sopra Leuca e il santuario, posandosi sul tappeto verde steso a Punta Ristola: è lui, Benedetto XVI! Risuona il frisiniano Jesus Christ you are my life, le braccia cercano il cielo, gli sguardi vorrebbero penetrare dentro la carlinga per trovare l’amico. Dal mare gli echi dei botti, mentre le sirene delle barche dei pescatori si preparano ad accompagnare la papamobile. Dalla nostra postazione, ai margini del piazzale e ai bordi dello sperone, intravvediamo il corteo papale, che percorre il lungomare, sosta al porto (qui indoviniamo la folla in prevalenza giovanile ondeggiante nell’abbraccio, che scandisce “Bene-detto, Bene-detto”), risale e - annunciato dai movimenti dei fedeli, preceduto dalla sicurezza - svolta dopo l’ingresso del piazzale, passa davanti alla grande Croce del 1901: la folla è calorosissima, un mare di teste bianco e gialle, un grande coro da curva nord o sud come si preferisce.   

    Titolino: Il saluto del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

    Il Papa entra in Basilica dalla porta centrale, la Ianua coeli, adora il Santissimo, si raccoglie davanti all’immagine della Vergine, indossa in sacristia i paramenti (da notare la casula con il simbolo dell’ulivo), ritorna sul piazzale, accolto dal tripudio popolare. Nel saluto – ricco di contenuti ‘forti’ - monsignor De Grisantis evoca la tradizione che attribuisce a Pietro l’evangelizzazione dei luoghi: “Indipendentemente dalla fondatezza storica, riveste una grande importanza il fatto che la nostra gente intende con ciò far risalire la propria fede alla predicazione di Pietro”. Altra evocazione quella della fede delle prime comunità cristiane, che “ha affrontato e abbattuto qui il paganesimo rappresentato dal tempio alla Dea Minerva, che si ergeva maestoso su questa punta di terra, sostituendolo con un santuario dedicato alla Vergine Maria, stella del mare e stella della evangelizzazione”. Con tale spirito, pervasi da una fede “resa sempre più adulta e pensata”, anche i cristiani di oggi sapranno affrontare “la sfida del secolarismo e del relativismo dottrinale ed etico”. Il vescovo di Ugento non poteva poi  dimenticare l’insegnamento e l’esempio di monsignor Tonino Bello (di cui si è avviata da poco la causa di canonizzazione), che definiva la Vergine di Leuca come “Donna di frontiera”, perché “tesa non a separare, ma a congiungere mondi diversi”: essa “guarda ad Oriente e pertanto si pone come ponte tra Oriente ed Occidente, richiama e manifesta la vocazione della nostra terra ad essere terra di comunione tra tutti i credenti in Cristo e terra di incontro e di dialogo con tutti i popoli del Mediterraneo”. Monsignor De Grisantis ha infine ricordato il dramma della disoccupazione giovanile, in una regione d’Italia che abbisogna di “un ulteriore e più rapido sviluppo sociale, civile ed economico”.

    Titolino: L’omelia di Benedetto XVI

    Intenso l’applauso della folla, che si ripete all’inizio dell’omelia papale, quando Benedetto XVI saluta, citandoli, i vescovi De Grisantis e Ruppi, oltre alle autorità civili e militari. L’omelia è accolta invece in silenzio, con grande attenzione. Papa Ratzinger ha voluto una liturgia “dedicata a Lei, Stella del mare e Stella della speranza”, in un luogo “storicamente così importante per il culto della Beata Vergine Maria”. Nel santuario la fede di Maria si coniuga con quella di Pietro, “cui la tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in questa terra”. L’appellativo De finibus terrae “è molto bello e suggestivo, perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli”. Del resto il santuario “ci ricorda che la Chiesa non ha confini, è universale”. La Chiesa “è nata a Pentecoste” e “i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per essa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della comunione delle diversità. Data la sua localizzazione, la Chiesa in Puglia “possiede una spiccata vocazione ad essere ponte tra popoli e culture, (…) avamposto in tale direzione”. Forse qui il Papa pensava anche all’eredità bizantina del Salento, con i monaci basiliani presenti per diversi secoli fino al XVI. Tuttavia, ha ammonito Benedetto XVI, “a nulla vale proiettarsi fino ai confini della terra, se prima non ci si vuole bene e non ci si aiuta gli uni con gli altri all’interno della comunità cristiana”.  In un mondo sempre più individualista, siate riconoscibili “anche per il vostro servizio di animazione della realtà sociale”, ha proseguito. Tanto più necessaria nel Salento (“come in tutto il Meridione d’Italia”), dove “le Comunità ecclesiali sono luoghi dove le giovani generazioni possono imparare la speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene” ed essere portatrici di un “rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione morale, sulla preghiera”. Infine, ricordati i meriti dei monaci basiliani per la loro devozione alla Theotokos, il Papa ha invocato la stessa Madre di Dio: “Allargando lo sguardo all’orizzonte dove cielo e mare si congiungono, vogliamo affidarti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo e quelli del mondo intero, invocando per tutti sviluppo e pace: Donaci giorni di pace,/ veglia sul nostro cammino,/ fa’ che vediamo il tuo Figlio, / pieni di gioia nel cielo. Amen”.  

    Qualche nuvola porta un po’ di sollievo. Ma si avvicina il tempo dell’arrivederci. I colori del tramonto riempiono il cielo. L’inno conclusivo a Santa Maria de finibus terrae, mentre il Papa saluta i disabili e risponde alle acclamazioni della folla. Poi se ne va. Scende al porto, si reimmerge nel popolo in attesa fremente, prosegue sul lungomare. Decolla l’elicottero, tra lo sventolio irrefrenabile di bandiere e fazzoletti. Brindisi attende papa Ratzinger: l’accoglieranno in serata migliaia di giovani, guidati dall’arcivescovo Rocco Talucci. E il giorno dopo in settantamila lo festeggeranno e l’ascolteranno nel  piazzale di un porto particolarmente significativo per l’ecumenismo e la socialità. Da Santa Maria di Leuca i pellegrini ritornano alle loro case, stanchi di sicuro (per il caldo, per la lunghezza dei percorsi prescritti a piedi, per le emozioni provate) ma entusiasti nel cuore. Anche noi ripassiamo a Punta Ristola e imbocchiamo la litoranea, in cui restano le torri (Torre Vado, Torre Vado, Torre Mozza) e l’uso dell’aggettivo per residences e villaggi turistici (Cala Saracena, a Lido Marini l’ Arco del Saracino) ad evocare memorie corsare. Oggi invece – pur tra non pochi fatti inquietanti - è il tempo della speranza, del dialogo tra identità forti. Nel segno del messaggio lanciato da Benedetto XVI dall’alto del promontorio Japigio.       

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