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    INTERVISTA A GREGOR PUPPINCK

    INTERVISTA A GREGOR PUPPINCK - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI LUGLIO 2010

     

    Nell’intervista anche la questione dell’esposizione del Crocifisso esposto nelle aule scolastiche: sono ormai 20 i Paesi che sostengono l’Italia

     

    Lunedì 13 luglio 2010 abbiamo intervistato Grégor Puppinck. Chi è? E’ un avvocato che da più di dieci anni difende, con il suo Centro europeo per il diritto e la giustizia (ECLJ) i diritti dei cristiani in Europa. Lo fa in particolare presso il Consiglio d’Europa e la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. In tale veste da un paio d’anni si occupa del ricorso di Soile Lautsi contro l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, cercando anche di mantenere alta l’attenzione politica sull’argomento. Il fatto che oggi 20 Paesi sostengano l’Italia nel suo ricorso (il 30 giugno s’è dato avvio all’esame da parte della Grande Chambre) è sicuramente un segnale confortante e importante nell’attuale situazione di crisi europea: in tanti (più del previsto) non vogliono che Cristo scompaia dalla pubblica scena del Continente. Nella seconda parte dell’intervista abbiamo invece chiesto all’avvocato Puppinck un parere sulla multa di cento mila euro che il Governo Zapatero ha comminato al Gruppo Intereconomia per uno spot di Intereconomia TV giudicato lesivo della dignità degli omosessuali. E’ questo un episodio che Puppinck giudica molto inquietante e parte integrante del tentativo zapaterico di decristianizzare radicalmente la società spagnola. 

    Avvocato Puppinck, ci dica prima di tutto che cos’è il Centro europeo per il diritto e la giustizia, conosciuto come ECLJ…

    E’ un’organizzazione non governativa (ong), fondata nel 1998 da un gruppo di avvocati cattolici e protestanti (cui poi si sono aggiunti anche ortodossi). Riconosciuta dall’ONU, ha la sede a Strasburgo ed è accreditata presso il Consiglio d’Europa e la Corte europea per difendere la libertà religiosa su domanda delle chiese e comunità cristiane del continente. Se l’ECLJ è nata storicamente per accompagnare la transizione nell’Europa dell’Est dopo la caduta dei regimi comunisti, oggi la sfida più ardua è quella lanciata dal fondamentalismo islamico e dalla secolarizzazione.

    Quali sono stati i momenti più importanti fin qui nell’attività del Centro?

    Abbiamo partecipato alla difesa giuridica del Patriarcato greco-ortodosso di Costantinopoli e abbiamo lavorato con tenacia in occasione dei principali ‘casi’ riguardanti l’esercizio della libertà religiosa sottoposti al giudizio della Corte europea: riguardavano la Bulgaria, la Russia (per la legge sulla registrazione delle chiese non ortodosse), la Francia, la Germania (per il diritto dei genitori nell’educazione dei figli). L’affaire più importante è quello sviluppatosi attorno al ricorso della cittadina italiana di origine finlandese Soile Lautsi contro l’esposizione del Crocifisso nelle scuole pubbliche; come Lei sa il 3 novembre scorso una sezione della Corte di Strasburgo ha dato ragione alla Lautsi. Il governo italiano ha fatto ricorso contro la sentenza, appoggiato a tutt’oggi da altri venti Paesi…

    Oggi, 13 luglio, sono venti? Ma non erano dieci?

    Sì, ma si sono raddoppiati nelle ultime settimane. Oltre ad Armenia, Bulgaria, Cipro,. Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania, Russia e San Marino – che hanno inoltrato alla Corte una memoria scritta in difesa dell’esposizione pubblica del Crocifisso – oggi riscontriamo che anche Albania, Austria, Croazia, Ungheria, Macedonia, Moldavia, Polonia, Serbia, Slovacchia e Ucraina sono sulle stesse posizioni, a fianco dell’Italia. In totale, compresa l’Italia, sono già 21 su 47 i Paesi scesi in campo in difesa delle “radici cristiane”: un fatto veramente impressionante!

    In concreto qui come si è mosso il Centro?

     

    L’obiettivo era quello di contribuire, stimolandola, alla reazione politica, giuridica, culturale, sociale contro il rischio che il concetto di libertà religiosa venga annullato…

    Perché?

    La Corte ha tanto difeso la libertà religiosa da finire per garantirla impedendo… l’esercizio della religione! Noi abbiamo voluto dimostrare che il concetto di neutralità religiosa applicato allo Stato diventa un pronunciamento filosofico antireligioso.

    Avete agito anche a livello politico?

    Per difendere la legittimità dell’esposizione del Crocifisso nelle scuole e negli spazi pubblici, abbiamo cercato di mantenere il ‘caso’ nell’attualità politica interna del Consiglio d’Europa. Abbiamo perciò organizzato in aprile un seminario sull’argomento in seno allo stesso organismo, con il giurista Joseph Weiler, diversi altri professori universitari, essendo presenti i rappresentanti di 25 Paesi. Inoltre abbiamo chiesto di essere ammessi come “terzi”: una richiesta cui si sono associati 79 deputati guidati da Luca Volonté.

    Quale il bilancio che si può trarre da questa vostra mobilitazione?

    Intanto notiamo che politicamente la pretesa di certi giudici di imporre il modello secolarizzato occidentale all’insieme dell’Europa si è urtato a un’opposizione senza precedenti come già si è detto. Di fatto ventun Paesi han no difeso pubblicamente la legittimità della presenza di Cristo nella società: questo è l’aspetto più importante della situazione. Per quanto riguarda la decisione della Grande Chambre sul ricorso italiano, essa è prevista per l’autunno: a questo punto si può essere relativamente ottimisti.

    Avvocato Puppinck, passiamo a un altro ‘caso’: il gruppo mediatico spagnolo “Intereconomia” (di cui fa parte anche il settimanale cattolico “Alba”) è stato multato di centomila euro dal Ministero dell’Industria (Sottodirezione generale dei media audiovisivi) per uno spot trasmesso da Intereconomia TV e ripetuto in 273 occasioni tra il 22 luglio e il 17 settembre 2009. Nello spot – di una durata complessiva di 55 secondi – si contrapponevano “364 dias de Orgullo de la gente normal y corriente” al “Dia del Orgullo Gay”. 25 i secondi in cui si riprendevano momenti e protagonisti del Gay Pride spagnolo, una ventina quelli in cui apparivano in successione fotografie (tre ) della stessa giornata e altre di vita di famiglia normal y corriente. Il Ministero dell’Industria ha ritenuto che lo spot infrangesse la legge 25/1994 anti-discriminazioni e ha perciò sanzionato pesantemente “Intereconomia” (che ha fatto ricorso). Avvocato, Le chiediamo allora il Suo commento…

    Questo ‘caso’ è differente da quello del Crocifisso, ma mostra ugualmente uno degli aspetti di una politica – quella spagnola – di de cristianizzazione della cultura iberica. L’episodio secondo me è molto inquietante; la decisione viola in modo flagrante le regole della libertà di espressione definite nei Paesi democratici e sostenute dalla Corte europea di Strasburgo.

    Nel video incriminato vengono trasmesse immagini del Gay Pride spagnolo… vengono inquadrati partecipanti assai coloriti…

    Le immagini trasmesse sono choccanti in se stesse. Non è il video di “Intereconomia” a essere choccante, è il Gay Pride stesso. Mostrare le cose come sono fa parte del servizio normale di un massmedia e dunque non è “Intereconomia” ad aver reso tali immagini choccanti. Le domande che intervallano le immagini non incitano certo alla violenza o all’odio, ma si limitano a porre dei quesiti al buon senso, al senso morale del telespettatore. Il governo spagnolo non accetta che, attraverso le immagini, si solleciti la coscienza morale del pubblico. Poiché il rispetto del pluralismo come lo concepisce il governo spagnolo esclude il giudizio morale.

    Lo si è visto anche a proposito dell’insegnamento di una nuova educazione civica laicista nelle scuole… non si permette l’obiezione di coscienza…

    Sì, è la stessa mentalità. Si impone agli studenti e non si permettono giudizi dissonanti. Il pluralismo, promosso come strumento di decristianizzazione della cultura spagnola, pretende che si accettino tutti i comportamenti, ma esclude la facoltà del giudizio morale.

    Tra le domande in sovrimpressione nel video citiamo: Orgullosos…de que?Es esta la societad que quieres? Quieres que esto sea un ejemplo para tus hijos? E poi c’è la conclusione che contrappone “364 dias de Orgullo de la gente normal y curriente” al “dia del Orgullo Gay”: come giudica quest’ultima comparazione?

    L’affermazione non fa altro che riprodurre la realtà. Se esiste una giornata dell’orgoglio gay, vuol dire che tale orgoglio non è un fatto normale. La stessa organizzazione di tale giornata testimonia di una specificità che si distingue dalla normalità. Perciò non vedo nella comparazione nulla che possa offendere la realtà, costituendo un attentato al rispetto verso la persona. Ci vedo solo uno stimolo al telespettatore perché si ponga anche lui delle domande fondamentali.  

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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