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    UN RICORDO DI MONS. LUIGI NEGRI, EREDE CREDIBILE DI DON GIUSSANI

    UN RICORDO DI MONS. LUIGI NEGRI, EREDE CREDIBILE DI DON GIUSSANI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 4 gennaio 2022

     

    Domani, 5 gennaio 2022, i funerali a Ferrara (ore 10, basilica di San Francesco, presiede il card. Matteo Zuppi) e a Milano (ore 15, Duomo, presiede l’arcivescovo Mario Delpini).

    La vita terrena di mons. Luigi Negri, uno degli interpreti originari, più coerenti, più credibili, più vigorosi e più appassionati dell’insegnamento di don Giussani, si è conclusa venerdì 31 dicembre 2021 nella casa di cura della Sacra Famiglia a Cesano Boscone. Nato a Milano il 26 novembre 1941, da tempo era malato; fin quando ha potuto ha combattuto con coraggio e tenacia  - mai cedendo alla tentazione di inginocchiarsi al politicamente corretto - la ‘buona battaglia’ in seno alla Chiesa e alla società, fedele all’esempio del fondatore di Comunione e Liberazione. Apprezzava anche ‘Rossoporpora’. I suoi funerali si svolgeranno domani, 5 gennaio in mattinata a Ferrara (di cui fu arcivescovo dal 2012 al 2017, dopo essere stato vescovo di San Marino-Montefeltro, ivi nominato da Giovanni Paolo II nel 2005) e nel pomeriggio a Milano, in Duomo. Il fatto di aver ricevuto quest’anno gli auguri natalizi attraverso la sua segreteria e non da lui lasciava intuire la gravità della situazione sanitaria.  Lo vogliamo ricordare con quattro brani intensi tratti dalla sua biografia “Con Giussani – La storia&il presente di un incontro”, Edizioni Ares, 2021):

    . (pag. 21) Posso dire che, non solo per la mia persona, ma per generazioni e generazioni dopo la mia, Giussani e l’esperienza di Gioventù Studentesca hanno rappresentato una novità decisiva nel panorama scolastico italiano perché costituivano un importante e originale ambito educativo, fondamentale per la formazione di una cultura umana e cristiana, vera alternativa agli ideologismi che si sono susseguiti quasi senza soluzione di continuità nella scuola, dal marxismo al relativismo, fino al nichilismo.

    . (pag. 55) La più terribile tentazione, all’inizio della storia del Movimento di Comunione e Liberazione come adesso, è quella di parlare degli uomini in senso del tutto soggettivistico, emozionale, costruendo attraverso questo soggettivismo sentimentale delle iniziative, ricreative o culturali, che hanno più un carattere consolatorio che non missionario. Si rischia cioè di percorrere quella strada che porta verso quella ‘religione fai-da-te’, dalla quale ci ha messo in guardia papa Benedetto XVI, perdendo così l’oggettività dell’incontro con Cristo.

    . (pag. 56) Questa insistenza di Giussani sulla necessità di prendere posizione su quanto accadeva nel mondo non si limitò certo agli anni del suo insegnamento liceale. Anni dopo, quando entrambi insegnavamo in Università Cattolica, capitava spesso al lunedì mattina che arrivassimo assieme e ricordo bene come il suo occhio andasse subito a verificare se all’ingresso ci fossero dei manifesti del Clu (Comunione e Liberazione universitari) che esprimessero un giudizio cristiano sulla situazione attuale. Quando non c’erano, lo prendeva un’esagitazione difficilmente contenibile da me e investiva di domande il primo studente del Clu che incontrava: ‘ Secondo te non è successo niente tra venerdì, sabato e domenica su cui vale la pena di dire qualche cosa?’. I ragazzi rimanevano un po’ interdetti e, di solito, rispondevano un po’ esitanti: ‘Ma, sinceramente non sappiamo’. E lui ribatteva: ‘Come non lo sapete? Non leggete i giornali?’. Allora entrava nell’aula assegnata al Movimento di Comunione e Liberazione e convocava immediatamente una riunione; si faceva dire come mai non c’era stato un giudizio su quanto accaduto e, insieme ai ragazzi, faceva emergere gli avvenimenti su cui sarebbe valsa la pena di un intervento.

    . (pag. 109) Fin dai primi anni della storia del Movimento, Giussani invitava chiaramente noi ex-liceali, che iniziavamo a frequentare le università e i luoghi di lavoro, a portare la sfida della nostra presenza in quegli ambienti, anche se essi fossero stati ostili. Sempre di più, infatti, in quei luoghi il clima prevalente era quello della polemica nei confronti di qualsiasi presenza cristiana perché erano caratterizzati da una mentalità anticattolica e consumista che, soprattutto negli ambienti di alto livello, incominciava a diffondersi: la famiglia era ridicolizzata, la paternità e la maternità erano visti come follia. La missione è la sfida della fede al mondo e non può non subire l’attacco del mondo. Per questo la missione è anche un rischio, come ogni cosa umana, e per questo la valutazione degli eventuali possibili risultati è estranea alla mentalità della fede. Se valesse il criterio ‘facciamo le battaglie che siamo sicuri di vincere’, allora lo stesso Gesù non avrebbe combattuto la sua battaglia perché, per quanto fosse sicuro di vincere, sapeva che sarebbe dovuto passare attraverso la morte e, di fronte ad essa, ebbe molta paura.

      

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