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    CHIESA E UNGHERIA 1956: LA VOCE DI PADRE ADAM SOMORJAI O.S. B.

    CHIESA E UNGHERIA 1956: LA VOCE DI  PADRE ADAM SOMORJAI O.S.B. – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 26 ottobre 2016

     

    Dopo un’introduzione sull’accoglienza agli esuli ungheresi in Svizzera e nella Penisola (anche con le reazioni della Chiesa italiana), diamo la parola a padre Adam Somorjai che rievoca tra l’altro la grande vicinanza di Pio XII agli insorti di Budapest. Il benedettino indica anche alcune ‘corrispondenze’ singolari nella storia della Cristianità dell’Europa orientale in rapporto a iniziative papali.  All’Accademia d’Ungheria una mostra delle foto di Mario De Biasi e un documentario di Gilberto Martinelli. Per non dimenticare…

     

    Sono questi i giorni in cui si ricorda il sessantesimo anniversario della Rivoluzione ungherese, esplosa il 23 ottobre 1956 e repressa poi sanguinosamente dai carri armati sovietici in pochi giorni, a partire dal 4 novembre successivo. Due giorni fa abbiamo ripubblicato un’ampia e intensa testimonianza con valutazione di fatti e protagonisti, rilasciataci dal cardinale Peter Erdoe nel novembre di dieci anni fa per “Il Consulente RE” 10/06 (vedi in questo stesso sito nella rubrica: Interviste a cardinali).

     

    BELLINZONA: QUELLA LUNGA FILA DI PASTRANI SCURI NELLA NEVE

    Per parte nostra abbiamo sempre presente nella memoria visiva quella lunga fila di pastrani scuri che sfilarono nella neve davanti alla vecchia caserma di Bellinzona nel febbraio del 1957 tra due ali di folla commossa. In effetti gli esuli ungheresi in Svizzera (oltre diecimila) furono accolti con uno slancio di affetto e generosità mai riscontrato nella storia della Confederazione e, verosimilmente, mai più raggiunto in seguito. Dappertutto fioriscono collette, raccolta di generi alimentari. Partono dalla Svizzera sei vagoni carichi di tavolette di cioccolato e 600mila candeline, regalo degli alunni dell’intera Svizzera tedesca. Anche nel Ticino non mancano manifestazioni di solidarietà e iniziative concrete da parte degli studenti delle scuole medie superiori e di non poche parrocchie e organismi caritativi. Buona parte dei rifugiati si integrò poi in fretta e molto bene nel Paese e pure noi ricordiamo di aver avuto tra gli allievi del Ginnasio di Bellinzona Annamaria Kocsis, figlia di un ingegnere ungherese esule. Ingegneri, tecnici, operai specializzati: in genere erano queste le professioni dei rifugiati (tra loro anche un baritono che allietò poi con la sua voce possente le messe domenicali nella collegiata di Balerna, tra Mendrisio e Chiasso).

    In Italia l’accoglienza fu molto sentita e calorosa da parte della maggioranza dei cittadini: l’opinione pubblica anticomunista era infatti profondamente indignata da quanto successo. La politica si divise: alle massicce manifestazioni studentesche anticomuniste e alle prese di posizione inequivocabili della Democrazia cristiana, dell’area liberale e socialdemocratica, della destra missina, si contrapponeva la linea ufficiale del Pci (il più forte partito comunista dell’Occidente) che sposava la versione sovietica. Del resto Palmiro Togliatti, segretario del partito, nell’incontro del novembre 1957 a Mosca con il primo ministro della ‘normalizzazione’ sovietica Janos Kadar, lo complimentò per la ‘lotta eroica’ sostenuta contro gli insorti e gli chiese di differire l’impiccagione di Imre Nagy (primo ministro nei giorni della Rivoluzione) a dopo le elezioni italiane del 25 maggio 1958: in effetti Nagy fu impiccato il 16 giugno (insieme con Pal Maleter e il giornalista Miklos Gimes).

     

    DA LERCARO A MONTINI, DA SOCCHE A MAZZOLARI: DOLORE, INDIGNAZIONE, PREGHIERA E SOLIDARIETA’ DELLA CHIESA ITALIANA

    Dal canto suo la Chiesa italiana reagì con la solidarietà concreta offerta dalle Caritas  e da molte parrocchie, ma anche con iniziative sentite e clamorose, che ben simboleggiavano il clima dell’epoca. Ricordiamo che il cardinale Giacomo Lercaro fece listare a lutto le chiese della diocesi e suonare a morto le campane per alcuni giorni alla stessa ora, celebrando il 7 novembre nella basilica di san Petronio una solenne messa funebre per le vittime della repressione. Chiarissime le parole pronunciate dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI) nell’omelia pronunciata in Duomo dopo la processione penitenziale per i fatti d’Ungheria: Sciogliamo la nostra umile e potente confessione al Dio offeso, al Dio dimenticato, al Dio posposto ai tanti idoli terreni; e gli gridiamo la nostra fede, la nostra lode, la nostra obbedienza. Lui proclamiamo principio, Lui riconosciamo fine. (…) Ed è questo riconoscimento della Divinità che non solo ci fa comprendere il senso amarissimo dell’iniquità vilmente perpetrata sul piccolo e nobile Paese ungherese, ma che ci aiuta a scoprire l’aspetto grandioso e stupendo della sua eroica passione. Non è solo passione; è passione più fede, oggi, quella ungherese, per cui una sciagura nazionale assurge alla dignità di sacrificio, e proietta nel mondo i raggi di uno spirito invitto; è l’umanità conculcata che appare nel fulgore della sua dignità, è la libertà soffocata che alimenta in ogni spirito l’ansia della sua difesa, è la fede perseguitata che si testifica con l’incoercibile voce del martirio. 

    In una nota il vescovo di Reggio Emilia monsignor Beniamino Socche scrisse che il comunismo tiene sotto la più obbrobriosa schiavitù e con il terrore delle armi intere nazioni, pronto a far tabula rasa del popolo che non si sottomette, delle donne e dei bambini che macella per le strade con l’alzo a zero dei cannoni e delle mitragliatrici. (…) . E don Primo Mazzolari, nell’omelia del 4 novembre (inizio della massiccia repressione sovietica, con l’invasione del Paese da parte di 4mila carri armati), rilevò: Parlando questa mattina alla prima messa, avevo il presentimento di quello che, proprio in quel momento in cui celebravo, si compiva in Ungheria e particolarmente a Budapest. In una giornata come questa, non ci rimane davanti che il rifugio di questa invocazione: Dio, abbi pietà di noi; Cristo, abbi pietà di noi”. (NdR: queste informazioni le abbiamo tratte da “Budapest 1956”, antologia di documenti a cura di Sandro Chierici, Itacalibri, Castel Bolognese, 2006).

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    PADRE ADAM SOMORJAI: BUDAPEST SORPRESE, MA C’ERANO GIA’ STATI DEI SEGNI DI SPERANZA

    A questo punto ci siamo posti la domanda sull’atteggiamento che il Vaticano tenne verso gli insorti ungheresi. Se n’è parlato durante l’interessante Convegno promosso il 19 e 20 ottobre presso l’Accademia d’Ungheria in Roma (via Giulia 1, Palazzo Falconieri) per bocca tra gli altri di padre Adam Somorjai, benedettino di Pannonhalma e da anni al servizio della Santa Sede in Segreteria di Stato. Siamo perciò saliti sull’Aventino a Sant’Anselmo e abbiamo chiesto al sessantaquattrenne religioso ungherese di rievocare la posizione vaticana in quell’anno drammatico per la storia d’Europa.

    Padre Adam, fu una sorpresa per la Santa Sede lo scoppio dell’insurrezione a Budapest quel 23 ottobre 1956? 

    Tutti erano sorpresi, ma a dire il vero alcuni segni potevano lasciar presagire che sarebbe successo qualcosa di grosso nell’Europa sotto il tallone sovietico. A febbraio 1956 al XX Congresso del Pcus il segretario Nikita Kruscev aveva dato il via alla destalinizzazione. La Polonia a giugno aveva conosciuto la rivolta di Poznan, che, pur repressa sanguinosamente, aveva avuto importanti conseguenze: furono liberati il cardinale Stefan Wyszyński e il comunista ‘titoista’ Wladimir Gomulka, cui furono affidate le redini del partito tra il 19 e il 21 ottobre 1956. Gomulka pragmaticamente consentì alla Chiesa cattolica di usufruire di uno spazio minimo di libertà. In Ungheria il segretario generale del partito, lo staliniano Matyas Rakosi, fu sostituito dal suo ex-luogotenente Ernö Gerö. Fu riabilitato il comunista stalinista Laszlo Rajk, già feroce ministro degli interni ungherese tra il 1946 e il 1948, successivamente impiccato nel 1949, senza essere sepolto, essendo stato accusato di tradimento per aver complottato con Tito, Vaticano e Stati Uniti: i sui funerali si svolsero a Budapest il 6 ottobre 1956, presente una grande folla…

    Un altro grande funerale ha avuto un’importanza rilevante nella storia ungherese, quello di Imre Nagy… 

    Sì, impiccato nel 1958, perché fosse riabilitato dovette passare una generazione e il 16 giugno 1989 si svolsero i suoi funerali solenni. C’era ancora il regime comunista, che temeva molto questi funerali. E’ in quell’occasione che un giovane di nome Viktor Orban che aveva fondato con una trentina di persone un movimento di opposizione (Fidesz)– insomma l’attuale primo ministro ungherese – riuscì a prendere la parola e a chiedere elezioni libere e il ritiro delle truppe sovietiche. Un intervento quello del giovane Orban che destò grande impressione nell’opinione pubblica.

    Padre Adam, i cattolici parteciparono all’insurrezione del 1956? In quale dimensione? 

    Due terzi degli ungheresi erano battezzati. Le chiese d’Ungheria nei giorni della Rivoluzione erano affollatissime: si pregava e si sperava nell’aiuto dell’Onnipotente. Dopo la repressione si svuotarono: “Dio non ha esaudito le nostre preghiere”. Lo stesso atteggiamento fu tenuto verso l’Occidente. Gli ungheresi erano convinti che l’Occidente li avrebbe aiutati, come lasciava presagire Radio Europa libera da Monaco con una lunga serie di trasmissioni speciali. Si parlava dell’invio da parte del generalissimo Franco di una divisione spagnola. L’Austria però non permise agli spagnoli il sorvolo del proprio territorio: l’Unione Sovietica aveva da poco accettato di ritirare la propria tutela militare sul Paese, in cambio però di un’Austria neutrale.

     

    LA GRANDE COMMOZIONE DI PIO XII SI TRADUCE IN TRE BREVI ENCICLICHE IN OTTO GIORNI

    Veniamo all’atteggiamento della Santa Sede verso l’Ungheria del 1956… 

    Dice tutto il comportamento di Pio XII, che in quei giorni eroici pubblicò tre brevi encicliche (tra il 28 ottobre e il 5 novembre), si rivolse al mondo con un radiomessaggio (10 novembre), inviò un telegramma di felicitazioni e di speranza (31 ottobre) al cardinale Jozsef Mindszenty liberato poche ore prima e a tutti i cattolici ungheresi.

    Qualche dettaglio sulle encicliche… 

    E’ giusto ricordare che esse furono precedute dalla lettera apostolica del 29 giugno 1956, intitolata Dum maerenti animo (Mentre con l’animo afflitto), in cui papa Pacelli ricorda le sofferenze della Chiesa nell’Est europeo e invita tutti i cristiani alla preghiera, in particolare per polacchi e ungheresi. Il 28 ottobre Pio XII promulgò l’enciclica Luctuosissimi eventus: Gli eventi luttuosissimi da cui sono colpiti i popoli dell’Europa orientale, e soprattutto l’Ungheria a Noi carissima, insanguinata al presente da una terribile strage, profondamente commuovono il Nostro animo paterno; e non solamente il Nostro, ma certamente anche quello di tutti coloro a cui stanno a cuore i diritti della civiltà, la dignità umana, e la libertà dovuta ai singoli e alle nazioni… 

    Al lutto seguono gioia e dolore… 

    Sì, dopo l’instaurazione del governo Nagy e il ritiro delle truppe sovietiche, il Papa scrive il primo novembre la Laetamur admodum (Motivo di grande letizia): E’ per Noi motivo di grande letizia il sapere che non solo l’episcopato del mondo cattolico, ma anche gli altri ecclesiastici e i fedeli con spontaneo slancio hanno corrisposto al Nostro invito, rivolto loro con recente lettera enciclica, innalzando al cielo pubbliche suppliche per renderlo propizio. Vogliamo pertanto (…) ringraziare Dio perché, mosso da tante preghiere (…) sembra finalmente spuntare per i popoli della Polonia e dell’Ungheria una nuova aurora di pace fondata sulla giustizia…. Ma il 5 novembre, invasa l’Ungheria dall’Armata Rossa, prevale il dolore, nella Datis nuperrime (Con la recentissima lettera): Le notizie che in un secondo tempo sono giunte hanno riempito l’animo Nostro di una penosissima amarezza; si è saputo cioè che per le città e i villaggi dell’Ungheria scorre di nuovo il sangue generoso dei cittadini che anelano dal profondo dell’animo alla giusta libertà; che le patrie istituzioni, non appena costituite, sono state rovesciate e distrutte, che i diritti umani sono stati violati e che al popolo sanguinante è stata imposta con armi straniere una nuova servitù. (…) Le parole che Dio rivolse a Caino: La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra (Genesi 4,10) hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia c’insegna…

     

    IL RADIOMESSAGGIO DEL 10 NOVEMBRE 

    Finché si arriva al Radiomessaggio del 10 novembre… 

    E’ un appello pressante e vibrante al mondo: Al di sopra di ogni altro incubo grava sugli animi il significato dei luttuosi fatti ungheresi. L’universale spontanea commozione del mondo, che l’attenzione per altri gravi eventi (NdR: Suez) non giova a sminuire. Dimostra quanto sia necessario e urgente il restituire la libertà ai popoli che ne sono stati spogliati. Può il mondo disinteressarsi di questi fratelli, abbandonandoli al destino di una degradante schiavitù? Certamente la coscienza cristiana non può scuotere da sé l’obbligo morale di tentare ogni mezzo lecito, affinché venga ripristinata la loro dignità e restituita la libertà

     

    QUATTRO SINGOLARI ‘CORRISPONDENZE’ NELLA STORIA DELLA CRISTIANITA’ DELL’EUROPA ORIENTALE

    Padre Adam, Lei nella Sua relazione del 19 ottobre all’Accademia d’Ungheria ha attirato l’attenzione su quattro ‘corrispondenze’ che colpiscono se si guarda alle vicende della Cristianità nell’Europa orientale. Già il titolo della relazione ne indicava una: “Tra la Lepanto ungherese (Belgrado 1456) e il suo quinto centenario (Budapest 1956)… 

    Incominciamo proprio da quest’ultima. Il 29 giugno 1456 (tre anni dopo la conquista ottomana di Bisanzio) papa Calisto III pubblicò la Lettera apostolica (detta anche Bolla) Cum his superioribus annis, in cui invitava la Cristianità alla preghiera contro la minaccia turca. Il 22 luglio 1456 la battaglia di Belgrado si conclude con la vittoria cristiana. Il 29 giugno 1956 papa Pio XII cita espressamente il cinquecentesimo della Lettera di Calisto III e invita alla preghiera per la ‘Chiesa del silenzio’.

    Seconda corrispondenza… 

    Il 6 ottobre 1956 a Budapest, come ho detto più sopra, si svolsero i funerali solenni del riabilitato Laszlo Rajk, con la partecipazione di almeno centomila persone. Si può dire che il 6 ottobre fu una sorta di preludio del 23 ottobre. Il 7 ottobre, poi, a Roma fu beatificato papa Innocenzo XI, il pontefice che riuscì a unire in una lega l’imperatore d’Austria e il re di Polonia: l’11/12 settembre 1683 i turchi furono costretti ad abbandonare l’assedio di Vienna. Nell’allocuzione trasmessa dalla Radio vaticana, Pio XII definì Innocenzo XI come “salvatore della Cristianità dall’invasione dei turchi”.

    Belgrado (la Lepanto ungherese), Vienna da una parte e dall’altra parole e gesti di Pio XII. Anche la terza corrispondenza palesa tale rapporto con Roma? 

    Guardi Lei se non è curiosa questa corrispondenza. Il 23 ottobre 1956 incomincia la Rivoluzione di Budapest e il 23 ottobre è la festa liturgica di san Giovanni da Capestrano Ofm, predicatore, missionario e guerriero. Con lui Giovanni Hunyadi (un principe ungherese di origine rumena), insieme con soldati di altri popoli dell’Europa orientale e balcanica, ha vinto la battaglia di Belgrado del 1456: una vittoria che fu di tutti i popoli cristiani della regione.

    Della quarta abbiamo già parlato: è costituita dalle tre encicliche di Pio XII nei giorni della Rivoluzione ungherese… 

    Mi lasci citare ancora le feste liturgiche derivate da tali ‘corrispondenze’. Il giorno dopo la notizia della vittoria di Belgrado (1456) fu fissata la liturgia della Trasfigurazione del Signore (6 agosto). La vittoria di Lepanto (1571) fu occasione per la festa del 7 ottobre (prima di ‘Nostra Signora della Vittoria’ con Pio V, poi ‘Regina del Rosario’ con Gregorio XIII). La vittoria di Vienna (1683) originò la festa del Nome di Maria (con san Pio X fissata al 12 settembre).

     

    MEMORIA E PAURA DEL ‘TURCO’: BLOCCATA L’INVASIONE DI  MIGRANTI DEL 2015

    Per concludere: tutte queste ricorrenze gloriose nella lotta contro i turchi permangono in qualche modo nell’odierna identità ungherese? 

    Direi proprio di sì e ciò permette di capire meglio la sensibilità degli ungheresi nei confronti delle migrazioni dei popoli islamici. Nell’estate del 2015 sono stato per alcune settimane in Ungheria, proprio nel momento in cui esplodeva numericamente la questione dei migranti. C’ero, ho visto. Si è detto e scritto molto di falso e tendenzioso sull’Ungheria. Se il migrante arriva alla frontiera e ha un passaporto, è benvenuto. Se ne arrivano contemporaneamente mille - senza passaporti perché le ONG finanziate dal miliardario americano di origine ungherese Soros li hanno fatti buttar via - la situazione diventa incontrollabile. Si dichiarano tutti siriani e tutti sono nati il primo gennaio. Nessuno scrive di questo. Quella dell’anno scorso era una vera invasione! Oggi di migranti ne arrivano 10-15 al giorno e possono essere accolti nella dignità. La realtà dell’Ungheria è questa, ma noi siamo demonizzati e non siamo neanche di moda in questa Unione europea a geometria variabile. 

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    BUDAPEST 1956: IN MOSTRA LE FOTO VERE E DRAMMATICHE DI MARIO DE BIASI 

    Chi era Mario De Biasi, morto nel 2013? Il fotografo del settimanale ‘Epoca’ che il 24 ottobre raggiunse – con il giornalista della stessa testata Massimo Mauri – raggiunse Budapest in fiamme. Le sue fotografie restano un documento visivo fondamentale per quei giorni, anche perché solo un altro noto fotografo austriaco, Erich Lessing, era presente a documentare speranze e tragedie della Rivoluzione ungherese. Fino al 6 novembre un’ottantina di foto di De Biasi sono in mostra presso l’Accademia d’Ungheria (via Giulia 1, lunedì-venerdì 8.30-19.30, sabato e domenica 10-13 e 14-18)). Inaugurata il 19 ottobre prima del Convegno sulla Rivoluzione ungherese, la mostra trasmette senza retorica l’immagine di una realtà di passione, di speranza, di rabbia e di dolore. Si imprimono nella memoria del visitatore le immagini della battaglia di Budapest, la crocerossina Julia Sponga con il basco e la benda sul viso, le donne di ogni età accanto agli studenti, l’assalto alla sede del Partito comunista e la vendetta contro gli agenti della polizia politica, una ‘guerrigliera’ quattordicenne, un carro armato sovietico contrassegnato col numero 805, i ‘Ragazzi della via Pal” alla battaglia, l’eroico cardinal Mindszenty appena liberato dall’esercito ungherese… ed anche una mamma, un papà, tre pargoli su una bicicletta e un fagotto in marcia verso il confine austriaco.  Trafiggono sempre  le commoventi copertine di ‘Epoca’ del 4 novembre 1956 (con la bandiera ungherese nel taglio basso di copertina e il grande titolo “Dio salvi l’Ungheria”), dell’11 novembre (36 pagine di fotografie sotto il titolo “L’agonia di Budapest”), di Natale (“Queste fotografie sono il ritratto di una città europea che si è sacrificata per la libertà e che, tuttavia, non rinuncia a festeggiare il Natale sostenuta dalle preghiere di tutto il mondo libero”.

                                                 

    UN DOCUMENTARIO DI GILBERTO MARTINELLI: MCMLVI (1956)

    La sera del 19 ottobre, poi, è stata offerta la possibilità di vedere il documentario di Gilberto Martinelli intitolato MCMLVI (1956) sulle reazioni di Roma agli eventi ungheresi. Anche qui senza fronzoli, senza retorica, Martinelli è riuscito a ridare con verità ed equilibrio il clima che in quei giorni si respirava nella capitale e in tutta Italia. Sullo schermo le immagini dell’accoglienza alla frontiera italo-austriaca, con i rifugiati applauditi dalla popolazione e riforniti di beni alimentari e coperte. Sfilano diversi esuli testimoni, come il noto regista e scrittore Giorgio Pressburger (“Tutta la gente ci guardava con una partecipazione incredibile” – “Non mi sembrava vero che uno straniero potesse essere accolto così”), una crocerossina che evocava l’impegno della sua organizzazione e delle altre di impronta caritativa, lo stesso padre Somorjai intervistato qui sopra; rievocati anche i ‘sì’ all’invasione e repressione sovietica da parte di Palmiro Togliatti, Giorgio Amendola (in un comizio: “Ci si aspetta che l’URSS intervenga al più presto” – ovazioni), Giorgio Napolitano (si pentì nel 2006), Pietro Ingrao. Un manifesto critico verso l’intervento sovietico in Ungheria fu invece firmato da 101 intellettuali di area comunista: il Pci li isolò, alcuni lasciarono il partito, altri ritrattarono. Nel bel documentario di Martinelli – prodotto da Giangabriele Foschini e Aron Sipos) anche Pio XII (con la registrazione del radiomessaggio del 10 novembre), le processioni penitenziali con le fiaccole, le manifestazioni della destra studentesca e tanto altro. Da notare le canzoni originali romane di Emilio Stella, le musiche di Andrea Ridolfi e Vito Abbonato, la fotografia di Giancarlo Leggeri, che ridà la bellezza inimitabile di Roma.

     

    PER NON DIMENTICARE…

    DOMENICA 4 NOVEMBRE 1956 

    Dispacci giunti alla sede dell’Associated Press di Vienna dalla redazione del quotidiano ungherese Szabad Nep (Un popolo libero).

    Dalle prime ore di stamane truppe sovietiche stanno attaccando Budapest e la nostra popolazione…. Annunciate al mondo il proditorio attacco alla nostra lotta per la libertà… Le nostre truppe sono già impegnate in combattimento…Aiuto! Aiuto! Aiuto! Sos! Sos! Sos!... Hanno appena rovesciato un tram da usare come barricata vicino a questo edificio. Qui dentro i giovani stanno preparando bottiglie molotov e bombe a mano per combattere contro i carri armati… Granate di grosso calibro scoppiano nelle vicinanze: in aria rombano aerei a reazione…(…) Ora ricomincia la sparatoria. Sparano su di noi…. Che cosa stanno facendo le Nazioni Unite?Qui nel palazzo della stampa ci sono fra le 200 e le 250 persone, di cui 50 sono donne. I carri si avvicinano. Entrambe le stazioni radio sono in mano ai ribelli, che stanno trasmettendo l’inno nazionale. Noi terremo duro fino all’ultima goccia di sangue…. Continua la costruzione delle barricate. Il Parlamento e le sue vicinanze sono pieni di carri armati… gli aerei ci sorvolano, ma non riusciamo più a contarli, sono troppi. I carri avanzano in lunghe colonne…Ci hanno appena riferito che truppe americane saranno qui entro uno o due ore… I nostri ragazzi sono sulle barricate e chiedono altre armi e munizioni. Ci sono violentissimi combattimenti nel centro della città. Nel nostro edificio ragazzi di quindici anni stanno fianco a fianco a uomini di quaranta. Non preoccupatevi per noi. Noi siamo forti, anche se siamo una piccola nazione. Finiti i combattimenti, ricostruiremo la nostra infelice patria. Informateci su tutto quanto fa il mondo per aiutare l’Ungheria. Non preoccupatevi…bruceremo i vostri dispacci appena li avremo letti… (poi la voce del cronista si ammutolì per sempre – da Victor Sebestyen, Budapest 1956, Rizzoli editore, 2006, Milano)

     

     

     

     

     

     

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