CRISTIANI M.O. / INCONTRO DI BARI - RAPPORTO AIUTO CHIESA CHE SOFFRE

CRISTIANI M. O. /INCONTRO DI BARI – RAPPORTO AIUTO CHIESA CHE SOFFRE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 5 luglio 2018

 

Alcune note sull’incontro ecumenico di preghiera e di ascolto di sabato 7 luglio a Bari, sul tema dei cristiani perseguitati nel Medio Oriente. Una conferenza-stampa con i cardinali Sandri e Koch. Presentato mercoledì 4 luglio il rapporto annuale di ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ internazionale. Un concerto e delle cifre controcorrente e rallegranti.

 

Annunciato il 25 aprile, l’incontro ecumenico per i cristiani del Medio Oriente si svolgerà sabato 7 luglio in un luogo simbolo come Bari, nel segno di san Nicola. Papa Francesco, coerentemente con l’interesse sempre mostrato per le vicende tragiche di quelle terre, presiederà la giornata, che prevede tre momenti principali: la venerazione delle reliquie del santo (comune a cattolici e ortodossi), la preghiera – insieme con i fedeli – sul lungomare, il dialogo a porte chiuse dentro la Basilica, che durerà due ore e mezzo e sarà introdotto da una relazione di mons. Pierbattista Pizzaballa (amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme). Poi, liberate sul sagrato alcune colombe, il papa e i capi delle Chiese e comunità cristiane del Medio Oriente si ritroveranno per altre due ore durante il pranzo.

Ci si può chiedere se incontri del genere non siano inutili: in effetti la ragione suggerisce che molto difficilmente il Medio Oriente potrà essere pacificato a breve o medio termine. E’ facile anche prevedere che il calvario dei cristiani sostanzialmente proseguirà. Tuttavia si può anche legittimamente ritenere che l’appuntamento di Bari non sia superfluo. Un po’ per la simbologia eccezionale legata all’evento, posto sotto la protezione di un santo venerato sia dai cattolici che dagli ortodossi. Un po’ per la solennità che la presenza (che presumiamo molto partecipe) di papa Francesco conferisce all’incontro. Un po’ perché la speranza ragionevole è che Bari sia una tappa importante verso un’unità d’azione effettiva delle confessioni cristiane in Medio Oriente, una compattezza che accrescerebbe anche il loro peso ‘politico’ per il futuro della regione.

Un incontro di tal genere è stato chiesto negli anni scorsi più volte sia da singoli vescovi in udienza papale che attraverso un appello del febbraio 2016 a Francesco inoltrato dal patriarca maronita, cardinale Béchara Raï, in nome degli altri patriarchi cattolici, con il sostegno anche ortodosso. A Bari è confermata poi la presenza ufficiale del Patriarcato ortodosso di Mosca con il metropolita Hilarion: se è vero che la Russia non è geograficamente in Medio Oriente, tale presenza denota tuttavia un marcato interesse delle parti in causa a una accresciuta collaborazione sul terreno.

Durante la conferenza-stampa in Vaticano in vista dell’incontro, svoltasi martedì 3 luglio e caratterizzata dagli interventi introduttivi dei cardinali Leonardo Sandri (prefetto della Congregazione per le Chiese orientali) e Kurt Koch (presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani), quest’ultimo ha riferito di una telefonata sulla Siria, intercorsa ad aprile tra il patriarca russo Kirill e il Papa, a dimostrazione della comune preoccupazione di Mosca e della Santa Sede per la situazione dei cristiani in Medio Oriente. Tale telefonata non è stata però all’origine dell’incontro di Bari, già in calendario da tempo come sviluppo importante e naturale della comprovata sollecitudine papale sull’argomento (vedi ad esempio la veglia in piazza San Pietro del settembre 2013 in occasione della Giornata di digiuno e preghiera per la Siria).

C’è chi si è chiesto se l’incontro di Bari non potesse essere allargato anche a musulmani ed ebrei: Leonardo Sandri ha però precisato, pur non negando la suggestione della proposta, che esso è stato pensato in primo luogo per evidenziare la solidarietà tra i cristiani mediorientali di ogni Chiesa o comunità.

Di ecumenismo “della vita, di santità, del sangue” in Medio Oriente ha parlato il cardinale Koch, riecheggiando quanto evidenziato più volte da papa Francesco. Il porporato svizzero-tedesco ha anche riproposto quattro convinzioni su cui si fonda l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso il Medio Oriente. La prima: “I cristiani rimarranno nella regione solo se la pace sarà ristabilita”. Koch ha ricordato che, se in Medio Oriente i cristiani rappresentavano il 20% della popolazione all’inizio del Novecento, oggi sono ridotti al 4%. Seconda convinzione: “Non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani, elemento essenziale di equilibrio nella regione”. La terza: “E’ necessario proteggere i diritti di ogni persona e di ogni minoranza, compresi il rispetto della libertà religiosa e dell’uguaglianza davanti alla legge basato sul principio di cittadinanza a prescindere dall’origine etnica o dalla religione”. Qui Koch ha citato un’affermazione “incisiva” del confratello Pietro Parolin, Segretario di Stato: “I cristiani non vogliono essere una ‘minoranza protetta’ e benevolmente tollerata. Essi vogliono essere cittadini i cui diritti sono difesi e garantiti assieme a tutti gli altri cittadini” (università Lateranense, 27 settembre 2017). Quarta convinzione: “E’ urgente proseguire il dialogo interreligioso”, perché “non c’è un’altra strada”, come rileva papa Francesco.

 

AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE: UN CONCERTO, UN RAPPORTO, UNA CRESCITA CONTROCORRENTE

Di cristiani in Medio Oriente si è parlato anche mercoledì 4 luglio, in occasione della presentazione del Rapporto annuale della Fondazione pontificia internazionale “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS). Nella sede trasteverina e vaticana di San Calisto sono stati illustrati i diversi aspetti dell’aiuto che ACS porta ai cristiani perseguitati in tutto il mondo e dunque anche in Iraq e in Siria. E’ un servizio importante questo che recentemente è stato connotato da gesti di grande visibilità mediatica, come quando il Colosseo, l’Abbazia di Westminster, la Basilica del Sacro Cuore a Montmartre, la statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro sono stati illuminati di rosso.

Numerosa anche la partecipazione al concerto del 26 giugno (promosso da ACS Italia), svoltosi nella piazza d’armi dei Carabinieri di viale Giulio Cesare a Roma, in cui in particolare hanno portato la loro testimonianza cruda e drammatica i neo-eletti cardinali Louis Raphael I Sako (iracheno, patriarca di Babilonia dei caldei) e Joseph Coutts (pachistano, arcivescovo di Karachi). Introdotta dal cardinale Mauro Piacenza (presidente di ACS internazionale), la serata ha visto per la prima volta la Banda dell’Arma dei Carabinieri impegnata nell’esecuzione di musica sacra per i cristiani perseguitati (tra l’altro il ‘Corale Sant’Antonio’ di Haydn, ‘Jesus bleibt meine Freude’ di J.S.Bach, l’ ‘Ave Maria’ dall’ ‘Otello’ di Verdi, l’Oratorio ‘La Resurrezione’ di Perosi). Mentre risuonavano le note della ‘Virgo fidelis’ e dell’Inno di Mameli, la facciata interna della piazza d’armi si è anch’essa colorata di rosso.  

Torniamo alla presentazione a San Calisto, di cui vorremmo evidenziare alcuni spunti. Per quanto riguarda il Medio Oriente (e non solo) la ‘filosofia’ di ACS si fonda sulla convinzione che l’aiuto più incisivo ai cristiani perseguitati consiste nel promuovere il ritorno alle loro case: un ‘aiutarli a casa loro’ che si evidenzia ad esempio nella piana di Ninive, dove quasi 13mila abitazioni sono state distrutte totalmente o parzialmente dal terrorismo islamico. Lì ACS – in collaborazione con le Chiese locali e altre organizzazioni caritative – ha finanziato la ricostruzione di centinaia di case e ha così contribuito al ritorno di molte famiglie: complessivamente nella piana di Ninive (dati di maggio 2018) sono tornati quasi novemila dei ventimila nuclei sfollati.

In Iraq l’impegno complessivo di ACS internazionale si è quantificato nel 2017 in 9,3 milioni di euro, di cui 4,7 per l’aiuto alimentare e 1,9 per l’affitto di alloggi a beneficio di circa 12mila famiglie. Importante il sostegno finanziario per la ricostruzione di chiese o infrastrutture ad uso di culto. In Siria l’impegno nel 2017 è ammontato a 5,7 milioni di euro, di cui 4,7 milioni per aiuti di emergenza (alimentari, indennità abitative, assistenza sanitaria, formazione). In Libano, Paese – ha rilevato il presidente esecutivo di ACS internazionale Thomas Heine-Geldern - dalla condizione drammatica per la presenza massiccia di rifugiati siriani, la Fondazione ha aiutato per 5 milioni di euro, in attesa che la situazione si chiarisca politicamente.

Globalmente nel 2017 ACS internazionale ha concretizzato oltre 5300 progetti di aiuto in tutto il mondo grazie alla generosità di circa 370mila donatori che hanno versato quasi 125 milioni di euro. Da notare che l’82,5% di tale somma viene utilizzata per le spese relative alle missioni, mentre l’amministrazione pesa solo per il 7% (un dato da notare positivamente).

Sempre nel 2017 gli aiuti hanno riguardato – se consideriamo l’insieme dei 149 Paesi beneficiari – la costruzione ricostruzione di chiese (32,8%), l’assistenza in caso di emergenza (15,7%), la formazione di sacerdoti e religiosi (12,1%). Tra le voci quella (rilevante, 15,4%) delle “Offerte per le intenzioni delle messe”: sono donazioni in denaro vincolate alla richiesta di celebrare una Messa per intenzioni particolari. Ebbene nel 2017 sono state celebrate oltre un milione e mezzo di tali Messe e conseguentemente si sono potuti aiutare più di 40mila sacerdoti, che utilizzano tali donazioni non solo per il proprio sostentamento, ma anche per quello della parrocchia.

Nel 2017 resta l’Africa il continente maggiormente aiutato (con il 29,5% della somma globale), seguito dalla zona mediorientale (21,2%), dall’Asia (15,7%), dall’America latina (dove preoccupa sempre più la situazione in Venezuela, Guatemala, El Salvador, Honduras), dall’Europa occidentale/orientale (14,5%, vedi Ucraina, in cui pesano “criminalità, corruzione e guerra”).

Alla presentazione, introdotta dal presidente di ACS Italia Alfredo Mantovano e dal cardinale Piacenza (che ha evocato le origini pacelliane dell’idea di ACS e ha evidenziato come il personale della Fondazione sia specializzato, non “burocratizzato”), si è parlato anche dello ‘strano caso’ di ACS Italia. In anni in cui - come emerge dalle statistiche – gli italiani donano meno (dal 2007 al 2017 i benefattori sono passati da 3 su 10 a 1,8 su 10), ACS ha invece registrato un forte aumento (che si è accentuato nei primi cinque mesi del 2018): se nel 2016 i donatori erano 10.949 (per 3.3777.973 euro), nel 2017 sono passati a 13.012 (per 3.679.035 euro). Ciò significa, ha evidenziato il direttore Alessandro Monteduro, che è cresciuta la fiducia in “Aiuto alla Chiesa che soffre”, un’organizzazione controcorrente, spesso “non politicamente corretta”: si può evincere da ciò che oggi in Italia è maggiore la consapevolezza della sofferenza dei cristiani in tante parti del mondo e della conseguente necessità di aiutarli secondo il principio fondamentale del loro diritto a restare nella terra d’origine.