CHIESA E IMMIGRAZIONE: DALLA FRANCIA UNA RIFLESSIONE STIMOLANTE

CHIESA E IMMIGRAZIONE: DALLA FRANCIA UNA RIFLESSIONE STIMOLANTE - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 16 febbraio 2018

 

L’intervento sui rapporti tra Chiesa e immigrazione che l’intellettuale francese Laurent Dandrieu ha fatto in occasione di un recente convegno, promosso a Roma dal quotidiano liberale ‘L’Opinione”, è un invito a riflettere su un tema attualissimo e di importanza decisiva per il futuro dell’Europa. Nono confronto Accattoli-Rusconi giovedì 22 alla Cappellania de ‘La Sapienza’.

 

Ci è capitato tra le mani il testo dell’intervento – molto interessante, specifico su Chiesa e immigrazione - dell’intellettuale francese Laurent Dandrieu, fatto durante un recente incontro promosso a Roma da L’Opinione, quotidiano liberale di cui è direttore Arturo Diaconale.

In una sala del Senato a Piazza Capranica venerdì 2 febbraio si sono ritrovati per proporre risposte ai molti problemi derivati da una immigrazione massiccia e de facto incontrollata, relatori di diverso orientamento: oltre a Dandrieu - scrittore e caporedattore delle pagine culturali del settimanale Valeurs actuelles (liberale, destra politica) - hanno offerto il loro contributo in materia l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi (già osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, oggi attivo nel Dicastero vaticano “per lo sviluppo umano integrale”), il demografo Gian Carlo Blangiardo, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, l’esponente del Pd romano e renziano Luciano Nobili, il presidente della Stampa estera in Italia Philip Willan. Diaconale per l’occasione ha presentato un suo ‘decalogo’ di “azioni e principi irrinunciabili a salvaguardia di valori e identità della cultura occidentale europea (minacciati dai flussi migratori)” in diversi ambiti, dall’istruzione al diritto al lavoro alla reciprocità nel riconoscimento di cultura e religione di chi accoglie e di chi viene accolto.

Prima di riferire ampiamente dell’intervento di Dandrieu, un accenno forzatamente riduttivo alle opinioni espresse dagli altri relatori. Per l’arcivescovo Tomasi “le migrazioni continueranno, perché lo squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri è tale che ci sarà sempre flusso di migranti. Ed è per questo che bisogna avviare gestioni intelligenti del fenomeno”. Per il professor Blangiardo l’immigrazione non è “una soluzione al calo della natalità” e tuttavia “è una boccata di ossigeno contro l’invecchiamento della popolazione”. Il senatore Maurizio Gasparri, ricordato che “in Italia il 50% dei reati è compiuto da stranieri e questo va detto con cautela altrimenti si rischia di passare per razzisti”, ha concluso: “Io dico no al razzismo, sì alla tolleranza, sì alla convivenza con tutti ma non voglio la scomparsa della popolazione italiana”. Per Philip Willan le proposte del decalogo non sono tutte concretizzabili nella realtà. Basti pensare alla richiesta della reciprocità: “Se qui si costruiscono moschee, là si dovrebbero costruire chiese: se così non fosse, come ci dovremmo comportare? Dovremmo chiudere i rapporti con Paesi come l’Arabia Saudita?”.

Veniamo all’intervento (traduciamo dal francese) di Laurent Dandrieu, autore tra l’altro di un recente pamphlet che nell’Esagono ha suscitato accese discussioni: Eglise et immigration: le grand malaise. Le pape et le suicide de la civilisation européenne (Plon, 2017).

Subito una premessa, necessaria data la delicatezza del tema: “Mi esprimo da fedele cattolico. Se sono spinto a criticare assai duramente le posizioni della Chiesa sull’immigrazione, non lo faccio con cuore allegro né per infierire, ma per aiutarla a uscire da ciò che io considero una situazione terribile”.

 

ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI: PREOCCUPAZIONE PRINCIPALE DELLA CHIESA?

Dandrieu prende spunto da un’affermazione del 2010 del filosofo francese Pierre Manent (“Sono molto sorpreso per il letargo degli europei che sembrano consentire alla propria scomparsa come prova della loro superiorità morale”) per constatare che essa sembra ben sintetizzare l’odierno comportamento prevalente nella Chiesa riguardo all’immigrazione. Non casualmente papa Francesco è intervenuto molte volte sul tema e nell’opinione pubblica si è radicata l’idea che l’accoglienza dei migranti sarebbe la preoccupazione principale del cattolicesimo universale e che tale accoglienza dovrebbe essere incondizionata. Certo “a intervalli regolari i discorsi del Papa richiamano la virtù della prudenza nell’accogliere, riconoscono il diritto degli Stati di limitare l’immigrazione nella prospettiva del bene comune di cui sono responsabili”, ma tali richiami sono “un minimo rispetto al torrente di dichiarazioni in favore della logica dell’accoglienza”.

Quando le diverse opinioni pubbliche dei Paesi europei esprimono “la loro angoscia per i pericoli connessi all’immigrazione” così come si manifesta oggi, “esse si attenderebbe dalla Chiesa un ascolto materno”. Purtroppo invece “spesso sono  colpevolizzate e rimproverate di non fare abbastanza per l’accoglienza dello straniero; le loro inquietudini sono assimilate a reazioni razziste”. E’ così che papa Francesco il 22 settembre 2017, in un discorso ai direttori nazionali della pastorale per i migranti in Europa, dichiarava ad esempio: “Mi preoccupa la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da reazioni di difesa e di rigetto, giustificate da un non meglio precisato ‘dovere morale’ di conservare l’identità religiosa e culturale originaria.”  

 

DUE GROSSE PECCHE NELLA POSIZIONE PREVALENTE NELLA CHIESA

E’ vero anche, sostiene Dandrieu, che le posizioni di papa Francesco sull’argomento si pongono (a parte il tono e lo stile) sostanzialmente in una linea di continuità con il magistero papale dopo Pio XII. Sono posizioni che hanno due grosse pecche. La prima: la Chiesa considera l’immigrazione quasi esclusivamente dal punto di vista dei migranti, così che le esigenze dei Paesi d’accoglienza sono “sistematicamente ignorate”. La seconda: la Chiesa fa un discorso astratto sui migranti, dato che “non tiene in nessun conto le differenze culturali o religiose concrete, come se ciò non incidesse sulla capacità delle società di accoglienza di integrarli”.

Una continuità sostanziale si registra anche “in una sorta di assolutizzazione del diritto a migrare, che nelle parole di papa Francesco è sempre percepito come assolutamente incontestabile, se il migrante può trovare altrove le condizioni per una vita migliore”.  Perché, si chiede qui Dandrieu, “la Chiesa ha reso il diritto di migrare un assoluto?” La risposta rimanda dapprima a quanto affermato da Giovanni XXIII in apertura del Concilio Vaticano II: “L’unità del genere umano (è il) fondamento necessario per fare che la città terrestre sia immagine di quella celeste”.  Rileva allora Dandrieu che “tale visione di una immigrazione di massa che contribuisce all’unità della famiglia umana spinge ad adottare una visione messianica delle migrazioni, che diventano una manifestazione dello spirito di Dio”. Da ciò si può ben arguire che “la posizione della Chiesa sull’immigrazione è in amplissima misura una posizione ideologica e politica, in cui la questione del bene concreto delle persone diventa secondaria in rapporto a questa visione messianica dell’immigrazione”.  E’, continua Dandrieu, “una posizione politica, ma sotto il manto della carità” e dunque “non obbedisce a un obiettivo propriamente politico, che sarebbe quello di assicurare il bene comune”; in effetti si ha a che fare qui con una politica “in qualche modo subordinata alla morale, la quale non si prefigge di assicurare la sopravvivenza della società, ma la buona coscienza dei cittadini”.

 

IL TRIONFO DEL 'BUONISMO'

Insomma è il trionfo del ‘buonismo’, che è riversato a piene mani nei testi ecclesiali, in cui “non è mai posta la questione del bene concreto che l’immigrazione dovrebbe assicurare agli immigrati: in tali testi la necessità ribadita dell’integrazione rimuove tutti gli interrogativi concreti sulle reali difficoltà incontrate dagli immigrati che sbarcano su un continente europeo le cui capacità di integrazione sono esaurite da tempo”. La conseguenza è che gli immigrati sono “condannati a ritrovarsi in testa nelle statistiche della disoccupazione, della delinquenza, dei fallimenti scolastici, della crisi degli alloggi”.

La Chiesa non pare comprendere che un discorso di “carità vera” sull’immigrazione dovrebbe poi non soltanto guardare al bene reale degli immigrati, ma portare “un’attenzione partecipata alle sofferenze causate agli europei dall’invasione in atto”. San Tommaso d’Aquino, osserva Dandrieu, evidenziava “la priorità che noi dobbiamo in materia di carità a quelli cui noi siamo vincolati da legami di sangue e di patria”: è questa “una priorità che è largamente dimenticata”.

Ancora sottolinea Dandrieu che “una vera carità non dovrebbe mai cercare di dissimulare sistematicamente le minacce che l’islam fa pesare sui nostri modi di vita e sui nostri valori”. Ovvero: insistendo (come ha fatto più volte papa Francesco) nella visione angelicata del “vero islam che si oppone a ogni violenza”, si manca “alla verità e alla carità, poiché si nasconde la realtà ai cittadini europei e si scoraggiano poi i fedeli musulmani di rileggere criticamente la loro religione”.

 

NECESSARIO E URGENTE UN ALTRO DISCORSO CATTOLICO

A questo punto diventa necessario offrire ai popoli europei “un altro discorso cattolico”, come hanno già ben compreso cardinali come l’africano Robert Sarah che, rivolto agli europei, ha detto qualche tempo fa: “Voi siete invasi da altre culture, da altri popoli che progressivamente vi domineranno e cambieranno totalmente la vostra cultura, le vostre convinzioni, i vostri valori”.

“Un altro discorso cattolico” è non solo necessario, ma urgente: “Ne va dell’avvenire dell’Europa, ma anche dell’avvenire della Chiesa, poiché essa – mostrandosi compiacente verso l’invasione di migranti – allarga sempre il fossato che la separa dalle popolazioni europee”. Non solo, ma, “così facendo, si preclude essa stessa le vie della nuova evangelizzazione”. Come riuscire a evangelizzare i popoli “domandando loro di sacrificare il loro avvenire all’accoglienza incondizionata dell’altro?”. 

E’, quello tra Chiesa e popolazioni europee, “un divorzio tanto più amaro, nel momento in cui – sotto la pressione dell’immigrazione di massa – molti europei sono tentati di riscoprire la parte cristiana della loro identità”. Sarebbe bene che “invece che denunciare le angosce identitarie come un ripiegamento su di sé e una carenza di generosità”, la Chiesa vi scorgesse “un cammino di conversione non più indegno di un altro, ma un segnale pieno di speranza che l’anima cristiana non accetta di morire anche nelle popolazioni più scristianizzate”.  Perciò sarebbe ora che la Chiesa si ricordasse che “il cristianesimo è l’avvenire dei popoli e non la loro distruzione”.

C’è da riflettere sulla parole di Laurent Dandrieu: non dubitiamo che lo faranno anche tanti nostri lettori.

 

NONO CONFRONTO ACCATTOLI-RUSCONI SU PAPA FRANCESCO PROMOSSO DALLA CAPPELLANIA UNIVERSITARIA DE ‘LA SAPIENZA’ GIOVEDI’ 22 FEBBRAIO 2018, CON INIZIO ALLE ORE 18.00  

Dopo l’ottava puntata del 10 gennaio, ospiti del Circolo svizzero di Roma, Luigi Accattoli e Giuseppe Rusconi si ritroveranno per il loro ormai tradizionale (ma sempre nuovo) confronto mensile attorno all’odierno magistero papale GIOVEDI’ 22 FEBBRAIO, CON INIZIO ALLE ORE 18.00, presso l’auditorium della Cappellania universitaria de ‘La Sapienza’ (entrata da piazzale Aldo Moro, poi a sinistra). Libero l’ingresso all’incontro, definito nella locandina “Dibattito senza censure su papa Francesco”.

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