INTERVISTA A DON WILLY VOLONTE': EUGENIO CORECCO, UOMO E PASTORE

INTERVISTA A DON WILLY VOLONTE’: EUGENIO CORECCO, UOMO E PASTORE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 ottobre 2020

 

Il prossimo 7 novembre la Facoltà di Teologia di Lugano promuoverà un Convegno inaugurale della cattedra intitolata a Eugenio Corecco, con una Lectio magistralis del cardinale Pietro Parolin. Occasione questa per approfondire la ricca personalità del vescovo di Lugano, morto prematuramente nel 1995:  ne abbiamo parlato con don Willy Volonté, uno dei suoi collaboratori più stretti anche nella nascita e nello sviluppo della nuova istituzione accademica cattolica.  

 

Lo incontrammo per la prima volta a Berna presso il Café Vallotton, dentro Palazzo federale. Celebrata la tradizionale messa per i parlamentari (una volta a sessione), sedeva a un tavolino con il collega e amico Moreno Bernasconi del Giornale del Popolo, allora ciellino doc, mente acuta e talvolta politicamente spregiudicata (erano i tempi in cui tra i ciellini molti guardavano alla neonata Lega dei Ticinesi come a un utile grimaldello per scardinare i tradizionali assetti politici del Cantone). Ci presentammo e ci disse subito con un sorriso aperto: “Ti seguo, ti leggo con interesse sul Corriere del Ticino”.

L’ultima fu il 26 novembre 1994, nella chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane per la messa di ringraziamento del neo-cardinale ticinese Gilberto Agustoni. Un tardo pomeriggio in cui, già molto malato, lo vedemmo trascinare con ferrea determinazione il suo corpo ormai stremato lungo la navata per raggiungere l’altare. A molti dei presenti vennero le lacrime agli occhi.  Anche a noi. Lo salutammo poi in sacristia, molto affaticato, e ci chiese ancora della borsa di studio del Fondo Nazionale Svizzero della Ricerca scientifica che aveva ideato (“Ecclesiastici ticinesi a Roma nel Settecento”, poi edita da Dadò, Locarno) per colmare un vuoto nella storia della diocesi, il che ci avrebbe pure consentito di lasciare l’amata Berna per tornare nell’amata Roma.

Morì a 63 anni il primo marzo 1995, Mercoledì delle Ceneri. Sabato 4 marzo, in una giornata fredda e piovosa, i funerali – presieduti dal cardinale Gilberto Agustoni - nella cattedrale di San Lorenzo a Lugano, con grande e commossa partecipazione popolare. Poi l’impetuoso corteo funebre fino alla Basilica del Sacro Cuore, per la tumulazione accanto ai suoi predecessori. 

Eh sì, l’incontro con Eugenio Corecco, vescovo di Lugano dal 1986 alla morte, non lasciava indifferente nessuno.

La sua creatura accademica più preziosa, la Facoltà di teologia di Lugano, ha previsto per il 7 novembre prossimo la presentazione ufficiale della cattedra a lui intitolata: la Lectio magistralis del Convegno inaugurale verrà tenuta dal Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin. Un appuntamento importante per tutti coloro che hanno apprezzato il magistero ricco e molto variegato del leventinese figlio di Airolo (con San Gottardo nello stemma, una scelta fortemente simbolica), ispiratore e animatore della parte elvetica di Comunione e Liberazione. E anche un nuovo riconoscimento da parte della Chiesa universale del valore di un pastore di grande personalità e di un canonista tra i più ascoltati (pur se a volte contestato).

 

CHI ERA EUGENIO CORECCO? IL RITRATTO SEMPRE VIVO DI DON WILLY VOLONTE’ 

 

Chi era nel profondo Eugenio Corecco? Ne parliamo nell’intervista che segue con uno dei suoi collaboratori più stretti, don Willy Volonté, oggi settantaseienne delegato vescovile per la pastorale diocesana della famiglia: a suo tempo fu il primo Segretario generale della Facoltà di Teologia (fondata nel 1992 e riconosciuta dal Vaticano nel 1993), professore di teologia del matrimonio presso la stessa Facoltà, docente incaricato alla Cattolica di Milano, rettore del Seminario teologico diocesano per una decina di anni.

….don Willy, come hai conosciuto Eugenio Corecco?

Era una splendida ottobrata, quando incontrai per la prima volta il professor Eugenio Corecco al Buffet della Stazione di Lugano. Scendeva da un Maggiolino biancoVolkswagen, subito attorniato da una brigata festosa di giovani studenti. Io, invece, ero triste nel lasciare la mia Milano. Tempi duri, da espatrio, nel Seminario teologico milanese di Venegono dei primi anni ‘70 per gli amici di don Giussani. Un colloquio breve, ma intenso, avvenne tra noi. L'avrei raggiunto una settimana dopo all’Università di Friburgo per terminare gli studi di teologia.

Com’era la vita a Friburgo? Parecchi dei nostri compagni di classe del Liceo di Lugano scelsero proprio di proseguire gli studi là, mentre noi optammo per la Cattolica di Milano…

Abitavamo assieme nel severo palazzo del Salesianum, sede allora del Seminario San Carlo della diocesi di Lugano. I primi mesi il Professore stava sulle sue, nonostante si appartenesse alla medesima “famiglia spirituale”. Capii in seguito che non concedeva facilmente la sua amicizia. La confidenza arrivò dopo un anno di confronto di idee, di fiducia reciproca, nella condivisione di esperienze comuni, di partecipazione solidale a un sentire nel vivere la Chiesa. Fu un tratto di vita comune dove imparai a comprendere che ciò che condividevamo insieme non erano emozioni, ma la verità della vita. E così il tempo dell’Università si trasformò in un'avventura umana con all'orizzonte uno sguardo di fede condiviso con figure dominanti di allora: da Hans Urs von Balthasar a don Luigi Giussani,con i loro ritiri spirituali illuminanti. In questa amicizia era già presente il futuro cardinale Angelo Scola, mio compagno di studi a Friburgo.

Come è maturata negli anni la tua collaborazione con lui?

Dagli anni dell'università fino agli ultimi istanti della sua vita abbiamo lavorato a stretto contatto. Mi seguiva da lontano, quando venni destinato a Lugano su sua proposta per seguire i giovani studenti liceali, assecondato in questo da quel vescovo, tutt'altro che chiuso e distaccato, che fu mons. Giuseppe Martinoli. Partecipando al cammino comune di Comunione eLiberazione a Lugano e in Ticino, mi sentivo don Eugenio alle spalle che mi accompagnava. Divenuto vescovo di Lugano decise, nonostante le mie perplessità, che assumessi la conduzione del Movimento di CL in Svizzera: anni splendidi e non facili. Poi mi sollevò dall’incarico di Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano per dare una mano a mettere in piedi la nascente Facoltà di Teologia di Lugano.

Un bell’impegno…

Era un’impresa superiore alle nostre forze. Pochi soldi, ambiente al limite della capienza, impegnativa apertura alla collaborazione con le diocesi delle Chiese dell’Est. Tutto ciò segnato dalle prime preoccupazioni per la salute del Vescovo. Ogni sera, al termine della giornata ci vedevamo, condividendo preoccupazioni e talvolta anche disfatte. La Facoltà era come un bambino bisognoso di continue cure per portarla ad essere all’altezza dell’impegno che ci eravamo assunti davanti alla Santa Sede e anche davanti al Canton Ticino.

Però poi la Facoltà è riuscita a imboccare un suo cammino consolidato, nonostante le continue difficoltà. Però torniamo a Eugenio Corecco: c’è qualche aspetto del suo carattere che ti ha sempre molto impressionato?  

Era un uomo a tutto tondo con una umanità esuberante. Lui c'era sempre per tutti. Non lasciava mai solo nessuno. Si occupava e si preoccupava discretamente di tutti, come era nel suo carattere. Si potrebbe dire che la latitanza non era nel suo stile, strutturalmente decisionista com’era. Per dirla in maniera comprensibile era sempre “sul pezzo”.

Hai qualche episodio da raccontarci?

Mi ricordo che una volta mi chiese, non essendomi fatto vivo per qualche giorno mentre prima avevamo di solito una frequentazione quotidiana: “Ma tu sei arrabbiato con me?”. Era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Lo accompagnai nell'avventura della nascita della Facoltà di Teologia a Lugano, di cui fui il primo Segretario generale. Diede la vita per questa Facoltà, che segnò il destino culturale del Ticino. Ammalato gravemente, volle che lo accompagnassimo con alcuni amici, tra i quali il rettore della Facoltà, il gesuita George Chantraine, in un veloce pellegrinaggio a Lourdes: “Ho chiesto alla Madonna di lasciarmi ancora qualche anno per consolidare la nostra Facoltà”, ma non resse a questa confidenza e scoppiò a piangere.

Come hai vissuto i suoi anni di malattia, dal 1992 in poi?

La malattia, invasiva, gli sgretolava l'impianto osseo con dolori lancinanti; fu il suo calvario sofferto con dignità, con fede, nella preghiera. Lui, amante della vita, capace di godere i sapori delle opere e dei giorni, si abbandonò totalmente nelle braccia di Cristo: “La Tua Grazia, Signore, vale più della vita”, andava ripetendo come una giaculatoria. La malattia fu la vera salita tra il Tabor e il Calvario. La sua umanità, purificata e trasfigurata dal dolore, appariva trasparente nel suo significato ultimo. In quella condizione di sofferenza esercitava il suo magistero di Vescovo. Credo che lì si possano trovare i segni di una santità vissuta. Due giorni prima di lasciarci, si alzò dal letto ancora una volta per rispondere a chi gli scriveva. Alle nostre rimostranze non rispondeva, ma sapevamo che per lui era più importante il popolo, che Dio gli aveva affidato e quindi meritava che sentisse fino all'ultimo respiro la vicinanza del Padre della Diocesi. Papa Giovanni Paolo II lo accompagnò in questo calvario sacrificato e sofferto mandandogli messaggi e telefonandogli più volte personalmente. L'ultimo grande dolore che mi confidò, accompagnandolo alla sua casa di Airolo, era di dover rivelare a mamma Margherita la natura maligna del male. Per la seconda volta lo vidi piangere.

Monsignor Corecco ha lasciato un’eredità preziosa al Canton Ticino e alla Chiesa ticinese…  

Alla Chiesa che è a Lugano il Vescovo Eugenio lascia la visione e il respiro ampio della Chiesa universale. Iniziative e programmi avviati, che ha portato a termine; l’assiduo contatto con i preti nei Vicariati; la partecipazione ad eventi dolorosi che lo vide sempre presente; la capacità di interloquire con l'autorità statale, quando erano compromessi i diritti della Chiesa; l'ampio respiro culturale avviato con la Facoltà di Teologia al primo posto; le lettere pastorali così cariche di insegnamenti e di operatività; l’impulso di visioni dato alla Caritas diocesana, al Sindacato cristiano-sociale, all’Azione Cattolica, ma soprattutto in campo educativo con la riapertura del Liceo Diocesano a Lucino. Da Vescovo continuò, per quello che poteva, a scrivere articoli scientifici e tenere alcuni corsi all'Università Cattolica di Milano, dove diceva: “Vado a fare la mia ricreazione”. Il Vescovo era diventato un punto di riferimento imprescindibile per quasi tutte le categorie sociali per credenti e non. Il suo era un giudizio affidabile sulla realtà, la gente si sentiva al sicuro quando il Vescovo parlava: valorizzava tutto ciò che era umanamente buono, sosteneva la Chiesa nel suo operare, aveva il senso della missione.

Qual è stata ed è anche oggi l’importanza di Eugenio Corecco per la Chiesa universale?

Eugenio Corecco fu Vescovo molto simile ai grandi Vescovi dei primi secoli della Chiesa, che non necessitavano di Diocesi immense e prestigiose: era la loro stessa personalità che s’imponeva autorevolmente per il loro grande magistero e per la fedeltà alla Communio. Durante le assemblee annuali della Conferenza episcopale italiana, che lo vide sempre presente nel rappresentare i Vescovi svizzeri, non si accontentava di un iniziale saluto formale, ma proponeva costantemente un contributo vitale, che non sempre era gradito a tutti. Significativo modo di fare il suo, perché un Vescovo, ne era ben consapevole, è sempre responsabile per tutta la Chiesa.

Monsignor Corecco e la rivista Communio…

L’aver dato vita alla Rivista teologica internazionale Communio insieme a Hans Urs von Balthasar, Joseph .Ratzinger e al giovane Angelo Scola esprimeva bene la sua linea teologica e la sua personale interpretazione del Concilio Vaticano II. Fu per diversi anni, dal 1987 alla morte, il Presidente della Consociatio internationalis Juris canonici promovendo, l’Associazione internazionale dei canonisti, imprimendo il suo sentire la Chiesa come Communio tra le diverse scuole canonistiche.

Papa Giovanni Paolo II lo chiamò a far parte della commissione pontificia per la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico…

Sì, nel 1982. Si era ormai in dirittura d’arrivo per la promulgazione del nuovo Codice (avvenne nel 1983) e Karol Wojtyla lo chiamò come esperto nella Commissione cui era affidata l’ultima revisione del testo. Giovanni Paolo II conosceva bene il suo valore anche di studioso. Corecco era  quasi sempre all’opposizione nel gruppo ristretto degli studiosi che il Papa aveva istituito, con quel deciso sentire la Chiesa come comunione, da cui traeva la linfa per piegare la norma e la struttura a ben altri parametri di quelli dettati dalla legge. “Lasciatelo parlare!”, esordiva spesso il Papa, quando il professor Corecco prendeva la parola rispondendo alle critiche a lui indirizzate da alcuni membri della Commissione pontificia.

Don Willy, puoi sintetizzare a mo’ di conclusione la personalità e l’opera di Eugenio Corecco?

C’è una frase del libro del Deuteronomio che mi sembra adeguata: “Egli lo (il Suo popolo) trovò in terra assetata…lo circondò, lo educò, lo custodì come pupilla del suo occhio” (32,10).