JOCELYNE KHOUEIRY: LE BARRICATE ODIERNE? CONTRO IL 'GENDER'

JOCELYNE KHOUEIRY: LE BARRICATE ODIERNE? CONTRO IL ‘GENDER’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 marzo 2014

 

Una ‘prima’ in Vaticano il convegno per l’8 marzo, giornata della donna. Intervista a Jocelyne Khoueiry, negli Anni Settanta-Ottanta alla testa dei reparti femminili del Kataeb/Forze libanesi, poi fondatrice dell’associazione “La libanaise – Femme du 31 mai” e del “Sì alla vita” nazionale.  La lotta contro il ‘gender’. L’apprezzamento per le riflessioni mediorientali del patriarca maronita Béchara Raï, incompreso nelle sue analisi fino a poco fa da certa politica internazionale .

 

 

 

La giornata dell’8 marzo sarà festeggiata per la prima volta in Vaticano con il convegno “Voci di fede”, promosso dalla Fondazione Götz Fidel: undici le relatrici, impegnate nel mondo al servizio concreto della dignità umana. Tra loro Chiara Amirante (fondatrice di ‘Nuovi Orizzonti”), la teologa carmelitana scalza  Maria Cristiana Dobner, la comboniana eritrea suor Azezet Kidane attiva a Gerusalemme, la nigeriana suor Ifediba Caritas Chinwem che con un grappolo di consorelle si occupa di diecimila persone su un isolotto del fiume Niger. Ed anche la libanese Jocelyne Khoueiry, già valorosa combattente nella lunga guerra civile degli Anni Settanta-Ottanta, oggi donna che lotta con le armi non meno forti della ragione e della fede, dopo aver fondato nel 1988 l’associazione “La libanaise – Femme du 31 mai” e successivamente il “Sì alla vita” nel Paese dei Cedri. La cinquantanovenne Jocelyne  - la cui vita è raccontata ne “Il cedro e la croce” (Marietti 1820 editore) - è qui davanti a noi, dopo la conferenza-stampa svoltasi presso l’Hotel Columbus in via della Conciliazione: folti capelli ormai bianchi, ma occhi sempre vivi e lampeggianti, determinazione da militante appassionata (e, vedendo la foto del presidente eletto ed assassinato Bachir Gemayel in un piccolo dossier sul Libano da noi scritto nel 2008, con la mano ancora la accarezza)…  

Jocelyne Khoueiry, perché la novità di un convegno in Vaticano per l’8 marzo?

Dopo un percorso incominciato con il Vaticano II, proseguito con Paolo VI,  Giovanni Paolo II  e  Benedetto XVI, ecco che papa Francesco ribadisce con forza che la donna deve contare di più nella Chiesa…

Continuità di pensiero dunque, non un’accelerazione improvvisa…

Una continuità di pensiero, che è sfociata nell’organizzazione dell’ incontro dentro le mura leonine: i tempi erano ormai maturi.

Da sempre Lei ha lottato per la dignità della donna. In una prima fase lo ha fatto con le armi, per difendere il focolare minacciato. Ventenne combatteva in prima linea, sulle barricate,  da militante del Kataeb, la falange cristiana libanese, raccogliendo attorno a sé tante ragazze unite dal medesimo sentire… 

Volevamo far capire che anche noi donne eravamo in grado di lottare per l’identità nazionale, di morire per l’amato Libano. Sono stati anni pieni di fierezza, di entusiasmo, con molta gloria a livello umano… eravamo un gruppo, alla fine, nel 1985, addirittura un migliaio. Ma sentivamo che ci mancava qualcosa per essere pienamente soddisfatte di noi stesse, il vero incontro con Dio…

Sì, ma combattevate già da cristiane…

Certo, eravamo cristiane, ma forse più nel senso dell’appartenenza sociale… Quando abbiamo percepito la presenza di Dio sulle barricate, nelle lunghe notti di veglia militare, abbiamo capito che tutto questo non ci bastava. E’ la nostra devozione a Maria, madre e avvocata nostra, che ci ha permesso di giungere a Lui.

Noi… è stata una scelta collettiva… 

Sì, io comandavo i reparti femminili delle forze libanesi, ma la scelta è stata collettiva, almeno del nocciolo duro della nostra milizia… abbiamo scoperto insieme la gioiosa necessità del nuovo cammino. Eravamo stanche della guerra, che si prolungava dal 1976… volevamo dare un senso più pieno alla nostra vita.  Incontrando Dio attraverso Maria, abbiamo capito che dovevamo offrire alla società libanese il nostro contributo specificamente femminile per aiutarla a crescere. Abbiamo scoperto il Libano come messaggio di convivenza, libertà, dialogo… Dapprima, nella seconda metà degli Anni Ottanta, abbiamo curato la formazione umana, teologica, sulla dottrina sociale della Chiesa. Noi avevamo lasciato le Forze libanesi con grande amarezza, nel 1985, quando c’è stata la tragica divisione interna: avevamo compreso che i nostri giovani non erano abbastanza maturi e formati per poter fare seriamente un discorso sociopolitico veramente cristiano. Abbiamo lavorato così per riconciliare impegno nazionale e cristiano.

Il movimento da Lei fondato si chiama “La libanese – donna del 31 maggio”… perché tale  richiamo?

Il 31 maggio era la giornata della militante nei ranghi del Kataeb/Forze libanesi. Non abbiamo mai rinnegato l’impegno militare, ma abbiamo scelto di utilizzare quel che di buono avevamo fatto per servire Dio e l’uomo da donne cristiane. Un Papa per noi è stato decisivo, Giovanni Paolo II: con la Familiaris Consortiodel 1981, la Mulieris dignitatem del 1988, l’Evangelium vitae del 1995 ci ha indicato la via da seguire per promuovere la dottrina sociale della Chiesa attraverso la difesa della vita umana contro le minacce incombenti, con la difesa della famiglia insidiata da attacchi incessanti…

Su quest’ultimo tema oggi siete particolarmente impegnate…

Certo anche in Libano per fronteggiare, dando il nostro specifico contributo femminile, la nuova sfida costituita dal dilagare della teoria del ‘gender’. Sa, molti testi scolastici vengono dalla Francia di Hollande, quella del ‘mariage pour tous’. Abbiamo proposto ad esempio di bloccare in arabo la diffusione del termine’ gender’, il cui significato è stato manipolato lucidamente e subdolamente ed è diventato cavallo di battaglia dei poteri che misconoscono la verità della legge naturale. Dobbiamo reimparare ad usare i termini chiarissimi di ‘uomo’ e ‘donna’.

La vostra evoluzione degli Anni Ottanta è avvenuta grazie a Maria, che è anche simbolo di un legame forte con i musulmani… 

A riprova di ciò il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, è da qualche anno festa nazionale. Tutto il Libano si ferma quel giorno. Aggiungerei che l’elemento principale del dialogo odierno islamo-cristiano è proprio dato dalla figura di Maria, madre che vuole unire tutti i figli di Abramo in un dialogo non teologico, ma di umana concretezza quotidiana così che possano convivere nella pace e nella giustizia. Esiste d’altronde anche un gruppo femminile, “La strada di Maria”, costituito da dottoresse cristiane e islamiche che percorrono insieme i sentieri della vita. Maria è un grande segno di speranza, indispensabile al concretizzarsi del ‘Libano-messaggio’ e nel cammino della Chiesa, come evidenziava Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem, un testo in cui ho trovato trasposta tutta intera la Parola di Dio sulla donna.

Siria e Medio Oriente: il patriarca Béchara Raï aveva ragione, ma la politica internazionale l’ha capito solo adesso

Contagiata dai tragici avvenimenti di Siria, la situazione interna libanese in questi ultimi mesi si è di nuovo destabilizzata. Siamo ancora una volta sul filo del rasoio. Il patriarca maronita, cardinale Béchara Boutros Raï, ha voluto riaffermare qualche settimana fa in un ‘memorandum’, le ‘costanti nazionali’ dell’identità libanese, appellandosi a tutti perché le perseguano in uno sforzo di unità…

Sono d’accordo con quanto ha fatto e fa il Patriarca, cercando di convincere i libanesi di ogni colore a ritrovare concretamente le nostre storiche caratteristiche identitarie, quelle contenute nel ‘Libano-messaggio’. E’ un grande e continuo sforzo di dialogo, di pace, di chiamata all’assunzione della nostra responsabilità nazionale, in primo luogo per la nostra classe politica.

Certo ciò che accade in Siria non aiuta il dialogo tra le diverse componenti libanesi, divise sulla valutazione dei fatti… 

Il problema siriano è molto complesso, porta in sé tanti aspetti politici, culturali, etnici, religiosi, sociali non facili da comprendere. Ciò comporta la necessità di leggere bene la situazione prima di valutare, così da poter scoprire buone risposte da dare, poter indicare la via della speranza.

Le potenze internazionali hanno saputo leggere bene la situazione siriana? 

Credo proprio di no. Purtroppo no. Solo recentemente, con l’irrompere in Siria e il consolidarsi dei movimenti fondamentalisti e terroristici islamici, a qualcuno si sono incominciati ad aprire gli occhi. E si è iniziato anche a dar ragione al nostro Patriarca che, fin dall’inizio, aveva consigliato prudenza, di dar tempo alla Siria per trovare soluzioni interne (del resto qualcosa di positivo si stava già muovendo a livello di governo). Quando il patriarca Raï ha detto qualcosa di analogo dopo l’incontro a Parigi con l’allora presidente Sarkozy, è stato attaccato duramente da molte parti. Eppure si dovrebbe riuscire a capire che quando il Patriarca parla di politica mediorientale lo fa con conoscenza di causa, dopo aver assunto le debite informazioni anche sul terreno. E lo fa da patriarca di Antiochia e di tutto il Medio Oriente.

Del resto in Vaticano nell’ottobre del 2010 si è svolto il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Anche in quell’occasione si erano levate voci alte e chiare sui pericoli di un’ulteriore deriva dopo il calvario iracheno… 

C’ero anch’io e tutti abbiamo avuto l’occasione di ascoltare quanto ci hanno detto patriarchi e vescovi mediorientali in base alla loro esperienza personale. I dati erano chiari e suggerivano che quanto accade oggi in Siria era già in gestazione ben visibile quattro anni fa. Molti a livello internazionale non hanno capito e hanno continuato con le loro politiche dissennate. Con la conseguenza che al martirio iracheno se ne sono aggiunti altri, che, con un po’ più di saggezza e lungimiranza, si sarebbero potuti forse evitare.

 

Una versione leggermente ridotta dell’intervista appare nel ‘Giornale del Popolo’ di Lugano di sabato 8 marzo 2014, nell’inserto ‘Catholica’, con il titolo: “La guerriera di ieri ora lotta con la ragione e la fede”