DAI CARDINALI AI DIPLOMATICI IL PAPA DELLE PERIFERIE

DAI CARDINALI AI DIPLOMATICI IL PAPA DELLE PERIFERIE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 13 gennaio 2014

 

Domenica 12 gennaio nell’annuncio dei nuovi cardinali e lunedì 13 nel tradizionale discorso al Corpo diplomatico Jorge Mario Bergoglio si conferma il Papa cui prima di tutto stanno a cuore Chiesa ‘povera’ e periferie (geografiche ed esistenziali) del mondo. Anche i nuovi porporati invitati esplicitamente a festeggiare spiritualmente, non materialmente.

 

La domenica i nomi dei nuovi cardinali (sedici elettori, cui si aggiungono tre ultraottantenni, tra i quali il fedelissimo segretario e cultore della memoria di Giovanni XXIII, l’arcivescovo Loris Capovilla), il lunedì la pubblicizzazione di una breve lettera loro indirizzata (un’altra delle tante novità di questo Pontificato), sempre il lunedì l’udienza annuale ai rappresentanti di Stati e organismi internazionali: il filo rosso che ha legato i tre avvenimenti è la riproposta del ruolo pastorale di una Chiesa attenta soprattutto agli ultimi e credibile grazie anche a una testimonianza di povertà evangelica.

Non era quello di lunedì 13 gennaio il primo incontro con il Corpo diplomatico (180 gli Stati accreditati, cui si aggiungono l’UE, il Sovrano militare Ordine di Malta, la Missione di Palestina). Infatti il 22 marzo 2013 (nove giorni dopo essere stato eletto) papa Francesco aveva voluto ricevere gli ambasciatori, chiedendo loro di “costruire ponti con Dio e con gli uomini” ed evidenziando anche la necessità di una Chiesa vicina ai materialmente e spiritualmente poveri. A dieci mesi di distanza ha arricchito il quadro, ricordando i non pochi luoghi geografici in cui la ‘carne di Cristo ‘ soffre particolarmente. In primo luogo la Siria (qui il Papa ha evocato anche la ‘giornata di digiuno e preghiera’ con veglia dello scorso 7 settembre), poi l’Egitto e l’Iraq sempre alla ricerca di “una ritrovata concordia sociale”, il Libano (citato due volte, una per l’accoglienza ai rifugiati siriani, l’altra per la preoccupante situazione politica), il Medio Oriente in genere e il Nord Africa per l’esodo dei cristiani. Soddisfazione Francesco ha invece espresso per “i significativi progressi” nei negoziati nucleari con l’Iran e per la ripresa dei negoziati di pace israelo-palestinesi.

La ‘carne di Cristo’ soffre in Nigeria, nella Repubblica Centroafricana, di nuovo nel Sud-Sudan, anche in Mali (“Dove pur si nota il positivo ripristino delle strutture democratiche del Paese”). Crea angustia per certi versi (per altri si registrano invece segnali positivi) il continente asiatico, dove si notano “preoccupanti segnali di un indebolimento” della tradizionale pacifica convivenza tra culture diverse. Il riferimento è a “crescenti atteggiamenti di chiusura che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile”.

La ‘carne che soffre’, ha poi sottolineato con forza il Papa, è anche quella frutto della ‘cultura dello scarto’: “Desta orrore – ha detto – il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto”. E’ così anche per i bambini-soldati o i bambini schiavi della tratta. ‘Carne che soffre’ quella delle “moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi, particolarmente nel Corno d’Africa o nella Regione dei Grandi Laghi”e quella dei migranti “che dall’America latina sono diretti negli Stati Uniti,ma soprattutto a quanti dall’Africa o dal Medio Oriente cercano rifugio in Europa” (qui il Papa ha ricordato la visita a Lampedusa e ha augurato al popolo italiano “di rinnovare il proprio encomiabile impegno di solidarietà”, superando “le attuali difficoltà”. La ‘cultura dello scarto’ coinvolge anche gli anziani (a volte “considerati un peso”), non risparmia i giovani (“che non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita”), mentre “aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, anche “per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza”.   

PERIFERIE ROSSOPORPORA 

L’attenzione alle periferie si è espressa con molta evidenza anche nella scelta dei nuovi cardinali, in cui vengono ‘premiati’ Paesi poverissimi come Haiti nei Caraibi e il Burkina Faso in Africa ed esclusi invece il Giappone (Tokyo) e la Tailandia (Bangkok). Da notare anche la porpora all’arcivescovo oblato di Maria Immacolata con sede nell’isola filippina di Mindanao (teatro di scontri ricorrenti e sanguinosi con i fondamentalisti islamici). E in Italia – escluse sedi cardinalizie tradizionali come Torino e Venezia - quella all’arcivescovo di Perugia: l’ultimo designato era stato nel 1853 Gioacchino Pecci, divenuto poi papa Leone XIII. Tale nomina produrrà probabilmente un effetto prevedibile per quanto riguarda il vertice della Cei, di cui Gualtiero Bassetti è già vicepresidente per l’Italia centrale (avendo sconfitto al primo turno Bruno Forte e Vincenzo Paglia).

In Curia le nomine sono al minimo indispensabile. Ignorato l’archivista di Santa Romana Chiesa, mentre i presidenti di alcuni Pontifici Consigli restano ancora in panchina (sempre che stavolta non siano stati messi a sedere addirittura in tribuna).

Periferie dominanti anche nella lettera ai nuovi porporati, resa pubblica con gesto nuovo e certo molto chiaro. Lettera breve, di quindici righe, di cui ben otto dedicate alla versione cardinalizia della ‘Chiesa povera’. Evidenziato che “il cardinalato non significa una promozione né un onore né una decorazione”, ma ”semplicemente un servizio che esige di ampliare lo sguardo ed allargare il cuore”, papa Francesco chiede ai prescelti di seguire “la via dell’abbassamento e dell’umiltà, prendendo forma di servitore”. Fin qui nulla di sostanzialmente nuovo rispetto a quanto detto dai predecessori (salvo forse la particolare insistenza sul tema). La novità sta invece in quello che segue: il prescelto accolga la designazione “con gaudio e con gioia”, però “faccia in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà”.  Come ciò si traduca in pratica lo constateremo visibilmente il 22 febbraio.