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    TERRASANTA/TAYBEH, GAZA - MUSARRA E RIARMO - MESSAINLATINO

    TERRASANTA/TAYBEH, GAZA – MUSARRA E RIARMO – MESSAINLATINO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 19 luglio 2025

    Nella grande tragedia di Gaza anche altri morti per l’attacco (‘errore di tiro’) di un carroarmato israeliano alla parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza. Le reazioni del Patriarcato latino, della Custodia, del Papa, della Cei, della diocesi di Roma. Un editoriale di Tornielli. In Cisgiordania il villaggio cristiano di Taybeh nel mirino dei coloni ultraortodossi -. Antonio Musarra e il riarmo – La nostra solidarietà al blog Messainlatino.it, rimosso dalla piattaforma Blogger.

     

    ***Dalla prima lettura della messa di domenica 6 luglio 2025 (dal libro del profeta Isaia, Is 66,10-14c)

    "Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate.
    Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. Perché così dice il Signore: “Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”.

    Quanto continua a succedere in Terrasanta e in una più vasta zona del Medio Oriente non si concilia certo con il brano di Isaia qui riportato. Le armi imperversano, morti, feriti, sfollati, affamati aumentano a dimensioni che evocano altri tempi, gli “errori di tiro, i malfunzionamenti tecnici” (così si giustifica il governo israeliano, democraticamente eletto, ma connotato sempre più spesso da un’arroganza e un cinismo di comportamento che addolorano e inquietano) si susseguono, gli odi si approfondiscono. L’Unione europea, i governi occidentali fingono di indignarsi, rilasciando (coccodrillesche) dichiarazioni di condanna, mentre però continuano la cooperazione militare con Israele… (è di giovedì 17 luglio 2025 il voto della Camera dei deputati contro la sospensione del Memorandum di cooperazione militare con Israele – 142 i contrari/centrodestra, 102 i favorevoli/centrosinistra). Di sanzioni internazionali (o anche solo europee) guai a parlarne, perché mica puoi paragonare Israele a…

    Tra chi soffre, non da oggi ma in modo sempre più ricorrente in Terrasanta, anche i cristiani. Specie in Cisgiordania (come abbiamo ascoltato anche dai capi-scout di Zababdeh ospiti recentemente della parrocchia romana di Sant’Ippolito martire) e, ormai restati in pochi, a Gaza.

     

    TAYBEH NEL MIRINO DEI COLONI, CON LA COMPLICITA’ DEL GOVERNO ISRAELIANO – LA SOLIDARIETA’ DELLE CHIESE CRISTIANE

    Taybeh è un villaggio quasi interamente cristiano, oggi di 1300 abitanti, situato in Cisgiordania a quindici chilometri a nord-est di Gerusalemme. Citato nel Nuovo Testamento con il nome di Efraim (secondo i Vangeli Gesù vi soggiornò dopo il miracolo della resurrezione di Lazzaro, prima della Passione) ospita due grandi scuole, del patriarcato ortodosso e di quello latino. Da tempo Taybeh è nel mirino dei coloni ebrei ultraortodossi che perseguono il sogno perverso di una Grande Israele “dal fiume al mare” senza più presenze palestinesi.

    Il 7 luglio 2025 alcuni coloni israeliani hanno attaccato Taybeh, provocando intenzionalmente un incendio vicino al cimitero del villaggio e alla chiesa di San Giorgio (V secolo), tra i monumenti più antichi della Palestina. Il tutto è accaduto senza l’intervento delle forze di sicurezza israeliane. Come si legge nel comunicato emesso dopo l’attacco dai tre parroci cristiani (greco-ortodosso, greco-cattolico melkita, cattolico latino), “senza la vigilanza degli abitanti e il tempestivo intervento dei vigili del fuoco, le conseguenze sarebbero potute essere ben più disastrose”. Si legge ancora nel comunicato, in cui si evidenzia il proliferare vicino a Taybeh di insediamenti illegali di coloni, protetti dai militari: “In una scena provocatoria e quasi quotidiana, i coloni continuano a far pascolare le loro mandrie sui terreni agricoli di Taybeh (…) senza alcuna restrizione o intervento da parte delle autorità. Queste violazioni non si limitano alla provocazione: causano danni diretti agli ulivi, fonte fondamentale di sostentamento e reddito per i residenti del villaggio, e impediscono agli agricoltori di accedere alle loro terre e di coltivarle”.

    Il 14 luglio si sono recati a Taybeh in segno di solidarietà con la popolazione i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme. Nel comunicato che ne è seguito, essi definiscono le azioni dei coloni come “una minaccia diretta e intenzionale, innanzitutto per la nostra comunità locale, ma anche per l’eredità storica e religiosa dei nostri antenati e dei luoghi santi. Di fronte a tali minacce il più grande atto di coraggio è continuare a chiamare questo posto la propria casa”. Ancora: “La Chiesa è presente fedelmente in questa regione da quasi duemila anni. Rifiutiamo con fermezza questo messaggio di esclusione e ribadiamo il nostro impegno per una Terrasanta che sia un mosaico di fedi diverse, che vivono insieme pacificamente con dignità e sicurezza”. Perciò “il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese chiede che questi radicali (NdR: leggi coloni ultraortodossi) siano chiamati a rispondere delle loro azioni dalle autorità israeliane, che ne facilitano e consentono la presenza attorno a Taybeh (…) Gli attacchi perpetrati dai coloni contro la nostra comunità, che vive in pace, devono cessare, sia qui a Taybeh che altrove in Cisgiordania. Questo è chiaramente parte degli attacchi sistematici contro i cristiani che vediamo dispiegarsi in tutta la regione”.

     

    NEL CONTESTO DELLA TRAGEDIA DI GAZA UN NUOVO ‘ERRORE DI TIRO’ ISRAELIANO CONTRO LA PARROCCHIA DELLA SACRA FAMIGLIA PROVOCA TRE MORTI E NOVE FERITI – INDIGNAZIONE E REAZIONI ECCLESIALI – UN EDITORIALE DI ANDREA TORNIELLI

    Pochi tra i frequentatori del nostro sito avranno dimenticato quel che accadde a Gaza il 16 dicembre 2024: un cecchino dell’esercito israeliano uccise due donne cristiane che all’interno del complesso della parrocchia latina della Sacra Famiglia stavano camminando verso il convento delle suore di Madre Teresa. Altre sette rifugiati erano stati feriti nel tristo episodio (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1170-parrocchia-gaza-dolore-e-indignazione-ancora-riccardi-a-sant-ippolito.html ).

    E’ ben nota la spietatezza - accresciuta se possibile da continui e lugubri “errori”, “malfunzionamenti tecnici” - con cui l’esercito israeliano è intervenuto a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 reagendo al feroce massacro operato da Hamas all’interno della frontiera meridionale. Tutti constatiamo quotidianamente la distruzione di un territorio e di un popolo, mentre le ombre sinistre della pulizia etnica si allungano pure sulla Cisgiordania, complice anche lì un governo che infanga ogni giorno di più il nome di Israele, alimentando tra l’altro quell’orrendo antisemitismo – non più represso – che cova nel profondo di tanti europei.

    E così, tra i tanti strazianti episodi di cui siamo costretti a sapere, ecco il nuovo attacco alla parrocchia della Sacra Famiglia, centrata dalla cannonata di un carro armato israeliano giovedì 17 luglio, verso le 10.20. Tre i morti, nove i feriti tra i quali (lievemente) il parroco don Gabriel Romanelli e (gravemente) Suhail Abo Dawood, giovane collaboratore de L’Osservatore Romano (vi tiene la rubrica “Vi scrivo da Gaza”) che ha la schiena perforata da una scheggia.  

    Dell’attacco ha subito riferito il Patriarcato Latino di Gerusalemme. Ecco l’incipit del comunicato: “Questa mattina, alle 10:20 circa, il complesso della Sacra Famiglia a Gaza, appartenente al Patriarcato Latino, è stato colpito dall'esercito israeliano. A quest'ora, tre persone hanno perso la vita a causa delle ferite riportate e altre nove sono rimaste ferite, due in gravi condizioni. Il parroco della comunità, padre Gabriel Romanelli, ha riportato ferite leggere. Gli abitanti del Compound della Sacra Famiglia sono persone che hanno trovato nella Chiesa un rifugio, sperando che gli orrori della guerra potessero almeno risparmiare le loro vite, dopo che le loro case, i loro beni e la loro dignità erano già stati spogliati”. Nel comunicato si evidenzia poi come l’accaduto vada inserito nella più grande tragedia abbattutasi sulla Striscia di Gaza: “Il Patriarcato latino condanna fermamente questa tragedia e questo attacco a civili innocenti e a un luogo sacro. Tuttavia, questa tragedia non è più grande o più terribile di molte altre che hanno colpito Gaza. Anche molti altri civili innocenti sono stati feriti, sfollati e uccisi. Morte, sofferenza e distruzione sono ovunque”. Perciò (ed è l’ennesima volta che lo si sottolinea, fin qui invano) “è giunto il momento che i leader alzino la voce e facciano tutto il necessario per fermare questa tragedia che è umanamente e moralmente ingiustificata”.

    Da Gerusalemme anche la Custodia francescana di Terrasanta ha fatto sentire subito la sua voce indignata, rilevando tra l’altro che “Ancora una volta, ci troviamo a denunciare con forza l’inaccettabile e cinica realtà in cui civili inermi, luoghi di culto e strutture umanitarie diventano bersaglio di violenza e distruzione”. Postilla tanto amara quanto significativa: “Le richieste postume di scuse risultano purtroppo essere un ritornello ripetuto troppe volte per mascherare comportamenti bellici non più accettabili”. E’ indiscutibile che “ogni giorno che passa, il prezzo umano diventa più insostenibile, il silenzio del mondo più assordante e la paralisi della comunità internazionale più ingiustificabile”.

    Dalla Terrasanta hanno reagito con forza anche i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, che nel loro comunicato hanno condannato “il vile attacco da parte dell’esercito israeliano contro il complesso della Chiesa, avvenuto la mattina di giovedì 17 luglio 2025”. I presuli scrivono poi: “Con incrollabile unità condanniamo fermamente questo crimine. Le case di culto sono spazi sacri che devono essere protetti. Sono inoltre tutelate dal diritto internazionale. Colpire una chiesa che ospita circa 600 rifugiati, inclusi bambini con bisogni speciali, rappresenta una violazione di queste leggi. È anche un insulto alla dignità umana, una profanazione della vita, e una dissacrazione di un luogo santo”.

    Dal Vaticano non si è fatta attendere la reazione di papa Leone XIV. Dapprima con un telegramma a firma del Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, in cui si legge tra l’altro: “Sua Santità papa Leone XIV ha appreso con profondo dolore la notizia della perdita di vite umane e dei feriti causati dall’attacco militare alla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza” e “Sua Santità rinnova il suo appello per un immediato cessate il fuoco ed esprime la sua profonda speranza per il dialogo, la riconciliazione e la pace duratura nella regione”.

    Venerdì 18 luglio, poi, il Papa ha ricevuto a Castel Gandolfo una telefonata di rammarico di Benjamin Netanyahu e, come si legge nel comunicato emesso dalla Sala Stampa della Santa Sede, gli ha rinnovato un appello per la cessazione delle ostilità, gli ha di nuovo espresso la sua “preoccupazione” per la “drammatica situazione umanitaria della popolazione a Gaza”, gli ha ribadito “l’urgenza di proteggere i luoghi di culto e soprattutto i fedeli e tutte le persone in Palestina ed Israele”. Infine, il Santo Padre ha ribadito l’urgenza di proteggere i luoghi di culto e soprattutto i fedeli e tutte le persone in Palestina ed Israele.

    Altre telefonate, stavolta da parte di papa Leone XIV, sono state fatte in fin di mattinata del 18 luglio al cardinale Pierbattista Pizzaballa e al provinciale dell’Istituto del Verbo Incarnato, padre Carlos Ferrero (cui appartiene padre Romanelli). Al patriarca di Gerusalemme, raggiunto mentre era in viaggio per portare a Gaza solidarietà anche concreta (500 tonnellate di aiuti, insieme con il patriarca greco-ortodosso Teophilos III e altri due prelati), il Papa – come si legge in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede – ha ribadito che farà tutto il possibile perché si fermi “l’inutile strage di innocenti” in Terrasanta e in tutto il Medio Oriente. A tale proposito ha detto il cardinale Pizzaballa ai media vaticani: “Papa Leone ha ripetuto più volte che è ora di finire con questa strage e che quello che è accaduto è ingiustificabile”.

    Tra le tante altre reazioni (quelle di non pochi politici e governanti suonano come dovute e insincere, se si pon mente al fatto che non ne deriverà nessuna modifica nei rapporti militari-commerciali con l’attuale governo di Israele) citiamo qualche riga di quella – molto tempestiva – della presidenza della Conferenza episcopale italiana: “Apprendiamo con sgomento dell’inaccettabile attacco alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. (…) Nel condannare fermamente le violenze che continuano a seminare distruzione e morte tra la popolazione della Striscia, duramente provata da mesi di guerra, rivolgiamo un appello alle parti coinvolte e alla comunità internazionale affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato, unica strada possibile per giungere alla pace”. Nel comunicato si ringrazia esplicitamente anche Noemi Di Segni (presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane/Ucei) per il messaggio di solidarietà inviato, di cui riportiamo la prima frase: “L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane esprime il proprio dolore per quanto avvenuto a seguito dell'incidente in cui è stata colpita la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, luogo di culto e di preghiera, uno spazio tanto più essenziale in un contesto profondamente segnato da un conflitto lungo e lacerante”.

    Non possiamo poi non ricordare per la sua incisività la reazione della diocesi del Papa, quella di Roma, retta dal cardinale vicario Baldassarre Reina: “Siamo profondamente addolorati – si legge in una Nota - per quanto è avvenuto stamane a Gaza. La strategia israeliana non ha risparmiato neanche la Parrocchia latina della Sacra Famiglia. La Diocesi di Roma, invocando il dono della Pace per quella terra martoriata e continuando a chiedere la liberazione degli ostaggi, si stringe in preghiera per le vittime, esprime la propria solidarietà alle loro famiglie e invoca la conversione dei carnefici. Dopo 600 giorni di guerra e oltre 60mila morti palestinesi, la comunità internazionale ha l’obbligo di adottare tutte le misure diplomatiche per arrestare questo assurdo e deplorevole bagno di sangue”.

    Concludiamo questa parte di Rossoporpora.org riproducendo ampi stralci  dell’editoriale per noi esemplare di Andrea Tornielli sui media vaticani (18 luglio 2025), in cui si riprendono tra l’altro alcune osservazioni dell’ambasciatore di Israele in Italia Jonathan Peled:

    . I fotogrammi dell’esplosione sono eloquenti: un colpo sparato da un tank dell’esercito israeliano ha centrato la chiesa della Sacra Famiglia, parrocchia cattolica di Gaza. Tre persone hanno perso la vita. Altre 10 sono ferite. (…) Le autorità israeliane si sono scusate affermando che si è trattato di un errore, che Israele rispetta i luoghi di culto e che sarà svolta un’inchiesta sul caso. Sono affermazioni che certo non possono rassicurare, non soltanto perché smentite dalle eloquenti immagini delle moschee rase al suolo e delle chiese attaccate — il raid contro quella ortodossa di San Porfirio è costato la vita a decine di persone — ma anche perché da un anno e mezzo si attendono ancora i risultati dell’inchiesta sull’uccisione di due donne cristiane colpite da un cecchino nella parrocchia di Gaza.

    . Particolarmente significative, a questo proposito, le parole pronunciate dall’ambasciatore israeliano in Italia Jonathan Peled, che ha detto: ‘Non abbiamo alcuna volontà di mettere in pericolo le istituzioni civili. Ma i terroristi sono ovunque, anche in edifici pubblici come scuole e, purtroppo, luoghi di culto’. Colpiscono queste affermazioni perché in qualche modo forniscono il contesto di quello che è stato definito come un “errore”. Cinquecento persone inermi, molte delle quali quotidianamente si ritrovano a pregare il rosario, sono diventate loro malgrado un target collaterale, perché, come dice l’ambasciatore Peled, ‘queste a volte sono le conseguenze della guerra’.

    . Come i lettori e gli ascoltatori dei media vaticani sanno bene, non abbiamo atteso le morti dei cristiani per parlare delle quotidiane stragi a Gaza, dove ogni settimana decine di bambini, donne, uomini innocenti vengono uccisi, vittime collaterali dei raid o dei colpi di chi dovrebbe garantire la distribuzione del cibo in sicurezza. Non ci occupiamo delle vittime di Gaza ora che sono cristiane o perché è stato gravemente colpito Suhail: tutte le vittime innocenti gridano vendetta al cospetto di Dio, ogni vita è sacra e i cristiani della Striscia, di ogni confessione, condividono in tutto e per tutto il destino del loro popolo, il martoriato popolo palestinese. Il massacro disumano contro Israele perpetrato dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 è stato condannato dalla Santa Sede con parole inequivocabili, chiedendo la liberazione di tutti gli ostaggi e riconoscendo il diritto di Israele di difendersi. Ma quel massacro disumano, a danno di tanti civili innocenti, non può giustificare sessantamila morti e città rase al suolo. Non può giustificare il silenzio e l’inanità di tanti che fingono di non vedere.

    . Per questo non ci stancheremo mai di denunciare l’assurdità di questa guerra ripetendo le parole rivolte da Leone XIV alla Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali, il 26 giugno scorso. (NdR: vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1243-terrasanta-riarmo-papa-parolin-pizzaballa-morlacchi-musarra.html ).  Siamo chiamati a superare quella globalizzazione dell’indifferenza a fasi alterne, che ci fa giustamente indignare per alcune vittime e soprassedere su altre. Siamo chiamati a guardare con realismo alla situazione in Medio Oriente e all’assurda escalation bellica con il continuo aprirsi di nuovi fronti, quasi che la sopravvivenza delle leadership al potere, nelle organizzazioni terroristiche come negli Stati, dipendesse dal perpetuarsi infinito delle guerre invece che dalla pace. È tempo che la comunità internazionale ritrovi finalmente il coraggio di intervenire con tutti gli strumenti che il diritto mette a disposizione: per far tacere le armi, far cessare le stragi e porre fine a giochi di potere il cui prezzo è pagato da migliaia di vittime innocenti.

     

    “FANNO IL DESERTO E LO CHIAMANO PACE”: ALCUNE CONSIDERAZIONI DELLO STORICO ANTONIO MUSARRA SUL RIARMO EUROPEO – SIAMO DAVVERO SICURI CHE SPENDERE IN DETERRENZA SIA GARANZIA DI SICUREZZA? (da “Il pensiero della domenica” del 29 giugno 2025)

    . L’Europa si prepara a spendere fino al 5% del proprio PIL in “difesa e sicurezza”, rivendicando la necessità di “mostrare serietà” dinanzi ai venti di guerra che spirano turbinosamente.  (…)

    . Il lessico è quello dell’urgenza – “obbligo morale”, “dovere strategico” –; il richiamo all’Alleanza atlantica funge da clessidra: chi non adegua i bilanci - viene sbandierato - rischia l’irrilevanza sullo scacchiere globale, condannandosi a un ruolo subalterno nella gerarchia delle potenze. Cosa, peraltro, già in essere. Mentre si moltiplicano le cifre e gli zeri, riemerge un fantasma antico: l’idea che la pace possa essere fabbricata in fonderia. Un’illusione che Tacito - questa volta, a fare sfoggio di massime sono io - aveva già smascherato con lucidità tragica, mettendola in bocca a un nemico dell’impero, il capo dei Caledoni: “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” – “dove fanno il deserto, lo chiamano pace” (Agricola, 30,6). (…)

    . Siamo davvero sicuri che spendere in deterrenza sia garanzia di sicurezza? Il 7 ottobre 2023 ha offerto, con brutalità, la prova del contrario. Un sistema di sorveglianza da oltre 800 milioni di dollari, comprendente barriere elettroniche, sensori di movimento, torrette automatiche e reti d’intercettazione, non è bastato a impedire l’incursione di Hamas. In poche ore, i miliziani hanno forato recinzioni, paralizzato i sistemi digitali, sequestrato civili. L’apparato militare israeliano, considerato tra i più sofisticati del mondo, si è rivelato sordo al presente: mancante d’un piano d’emergenza, della capacità di ascoltare segnali che gli algoritmi non avevano certificato come minaccia. Ciò che è successo dopo, e che, nella vergogna generale, accade tutt’oggi quotidianamente, dimostra in modo incontrovertibile cosa significhi spendere in armi: non equivale a proteggere, ma a preparare il terreno alla distruzione. La deterrenza non disinnesca la violenza: la organizza, la raffina, la rende sistemica. E quando esplode, lo fa con potenza moltiplicata. Si dice che serva a salvare vite. Ma più spesso – come oggi a Gaza – serve a seminarne la fine, in massa e senza volto.

    . Ecco, dunque, il bilancio dell’illusione del ferro. Dalla Striscia di Gaza alla steppa ucraina, dalla paranoia dei muri intelligenti all’ebbrezza dei droni autonomi, le potenze si scoprono vulnerabili proprio perché credono di essere invincibili. La politica del più forte semina morte non solo tra i vinti, ma anche tra i vincitori apparenti, lasciando dietro di sé un’eredità tossica di sospetto, odio, terre devastate e società militarizzate. Nel 2025, l’Europa proclama di voler “essere seria”, puntando al 5% del PIL in armamenti; ma la vera serietà consiste nel riconoscere che esiste un limite oltre il quale la sicurezza armata diventa insicurezza assoluta. Tacito lo aveva capito duemila anni fa: fabbricare il deserto e chiamarlo pace non è solo un ossimoro; è una profezia che, se non interrotta, finisce per inghiottire chi l’ha pronunciata.

    . È la smentita di un dogma politico: l’idea che la deterrenza basti. Quando la sicurezza viene intesa come somma di sensori, missili, battaglioni, si smette di osservare la geografia del rancore che si accumula fuori – e dentro – le frontiere. Il 7 ottobre non è la sconfitta di un muro, è la sconfitta di una visione del mondo che ha fatto della superiorità militare l’undicesimo comandamento. In questo senso, l’appello europeo rischia di ripetere lo stesso corto circuito: curare la paura investendo in acciaio, senza interrogarsi su come si fabbrichino alleanze politiche, coesione sociale, visioni condivise del futuro, non è segno di lungimiranza, ma di debolezza strutturale. Nossignori: la guerra non è un referendum sull’efficacia delle armi. E’  un severo test sull’efficacia delle idee che le guidano. E l’idea che la sicurezza possa essere comprata al prezzo di scuole, ospedali, ponti diplomatici. Che sia sufficiente “fare il deserto” per poi chiamarlo pace resta, duemila anni dopo Tacito, la più pericolosa delle illusioni.

     

    UN EPISODIO MOLTO INQUIETANTE: IL BLOG MESSAINLATINO.IT RIMOSSO DALLA PIATTAFORMA BLOGGER

    Capita ormai sempre più di frequente che, in nome del politicamente corretto, si lancino accuse di ‘discorsi d’odio’ – con sanzioni conseguenti -  verso siti online che ospitano riflessioni non in linea con la cultura prevalente in questa nostra società così … inclusiva. E’ già accaduto che venissero rimossi da blog diversi articoli segnalati negativamente (da chi? dai guardiani della nuova morale?) per l’opinione presentata in materia di diritti civili, di immigrazione, di politica internazionale.

    Di una gravità particolare quanto avvenuto venerdì 11 luglio 2025: il popolare e lettissimo blog Messainlatino.it è stato rimosso dalla piattaforma Google/Blogger per asserita violazione della politica contro i cosiddetti ‘discorsi d’odio’. Il blog è uno tra i più importanti della galassia cattolico-conservatrice, attento in particolare ai temi della liturgia, della dottrina sociale della Chiesa, delle modalità e dei contenuti del Magistero e delle nomine ecclesiastiche. Ha un linguaggio forte, a volte ironico e non fa sconti, ma argomenta le sue tesi ed è alieno da toni estremisti, volgari, violenti. Esprime legittimamente opinioni che possono certo urtare i turiferari parrucconi del Pensiero Unico Mediatico, ma in nessun caso – secondo noi – tali opinioni si configurano come ‘discorsi d’odio’.

    Messainlatino.it già nelle scorse settimane aveva subito la rimozione di singoli articoli (poi riammessi dallo stesso Blogger): un’intervista al vescovo conservatore statunitense mons. Strickland contro l’ammissione delle donne al diaconato, uno studio di Corrado Gnerre sulla storia della Massoneria, il richiamo alla dottrina sociale della Chiesa in materia di gay pride, la riproposizione di un’intervista di oltre dieci anni fa al fondatore del movimento neocatecumenale Kiko Arguello.

    Nel ricorso d’urgenza presentato giovedì 17 luglio al Tribunale di Imperia (foro del fondatore del sito), Messainlatino.it evidenzia che la rimozione viola il Digital Services Act, un regolamento europeo con forza di legge (mancanza di motivazioni chiare e specifiche per le restrizioni imposte); viola le condizioni generali di contratto imposte dallo stesso Google (almeno sette giorni di preavviso per dare all’utente la possibilità di risolvere il problema); si configura come appropriazione indebita della proprietà intellettuale (oltre 22mila post con relative fotografie originali inaccessibili non solo al pubblico, ma anche ai titolari e gestori); viola l’articolo 21 della Costituzione italiana sulla libera manifestazione del pensiero. E quest’ultimo è un fatto di una gravità eccezionale, perché configura il rischio di delegare alle piattaforme digitali la definizione dei contenuti delle libertà e l’esercizio della democrazia. Siamo fiduciosi che la magistratura riconosca le ragioni di Messainlatino.it, cui esprimiamo la nostra piena solidarietà.

     

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