UN SINODO PER IL MEDIO ORIENTE DAI TONI FORTI

ROSSOPORPORA DI OTTOBRE 2010 - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' 

 


Interventi articolati e spesso molto preoccupati per la situazione dei cristiani nella regione: citiamo il patriarca Naguib e i cardinali Sandri, Sodano, Foley, Mahony, Pengo, Vingt-Trois, Tauran, Grocholewski, Turkson. In controtendenza il cardinale patriarca Delly. Il 20 novembre 24 nuovi porporati

 

Dal 10 al 24 ottobre l’Aula Nervi ha ospitato la prima ‘Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi’, posta sotto il titolo: La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola’ (At 4,32). Vi hanno partecipato 185 padri sinodali: 9 i patriarchi, 19 i cardinali, 14 i capi dicastero della Curia romana. Gli esperti erano 34, gli uditori 36, i delegati fraterni rappresentavano 13 Chiese e comunità ecclesiali; presenti anche un rabbino e due musulmani (uno sunnita, uno sciita). Il Sinodo ha prodotto un Messaggio e una serie di proposizioni (ora al vaglio del Papa). In questa sede riferiamo di alcuni degli interventi cardinalizi, mentre in questo stesso numero de “Il Consulente RE” online potrete trovare sull’argomento anche una nostra intervista al vescovo maronita libanese Béchara Rai, due commenti di Giuseppe di Leo, due cronache di Marta Petrosillo riguardanti manifestazioni collaterali.

Relatore generale del Sinodo è stato il patriarca Antonios Naguib, numero due nella lista dei nuovi cardinali. Del presule copto riportiamo alcuni passi della Relatio post disceptationem, la relazione in cui ha raccolto gli spunti più validi emersi durante i tanti interventi nell’Aula sinodale e li ha ordinati in vista della redazione del Messaggio finale. Evidenzia il cardinale designato a proposito del “ruolo dei cristiani nella società (mediorientale), nonostante il loro numero esiguo”: “I cristiani del Medio Oriente sono ‘cittadini indigeni’. Appartengono di pieno diritto al tessuto sociale e all’identità stessa dei loro rispettivi Paesi. Bisogna rafforzare questa convinzione nell’animo dei pastori e dei fedeli, per aiutarli a vivere con serenità , forza e impegno nella loro patria”.

A proposito dei “conflitti politici nella regione” osserva il Relatore generale: “Le situazioni politico-sociali dei nostri Paesi hanno una ripercussione diretta sui cristiani, che risentono più fortemente delle conseguenze negative. Pur condannando la violenza da dovunque provenga e invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese, esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq, che sono la vittima principale della guerra e delle sue conseguenze. Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi per gli uni dimenticando il punto di vista e le condizioni degli altri”. Si possono fare due osservazioni. Riguardo al conflitto israelo-palestinese il Messaggio ha toni decisamente più anti-israeliani rispetto a quanto detto dal Relatore generale; riguardo alla situazione in Iraq il contrasto con le parole del cardinale Delly (vedi più sotto) è forte.

Continuiamo con il patriarca Naguib, che – a proposito di “Cristiani ed evoluzione dell’Islam contemporaneo” – scrive: “A partire dagli Anni Settanta constatiamo nella regione l’avanzata dell’Islam politico, che comprende diverse correnti religiose. Esso colpisce la situazione dei cristiani, soprattutto nel mondo arabo. Vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini, a volte con la violenza. Costituisce dunque una minaccia per tutti e noi dobbiamo, insieme, affrontare queste correnti estremiste.

Citiamo un ultimo passo della Relatio post disceptationem: “A più riprese è stato espresso l’augurio di unificare le date di Natale e di Pasqua tra cattolici e ortodossi. Si tratta di una necessità pastorale, visto il contesto pluralista della regione e la quantità notevole di matrimoni misti tra cristiani di denominazioni ecclesiali diverse. E’ anche una potente testimonianza di comunione.”

Veniamo adesso agli interventi cardinalizi in Aula durante i lavori. In apertura il saluto del Sinodo al Papa è stato porto dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Per il porporato argentino “un vincolo aureo unisce tutte le epoche delle Chiese d’Oriente: è il martirio cristiano. Esso illustra anche ai nostri giorni una fedeltà al Vangelo, che ha scritto pagine indelebili di fraternità ecumenica”, Ha poi proseguito il presidente delegato dell’assemblea: “Pur registrando la situazione qualche miglioramento, in taluni contesti i cattolici con gli altri cristiani soffrono ancora ostilità, persecuzioni e il mancato rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa. Il terrorismo e altre forme di violenza non risparmiano nemmeno i nostri fratelli ebrei e musulmani. Vicende umanamente indegne si moltiplicano e colpiscono vittime innocenti. La perdita di persone e di beni, e di ragionevoli prospettive, genera la realtà migratoria, che è triste e purtroppo persistente al di là di talune eccezioni positive. L’angoscia riaffiora non raramente a porre la domanda cruciale se vi possano essere giorni di vera pace e prosperità in Medio Oriente o se per l’avvenire non sia in gioco la stessa sopravvivenza della plebs sancta Dei”.

Il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, ha invocato “un’alba nuova per il Medio Oriente, usando i talenti che Dio ci ha dato”. “Certo, ha poi rilevato il segretario di Stato emerito, “è urgente favorire la soluzione del tragico conflitto israelo-palestinese. Certo, è urgente operare perché terminino le correnti aggressive dell’Islam. Certo dovremo sempre chiedere rispetto per la libertà religiosa di tutti i credenti.”. Insomma “è una missione difficile quella che voi, venerati pastori della Chiesa in Medio Oriente, dovete svolgere in un momento storico così drammatico. Sappiate però che non siete soli nella vostra sollecitudine quotidiana per preparare un avvenire migliore alle vostre comunità”.

Tra i porporati che hanno partecipato al Sinodo il cardinale John Patrick Foley, nella sua qualità di Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro. Del suo intervento riportiamo alcuni passi significativi. A proposito del conflitto israelo-palestinese: “Sono convinto che le continue tensioni tra israeliani e palestinesi abbiano largamente contribuito ai disordini in tutto il Medio Oriente e anche alla crescita del fondamentalismo islamico. Mentre molti, compresa la Santa Sede, hanno suggerito una soluzione a due della crisi israelo-palestinese, più passa il tempo e più una tale soluzione diventa difficile, poiché la realizzazione di insediamenti israeliani e di infrastrutture sotto il controllo israeliano a Gerusalemme est e in altre parti della Cisgiordania rendono sempre più arduo lo sviluppo di uno Stato palestinese possibile e integrale.

Su un altro punto ha insistito il porporato americano: “Durante lo storico pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa dello scorso anno, ho avuto la possibilità di intrattenere brevi conversazioni con leader politici ai massimi livelli in Giordania, Israele e Palestina. Tutti hanno parlato del grande contributo alla comprensione reciproca dato dalle scuole cattoliche in quelle aree. Poiché le scuole cattoliche sono aperte a tutti e non solo ai cattolici e agli altri cristiani, vi vengono iscritti molti bambini musulmani e perfino alcuni bambini ebrei. Gli effetti sono evidenti e illuminanti”. Dall’intervento del Gran Maestro si è poi appreso che dal Giubileo del 2000 l’Ordine del Santo Sepolcro ha inviato in Terra Santa oltre 50 milioni di dollari, per aiutare in particolare (ma non solo) il Patriarcato latino di Gerusalemme.

In conclusione il cardinale Foley ha richiamato una sua notazione di qualche tempo addietro: “Anni fa ho osservato che i cosiddetti cinque pilastri dell’Islam in realtà traggono origine da fonti giudaico-cristiane. Ebrei, cristiani e musulmani credono tutti in un solo Dio; tutti noi pratichiamo la preghiera in modo frequente e, spero, fervente; tutti, in modi diversi, osserviamo il digiuno; crediamo nell’elemosina e la pratichiamo; e tutti cerchiamo di partecipare al pellegrinaggio, anche a Gerusalemme, città sacra per ebrei, cristiani e musulmani”.

Un altro porporato statunitense, il cardinale Roger Mahony, che ha parlato in nome dei vescovi dell’America del Nord, ha espresso un’opinione interessante sui cristiani mediorientali emigrati in quelle terre: “Spesso i cristiani del Medio Oriente vengono nell’America del Nord con atteggiamenti e opinioni nei riguardi sia dei musulmani che degli ebrei che non son in armonia con il Vangelo o con i progressi che abbiamo fatto nei rapporti della Chiesa con le altre religioni. Poiché a Los Angeles viviamo a stretto contatto on persone di molte fedi differenti, come possiamo aiutare il popolo di questa particolare diaspora a correggere queste convinzioni erronee che possono poi influenzare la loro patria attraverso i cristiani che vivono in Occidente?”. Ha concluso l’arcivescovo di Los Angeles: “Sebbene non vogliano sentirselo dire, i cristiani che vivono nel Medio Oriente e quelli emigrati in Occidente hanno bisogno di essere sfidati a essere segno di riconciliazione e di pace. La condizione sine qua non per entrambe le cose è il perdono.”

Il cardinale Polycarp Pengo ha invece rappresentato le conferenze episcopali africane e del suo intervento riportiamo un passo storico riguardante l’Africa orientale: “Fino a circa cinquant’anni fa l’islam era talmente predominane lungo la costa orientale dell’Oceano Indiano da minacciare la fede dei giovani cristiani che provenivano dalle zone interne del continente alla ricerca di lavoro nelle piantagioni di agave e negli uffici governativi delle aree costiere. Quel che ha salvato la situazione nell’Africa orientale è stata la stretta cooperazione tra i missionari cristiani dell’interno e quelli della costa.” Per l’arcivescovo di Dar-es-Salaam “oggi nessun cristiano della costa dell’Africa orientale avverte l’obbligo di nascondere la propria identità cristiana, nonostante il fatto che l’Islam continui ad essere la religione della maggioranza della popolazione. E anche gli insediamenti cristiani separati non sono più necessari”.

Da parte sua il cardinale André Vingt-Trois (in qualità di ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Francia e sprovvisti di ordinario del proprio rito), dopo aver ricordato la tradizionale vicinanza francese alle Chiese del Medio Oriente, ha osservato: “La presenza di comunità cattoliche vive in tutti i Paesi del Medio Oriente garantisce una continuità storica negli stessi Luoghi Santi. Ci aiuta anche nell’esperienza che oggi vive la maggior parte dei Paesi occidentali:l’incontro con l’Islam. In molti Paesi del Medio Oriente i cristiani vivono da secoli in regioni a maggioranza musulmana. Hanno perciò acquisito una provata saggezza nel modo di vivere queste situazioni. D’altra parte la convivenza con un ebraismo vivo, soprattutto in Israele, può inoltre contribuire a far evolvere i rapporti tra ebrei e cristiani. Infine la convivenza delle Chiese cristiane separate proprio sui luoghi della nascita della nostra Chiesa è un forte stimolo per progredire nell’azione ecumenica.”

Annotazioni di rosee tonalità quelle dell’arcivescovo di Parigi, cui accostiamo quelle del connazionale Jean-Louis Tauran, che – intervistato da Repubblica del 23 ottobre – ha così commentato l’intervento di un vescovo libanese: “E dov’è la novità? Da sempre si sa che nel Corano è prevista anche l’uccisione di cristiani con la spada. (…) Il vescovo Raboula Antoine Beylouni lo ha semplicemente ricordato senza tradire nessuna verità. Non sono questi i motivi che mettono a rischio i rapporti cristiano-islamici”. Ha insistito il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso: “Purtroppo è così e, se si fa finta di niente, si rende un cattivo servizio alla verità storica”. Ancora: “Mi rendo conto che toccare certi argomenti a volte può far male. Ma se si vuole veramente promuovere il dialogo interreligioso le verità, anche quelle scomode, non vanno nascoste”. Incuriositi siamo andati a leggere l’intervento (consegnato per iscritto) del vescovo Beylouni nel resoconto puntuale de L’Osservatore Romano. L’abbiamo trovato nel numero del 23 ottobre sotto il titolo La madre di Dio e l’Islam. Scorrendo il testo non abbiamo però scovato passi in cui si evidenziavano verità scomode sul Corano.Allora siamo ricorsi al Bollettino del Synodus episcoporum. E lì che abbiamo trovato? I passi – cuore della riflessione del presule libanese - che L’Osservatore ha graziosamente tagliato (qualche ragione ci sarà…) e che noi invece offriamo alla vostra riflessione. Ha osservato nel suo intervento scritto monsignor vescovo Beylouni, arcivescovo titolare di Mardin dei Siri e vescovo di Antiochia dei Siri: “Ecco le difficoltà con cui ci confrontiamo. Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa, religione insegnata dal più grande profeta, poiché è l’ultimo venuto. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, la lingua del Paradiso, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e la certezza della vittoria. (…) Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Nel Corano ci sono versetti contraddittori e versetti annullati da altri, cosa che permette al musulmano di usare l’uno o l’altro a suo vantaggio; così può considerare il cristiano umile, pio e credente in Dio, ma anche considerarlo empio, rinnegato e idolatra. (…) Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. (…) Non stupisce vedere tutti i Paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i ‘Diritti umani’ sanciti dalle Nazioni Unite”. Si chiede poi il vescovo Beylouni: “Di fronte a tutti questi divieti e argomenti simili dobbiamo eliminare il dialogo?” Risposta. “No, sicuramente no. Ma occorre scegliere i temi da affrontare e gi interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti…che dicano la verità con chiarezza e convinzione”. Monsignor Beylouni suggerisce infine un gesto simbolico di grande portata: dato il rispetto che il Corano porta alla Madonna e a imitazione di quanto è stato fatto recentemente in Libano, la festa dell’Annunciazione sia dichiarata festa nazionale per cristiani e musulmani anche negli altri Paesi arabi.

Torniamo al cardinale Tauran, per ridare qualche passo del suo intervento nell’Aula sinodale. Il porporato francese ha definito il Sinodo “un’opportunità e una sfida”. Opportunità: il Sinodo dovrebbe permettere di comprendere meglio che “i conflitti irrisolti nella regione non sono affatto causati da motivi religiosi” e che c’è “urgenza di una riflessione a tre (ebrei, cristiani e musulmani) sul posto occupato dalle religioni nelle società mediorientali”. Sfida: non si deve essere “timidi nel reclamare non solo la libertà di culto, ma anche la libertà religiosa”. Inoltre “investiamo di più nelle nostre scuole ed università frequentate da cristiani e musulmani”, dato che “esse sono laboratori indispensabili del vivere insieme”. Ancora: “Chiediamoci se facciamo abbastanza, a livello di Chiese locali, per incentivare i nostri cristiani a rimanere sul posto: alloggio, spese per la scuola. Salute. Non ci si deve attendere tutto dagli altri…”. Infine un suggerimento: “La valorizzazione della letteratura arabo-cristiana potrebbe svolgere un ruolo nel dialogo tra cristiani e musulmani”.

Come minimo sorprendente l’intervento del cardinale Emmanuel III Delly, patriarca di Babilonia dei Caldei. “Molti desiderano ascoltare qualche cosa dell’Iraq che oggi occupa nei media un posto importante ed un poco, lo dico subito, esagerato – ha osservato inizialmente il porporato caldeo, che ha continuato che in Iraq “conviviamo pacificamente e liberamente con i musulmani”. Tant’è vero che “solo a Bagdad i cristiani hanno 53 cappelle e chiese e i caldei hanno più di sette diocesi nel Paese”. Per il patriarca “i cristiani sono buoni con i loro confratelli musulmani, e nell’Iraq c’è tra loro un reciproco rispetto”.

Della “lunghissima tradizione educativa” della Chiesa in Medio Oriente ha palato il cardinale Zenon Grocholewski. Per il porporato polacco in quei territori “oggi è presente un migliaio di istituzioni scolastiche cattoliche, con circa seicentomila alunni”. Le scuole “sono generalmente molto apprezzate e offrono l’educazione scolastica senza alcuna distinzione o discriminazione e si rendono accessibili particolarmente ai più poveri”. Ha ricordato il prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica che “nella regione operano quattro Università cattoliche con diverse sedi esterne, otto istituzioni di studi superiori ecclesiastici e almeno dieci seminari di diversi riti”, con una diversità di presenza a seconda dei Paesi. Su un ultimo punto ha messo l’accento il cardinale Grocholewski: “Le nostre istituzioni sono aperte a tutti e rispettose per quanti non condividono la fede cristiana, facendo sì che nessuno si senta ospite o straniero”. Tuttavia “ciò non può significare il tacere i valori cristiani che fondano il sistema educativo cattolico o l’affievolimento della propria specifica identità e missione cristiana”.

Interessante l’intervento del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, che ha invitato i padri sinodali a essere ben chiari a proposito di libertà religiosa: “Visto il tema del messaggio della Giornata mondiale della pace 2011 – Libertà religiosa, via per la pace – occorrerebbe, prima di tutto, ribadire il fatto che la libertà religiosa autentica include la libertà di predicare e di convertire. Inoltre è da notare che, in alcuni Paesi, il discorso sulla libertà religiosa è sempre visto con diffidenza. In questi Stati la libertà religiosa implica relativismo religioso, indifferentismo e la negazione del patrimonio religioso del Paese”. Più in là ha rilevato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “Le Chiese e le religioni di minoranza in Medio Oriente non devono subire discriminazione, violenza, propaganda diffamatoria (anti-cristiana), la negazione di permessi di costruire edifici pubblici di culto e di organizzare funzioni pubbliche. Infatti la promozione delle Risoluzioni contro la diffamazione delle religioni nel quadro dell’ONU non deve limitarsi all’Islam (islamofobia) nel mondo occidentale. Essa deve includere il Cristianesimo (cristianofobia) nel mondo islamico.”

I nuovi cardinali

 

Al termine dell’udienza generale del 20 ottobre papa Bnedetto XVI ha annunciato la creazione di 24 nuovi cardinali (20 elettori, 4 non elettori). Il concistoro ad hoc si terrà il 20 novembre. Ne parleremo ampiamente nel prossimo ‘Rossoporpora’. Intanto ecco la lista nell’ordine ufficiale:  

  1. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi
  2. Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto)
  3. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum
  4. Francesco Monterisi, arciprete della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura
  5. Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore
  6. Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
  7. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani
  8. Paolo Sardi, vice camerlengo di Santa Romana Chiesa
  9. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero
  10. Velasio de Paolis, presidente della Prefettura degli affari economici pontifici
  11. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura
  12. Medardo Joseph Mazombwe, arcivescovo emerito di Lusaka (Zambia)
  13. Raul Eduardo Vela Chiriboga, arcivescovo emerito di Quito (Ecuador)
  14. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo)
  15. Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo
  16. Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington (Stati Uniti d’America)
  17. Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida (Brasile)
  18. Kazimierz Nycz, arcivescovo di Varsavia (Polonia)
  19. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo di Colombo (Sri Lanka)
  20. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Freising (Germania)
  21. (per servigi resi, non elettore) José Manuel Estepa Llaurens, arcivescovo rdinario militare emerito (Spagna)
  22. (per servigi resi, non elettore) Elio Sgreccia, già Presidente della Pontificia accademia per la Vita (Italia)
  23. Walter Brandmüller, già Presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche (Germania)
  24. Domenico Bartolucci, già Maestro direttore della Cappella musicale pontificia (Italia)