CHIESA MEDIATRICE A CUBA

ROSSOPORPORA DI LUGLIO 2010 - 'IL CONSULENTE RE ONLINE'

Il card. Ortega media per il rilascio di decine di prigionieri politici. Violenti insulti di Chavez al card. Urosa Savino. L'Argentina in piazza contro i 'matrimoni gay': gli interventi del card. Bergoglio. Il card. Erraruriz Ossa e l'indulto cileno. Il card. Ouellet nuovo prefetto della Congregazione per i vescovi. Il card. Erdoe e l'Europa a due polmoni. I 96 anni del card. Tonini

 

Il 7 luglio 2010 è uscito un comunicato dell'arcivescovado dell'Avana, in cui si annunciava che il cardinale Jaime Ortega y Alamino era stato ricevuto a mezzogiorno dal presidente Raul Castro. Argomento dell'incontro (cui hanno partecipato anche i ministri degli esteri cubano e spagnolo) gli sviluppi registrati dopo il lungo colloquio del 19 maggio tra gli stessi due interlocutori. Nel testo si annunciava la liberazione immediata o entro tre/quattro mesi di decine di dissidenti arrestati nel 2003 durante la retata del gruppo "Primavera nera" (scrittori, giornalisti, economisti accusati di cospirazione in combutta con gli Stati Uniti). Il rilascio di tanti oppositori (il più consistente dal gennaio 1998, conclusa la visita storica di Papa Wojtyla nell'isola caraibica) non è stato certo casuale ma accompagna un percorso distensivo (anche assai rapido) che ha avuto i suoi momenti più importanti nell'incontro del 19 maggio e in quello del 20 giugno tra Raul Castro e il 'ministro degli esteri' vaticano, l'arcivescovo Dominique Mamberti. Occorre anche rilevare come, se con Fidel lo Stato cubano trattava direttamente con la Santa Sede le questioni politiche rilevanti, in questo caso la Chiesa cattolica locale ha visto riconosciuto dal governo un suo ruolo importante, essendo affiancata e sostenuta in ogni caso dalla diplomazia vaticana.

 

Dopo la morte il 24 febbraio, all'84mo giorno di sciopero della fame, del dissidente Orlando Zapata e dopo che il dissidente Guillermo Farinas era giunto in gravi condizioni al 135mo giorno di sciopero della fame iniziato per protesta contro la morte di Zapata, il regime ha dunque ritenuto di dare una prova di 'apertura' riconoscendo le ragioni della mediazione voluta dalla Chiesa (in questo caso con l'inconsueto appoggio della Spagna). L'incontro del 19 maggio - durato quattro ore e cui aveva partecipato anche il presidente della Conferenza episcopale cubana, l'arcivescovo Dionisio Guillermo Garcia Ibañez - aveva già dato qualche frutto tangibile con la liberazione del dissidente paraplegico Ariel Sigler Amaya e il trasferimento in prigioni più vicine a casa di altri dodici oppositori. Il 20 giugno poi Raul Castro aveva incontrato l'arcivescovo Mamberti, volato a Cuba per cinque giorni, ufficialmente in occasione della Settimana sociale cattolica e per festeggiare il 75mo anniversario dell'instaurazione di rapporti diplomatici tra l'isola caraibica e la Santa Sede. L'incontro del 7 luglio ha sancito la liberazione di altri 52 dissidenti, in parte già giunti nell'esilio spagnolo, doloroso per molti ma per il momento 'obbligato'. Dalla vicenda esce rafforzato nei suoi rapporti con il potere castrista il cardinale Ortega y Alamino, il settantatreenne arcivescovo dell'Avana cui spetta ora il non facile compito di mantenere e, se possibile, accentuare l' "apertura" mostrata da Raul Castro. In vista dell'auspicata transizione verso una forma di governo più democratica e un tipo di società nelle cui carceri non si consumino più le vite di prigionieri per motivi politici o di fede religiosa.

Nella rubrica Rossoporpora del numero di settembre 2009, il primo de Il Consulente RE online, si era dato ampio spazio alle aggressioni verbali del presidente venezuelano Hugo Chavez contro la Chiesa Cattolica locale e in particolare contro l'arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa Savino. In questi ultimi mesi e settimane la storia si è ripetuta e aggravata: gli insulti, conditi di minacce preoccupanti, del caudillo bolivariano sono ormai divenuti regola. Ripercorriamo alcuni momenti significativi dello scontro vissuti in questo 2010 con l'aiuto dell'agenzia cattolica ACI-Prensa, specializzata in notizie dall'America latina e dalla Spagna. A fine gennaio il cardinale Urosa Savino, dopo che Chavez aveva espropriato un canale televisivo d'opposizione, si era detto – in dichiarazioni alla Union Radio di Caracas - molto preoccupato per i modi d'agire del governo, modi "totalmente anticostituzionali". Del resto, aveva avvertito il porporato sessantasettenne, "siamo di fronte all'accelerazione della rivoluzione socialista", dato che "si restringono i poteri della gente per accrescere quelli dello Stato". A maggio nuovo episodio dovuto a militanti chavisti che in quartiere-bastione di Caracas avevano dipinto Gesù Cristo e la Madonna con fucili in mano. Aveva così reagito il cardinale, sempre alla Union Radio: "Esprimiamo il nostro rifiuto più deciso per l'uso indebito delle immagini sacre a fini politici e di violenza. Esse non sono espressione artistica, dato che l'arte esiste per promuovere il gusto della bellezza e non della violenza e della morte".

Il 5 luglio, in Parlamento, durante la cerimonia per i 199 anni dalla Dichiarazione d'Indipendenza, Chavez ha definito troglodita il cardinale, tacciato di essere indegno, accusato di seminare paura evocando il comunismo. Per il presidente il Venezuela "non merita un cardinale come lui" e "il popolo merita rispetto dalla gerarchia apostolica e romana". Chavez ha detto nell'occasione che il suo candidato a "super-cardinale" è Mario Moronta, vescovo di San Cristobal, città delle Ande venezuelane: "Lo merita e la Conferenza episcopale l'ha mandato là quasi in esilio". Da notare che il citato vescovo ha reagito così alla proposta chavista: "Squalificare il cardinale Urosa Savino non è buona cosa per molti motivi: prima di tutto è una persona, poi non è né un uomo indegno né un troglodita".

Proseguiamo: nello stesso discorso in Parlamento Chavez ha ancora affermato che il popolo venezuelano "non è manipolabile dalle sottane. Arriva questo cardinale a suscitare paura nel popolo con l'argomento del comunismo, come se noi coltivassimo un progetto comunista. Ma questo signore non è al corrente che l'Unione sovietica è ormai passata alla storia? " Nella stessa cerimonia il caudillo si è rivolto al nunzio apostolico Pietro Parolin (presente), pregandolo di trasmettere un messaggio a papa Benedetto XVI per ribadire come gli attuali vescovi venezuelani siano un fattore di conflitto.

Alla dura reazione del mondo cattolico alle aggressioni verbali Hugo Chavez ha fatto seguire un'altra sequela di insulti dagli schermi televisivi, durante il suo tradizionale programma: "Che il diavolo vi porti, monsignori – ha detto tra l'altro – Vi potrete anche vestire da cardinali, da vescovi, però siete il demonio, difensori degli interessi più putridi. Dovreste andare a lavorare".

Da parte sua il cardinale Urosa Savino non si è lasciato intimidire, facendo notare che il presidente "non ha nessuna licenza per insultare, diffamare e ingiuriare nessun venezuelano". Aggiungendo poi: "Più che di respingere le offese, qui si tratta di denunciare il pericolo per la nostra cara Patria. Senza pressioni di nessuno, senza che nessuno mi mandi a dire nulla, ma obbedendo solo alla voce della mia coscienza di venezuelano e di arcivescovo di Caracas davanti alla realtà che stiamo vivendo, ho rilasciato alcune dichiarazioni pubbliche. Purtroppo il presidente, invece di riflettere sugli argomenti esposti, e rettificare la sua linea di condotta, si limita a squalificare e a offendere". Per il porporato "il presidente e il suo governo, facendo strame della Costituzione, vogliono far imboccare al Paese la via del socialismo marxista, che monopolizza tutti gli spazi, è totalitario e conduce a una dittatura neanche del proletariato ma della cupola al potere". Il cardinale Urosa Savino ha ricordato anche che il 2 dicembre del 2007 la maggioranza del popolo aveva votato contro la proposta di trasformare la Costituzione in senso socialista: eppure, "grazie a leggi incostituzionali, si vuole impiantare in Venezuela un regime marxista, come del resto più volte affermato dal presidente".

Hugo Chavez ha successivamente, dagli schermi televisivi, rincarato la dose, accusando il cardinale Urosa Savino di essere un golpista, un vagabondo, un maleodorante, un bugiardo ("Non ti lascerò più perdere per tutta la vita, cardinale. So chi sei e la struttura mentale minuscola che hai"), i vescovi di essere dei cavernicoli ("Bisognerebbe esortarli a togliersi la sottana che nasconde la vile manipolazione del popolo, che però non crede più in loro") e chiedendo di ridiscutere - perché garantirebbero "privilegi" inaccettabili in violazione della Costituzione - gli accordi firmati con la Santa Sede nel 1964. Il caudillo in tv non ha poi esitato a osservare che il Papa "non è l'ambasciatore di Cristo in terra, come dicono loro", dato che "Cristo non ha bisogno di ambasciatori, trovandosi già nel popolo, fra quelli di noi che lottano per la giustizia e la liberazione degli umili". Per il nunzio Pietro Parolin – diplomatico paziente e di provata esperienza - il lavoro non manca e non mancherà di certo. Da notare anche che in Venezuela esiste da un paio d'anni una "chiesa cattolica riformata", "chiesa del popolo", con circa duemila fedeli (prima di tutto a Chavez).

Alle quattro del mattino del 14 luglio, dopo una discussione durata quindici ore, il Senato argentino con 33 sì, 27 no, 3 astenuti, 9 assenti ha approvato una modifica del Codice civile che riconosce e parifica in tutto e per tutto (adozioni, eredità, benefici sociali) le unioni omosessuali al matrimonio. I termini marito e moglie sono sostituiti da contraenti. La modifica era stata già approvata dalla Camera il 5 maggio. L'Argentina è diventata così il primo Stato latino-americano a riconoscere le cosiddette "nozze gay" (nel pantheon degli 'illuminati' in prima fila – ça va sans dire - Olanda, Belgio, Spagna, seguiti da Canada, Africa del Sud, Norvegia, Svezia, Portogallo e Islanda). Dal mondo cattolico argentino si sono già levate diverse voci per il lancio di un referendum abrogativo. Tra i protagonisti della dura battaglia combattuta dalla Chiesa contro il disegno di legge (anche attraverso una forte mobilitazione del laicato) il cardinale Jorge Mario Bergoglio. Già il 17 novembre del 2009 il primate argentino aveva pubblicato un documento in cui si leggeva tra l'altro: "La parola matrimonio si riferisce proprio alla qualità legittima di madre che la donna ha acquisito attraverso il matrimonio. Si è spesso erroneamente tentato di associare il termine matrimonio al sacramento cattolico con lo stesso nome, ma non si ricorda mai che la parola e la realtà che vuole esprimere, è stata consacrata dal diritto romano, molto prima che il cristianesimo apparisse nella storia dell'umanità". Dopo il 'sì' della Camera alla nuova norma, il mondo cattolico si era mobilitato raccogliendo oltre mezzo milione di firme contro la modifica e radunando in varie località argentine migliaia di persone per testimoniare l'attaccamento alla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

La manifestazione più importante si è tenuta nella piazza davanti al Congreso de la Nacion il 13 luglio sera, in contemporanea con il dibattito in aula. Il cardinale Bergoglio aveva auspicato agli inizi di luglio una presenza massiccia di cattolici, invitando parroci, rettori e cappellani di tutte le chiese del Paese a favorire la partecipazione popolare. Nelle chiese dell'arcidiocesi di Buenos Aires domenica 11 luglio, su invito del porporato settantatreenne, è stata letta la dichiarazione "Sul bene inalienabile del matrimonio e della famiglia" emessa dalla Conferenza episcopale. Sempre in quei giorni il presule gesuita, in una lettera indirizzata alle suore carmelitane dei quattro monasteri di Buenos Aires, si era detto convinto che "se il disegno di legge, che prevede per le persone dello stesso sesso la possibilità di unirsi civilmente e di adottare anche bambini, dovesse essere approvato, potrà danneggiare seriamente la famiglia". Grande l'importanza del voto parlamentare: "Sono in gioco l'identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli". Perciò "non dobbiamo essere ingenui – così concludeva la lettera il cardinale Bergoglio – questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio".

Qualche dettaglio significativo sulla manifestazione del 13 luglio sera e notte: onorata dalla presenza di oltre centomila cattolici, era posta sotto il motto Quieremos mamá y papá paras nuestros hijos . Il cardinale aveva chiesto di portare solo bandiere argentine e consignas positivas para el matrimonio varón-muyer. Così è stato. Come leggiamo in una notizia particolareggiata dell' Agencia Informativa Catolica Argentina (AICA), i manifestanti ( en su mayoría familias con hijos, estudiantes y representantes de movimientos eclesiásticos ) erano vestiti di arancione; un momento molto emozionante si è avuto quando ha fatto il suo ingresso nella piazza la bandera nacional traìda especialmente desde Rosario, al grito de "Argentina, Argentina". Dopo la proclamazione di un Manifiesto por el matrimonio y el derecho prioritario de los niños, sono state lette le adesioni del cardinale Bergoglio e dei rappresentanti cristiano-evangelici ed evangelico-pentecostali. La manifestazione ha conosciuto momenti di forte tensione e la polizia è dovuta intervenire per impedire scontri di piazza con i sostenitori della norma contestata. Approvate dal Senato (a ben guardare i 'sì' sono stati 33 su 72 membri) le cosiddette "nozze gay", le reazioni del mondo cattolico non si sono fatte attendere: in un commento sintetico ma molto significativo il cardinale Bergoglio ha parlato di "una guerra contro Dio". Ora attendiamo gli sviluppi per un possibile referendum.

La 'questione argentina' è stata seguita con assiduità e un rilievo notevole da L'Osservatore Romano che il 21-22 giugno titolava: I cattolici argentini per il matrimonio e la famiglia; l'8 luglio Iniziative dei cattolici argentini per la tutela della famiglia; il 12-13 luglio Il cardinale Bergoglio invita gli argentini a una marcia a difesa della famiglia; il 15 luglio Migliaia di argentini in piazza per dire no alle unioni omosessuali; il 21 luglio In Argentina proposte di referendum contro i "matrimoni" omosessuali. Anche Avvenire del 15 luglio riporta con grande rilievo un ampio servizio intitolato Argentina, scontro sulle nozze gay; il 16 al voto è dedicata quasi un'intera pagina con un grande e significativo titolo: Nozze gay, l'Argentina copia Zapatero/Per 6 voti passa la legge dopo un furioso dibattito e scontri fuori dal Senato. Forte dunque l'attenzione da parte dei due quotidiani cattolici, certo motivata anche dalla necessità di una difesa preventiva contro l'odierno frenetico attivismo delle lobbies omosessuali pure in Italia.

Il 22 luglio il cardinale Javier Errazuriz Ossa ha incontrato, insieme con il presidente della Conferenza episcopale cilena monsignor Alejandro Goic Karmelic, il capo dello Stato da poco eletto Sebastian Piñera per consegnargli una richiesta di indulto per i militari condannati in ragione della violazione dei diritti umani commessa durante gli anni di Pinochet: la richiesta, contenuta in un documento redatto dal Comitato permanente della Conferenza episcopale, interessava detenuti malati, anziani o che avessero già scontato una buona parte della pena. Comprensibile che il passo abbia suscitato una forte levata di scudi, soprattutto da parte di chi ha avuto in famiglia vittime delle azioni repressive condotte in particolare al momento dell'instaurarsi sanguinoso, nel settembre del 1973, del regime militare che aveva deposto – con il consenso di una parte della popolazione - il controverso governo marxista di Salvador Allende. L'iniziativa ecclesiale, voluta in occasione del bicentenario dell'indipendenza cilena, è stata accolta parzialmente dal capo dello Stato, che – come scrive L'Osservatore Romano del 26-27 luglio – ha escluso una concessione generalizzata della grazia, ma ha assicurato che valuterà ogni singolo caso e garantirà un'attenzione particolare del governo verso la dignità dei carcerati. Per il cardinale Errazuriz Ossa in ogni caso "non tutti hanno avuto le stesse responsabilità nei delitti commessi" negli anni della dittatura; va detto che "la concessione della grazia generalizzata sembrerebbe altrettanto fuori luogo che il rifiuto in blocco di graziare tutti quelli che facevano parte delle forze dell'ordine". Per il porporato settantasettenne infine lo slogan "né perdonare né dimenticare" non può essere fatto proprio da un popolo, quello cileno, così radicato nel cristianesimo.

Il 30 giugno il sessantaseienne cardinale Marc Ouellet è divenuto prefetto della Congregazione per i vescovi, succedendo al settantaseienne confratello Giovanni Battista Re. Nato nel 1944 a La Motte, nel Canada francofono, ordinato sacerdote nel 1968, due anni dopo l'odierno porporato va in Colombia per insegnare teologia nel Seminario maggiore di Bogotà, retto dalla Compagnia dei sacerdoti di San Sulpizio (in cui entrerà nel 1972). Al momento dell'arrivo i seminaristi erano ridotti a una cinquantina, data la crisi che la Chiesa cattolica attraversava nel Paese: l'allora giovane sacerdote constatò però la reazione forte dell'episcopato colombiano, che portò in cinque anni al raddoppio del numero dei seminaristi. Tale esperienza ha sicuramente marcato la mentalità di Marc Ouellet che, tra l'altro, è diventato presidente dell'importante Pontificia Commissione per l'America latina. Venuto a Roma per la licenza in filosofia presso l'Angelicum, poi tornato in Colombia, nel 1976 è richiamato in Canada, presso il Seminario maggiore di Montréal. Dopo aver conseguito ancora a Roma nel 1983 il dottorato in teologia dogmatica presso la Gregoriana, ritorna in Colombia fino al 1990, anno in cui diventa rettore del Seminario maggiore di Montréal e poi di Edmonton. Ordinario di teologia dogmatica alla Lateranense (1996-2002), scrive sulla rivista balthasariana e ratzingeriana Communio (come gli odierni confratelli Kasper, Lehmann, Scola, Schönborn, Medina Estevez, il vescovo Eugenio Corecco prematuramente scomparso).

Il 3 marzo del 2001 diventa segretario del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani ed è consacrato vescovo dallo stesso Giovanni Paolo II nella festa di San Giuseppe. Il 15 novembre del 2002 è chiamato come nuovo arcivescovo di Québec e primate del Canada (carica dalla forte valenza simbolica, anche se solo onorifica). Il 21 ottobre del 2003 riceve la porpora. E' anche Relatore generale del Sinodo dei vescovi dell'ottobre 2008, il che è sicuro indizio della stima di cui gode presso papa Benedetto XVI.

Dal dossier preparato da Radio Canada riprendiamo alcune affermazioni fatte dal neo-prefetto in occasioni diverse. 16 novembre 2002: "Non sono per il matrimonio dei preti. Essi hanno scelto liberamente il celibato al momento di impegnarsi in questo cammino vocazionale". 26 gennaio 2003: "La cultura moderna livella le differenze. Insiste sulla tolleranza verso gli altri, ma teme la differenza, soprattutto quella sessuale, tanto fondamentale. Si cerca di sopprimere la differenza e questo non mi pare proprio sano". 26 gennaio 2003: Se noi non abbiamo famiglie solide, che durano, che sono fondate sul matrimonio, che sono aperte alla vita e danno dei bambini, non c'è avvenire, non solo per la Chiesa, ma anche per la società". In occasione del dibattito del 2007 sulle differenze culturali, il cardinale Ouellet evidenzia che "il Québec conosce un vuoto spirituale che mina dall'interno la cultura indigena e genera insicurezza". Il Québec, dichiara, "è maturo per una nuova evangelizzazione in profondità e per un ritorno alle fonti della propria storia". Non bisogna perciò "cedere alla pressione dell'integralismo laicista", ma "reimparare il rispetto della religione", che deve aver posto anche a scuola, secondo le tradizioni del Québec. Il 15 maggio scorso, parlando a un congresso pro-vita a Ottawa, il porporato ha denunciato la "cultura della morte" e ha anche osservato: "Capisco molto bene che una donna violentata vive un dramma e che deve essere aiutata. Ma deve esserlo in rapporto alla creatura che cresce nel suo grembo. Non è responsabile di ciò che è accaduto. E' l'aggressore che è responsabile. Ma c'è già una vittima. Perché ce ne dovrebbe essere un'altra?" (tale osservazione ha sollevato un gran putiferio nel mondo canadese, molto secolarizzato).

In un'intervista ad Avvenire del 21 luglio il cardinale Peter Erdö, che è anche presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE), ha parlato delle condizioni in cui versa il continente. A proposito di oriente e occidente, l'arcivescovo di Budapest-Esztergom ha rilevato: "Si poteva, si può e si potrà parlare di un Est e di un Ovest dell'Europa, eppure siamo una cosa sola". E' vero che "la parte latina e quella culturalmente bizantina dell'Europa mostrano tuttora delle differenze: comprenderle e apprezzarle è ancora un compito arduo". Osserva il porporato cinquattottenne: "Qualcuno, durante le ultime guerre dei Balcani, ha chiesto quale fosse la posta in gioco di quelle lotte così complesse. E un ungherese che conosceva un po' la storia ha risposto: Si tratta, come sempre, della collocazione precisa di una linea definita ancora da Diocleziano.". Certo nel XX secolo il dualismo Est-Ovest ha assunto un preciso significato politico; oggi però "la cortina di ferro grazie a Dio non esiste più". A proposito dei rapporti cattolico-ortodossi il cardinale Erdö ha riconosciuto che "sentiamo un'attrazione speciale per il dialogo con l'ortodossia". Il che si evidenzia anche nell' "accompagnare con gioia il fatto che diverse Chiese ortodosse dell'Est europeo, distrutte e perseguitate per decenni, stanno ritrovando sia un'alta qualità di cultura artistica e teologica cristiana che un rapporto organico con la vita del proprio popolo". Nel dialogo riguardante la fede, "la somiglianza è così grande che proviamo quasi un dolore fisico per la mancanza della piena comunione". La collaborazione è però intensa nel dialogo che fa riferimento "alla promozione dei valori della morale cristiana e della dottrina sociale". Tanto è vero che "è nato il Forum cattolico-ortodosso europeo, che comincia a dare i primi frutti, per esempio nella chiara posizione comune circa la famiglia".

Il 20 luglio il cardinale Ersilio Tonini ha compiuto 96 anni, essendo nato nel 1914 a Centovera di San Giorgio Piacentino. Voluto da Paolo VI nel 1969 vescovo di Macerata e Tolentino, trasferito sei anni dopo a Ravenna-Cervia nel 1975, resterà titolare di quest'ultima sede fino al 1990, quando Giovanni Paolo II accoglierà le sue dimissioni per ragioni di età. Cardinale dal 1994, il presule è conosciuto per la sua appassionata capacità di comunicatore, per la sua grande curiosità intellettuale e per la semplicità dei modi: direttore dal 1947 del settimanale diocesano di Piacenza Il nuovo giornale, è stato anche chiamato nel 1978 a presiedere il consiglio di amministrazione della società editrice di Avvenire. Sensibile ai bisogni del prossimo, abbandonò l'appartamento nel magnifico palazzo arcivescovile di Ravenna per far posto a un gruppo di tossicodipendenti sulla via della redenzione, ritirandosi presso l'Opera Santa Teresa, istituto di vicinanza ai malati gravi fondato da don Achille Lolli. In un'intervista rilasciata al Resto del Carlino in occasione del compleanno il porporato ha ribadito: "Per me gli anni non contano. La vita è bella a 10 come a 100 anni se concepita come slancio verso il futuro e non come fardello da portare sulle spalle". Il rischio più grande oggi? "Lasciarsi sfuggire il tempo. Il rischio è ritrovarsi senza niente in mano e accorgersi, quando ormai è troppo tardi, che avresti potuto arricchirti e non l'hai fatto. Non parlo ovviamente di ricchezza materiale, ma di quei doni spirituali che possono migliorare anche la più piccola parte del mondo".

Il 24 luglio, poi, il cardinale Tonini ha partecipato in diretta radiofonica alla serata inaugurale della tradizionale Festa di Avvenire a Lerici. Tra le sue riflessioni quelle su Paolo VI: "Aveva capito che Avvenire poteva essere – ed è – un mezzo potente per parlare con una sola voce e contemporaneamente a tutto il Paese e a tutto il mondo cattolico". Infatti noi "siamo Chiesa non solo perché condividiamo idee, messaggi, dottrina, ma anche perché le nostre coscienze vibrano insieme, dentro gli stessi eventi, la stessa storia, le stesse passioni, le stesse urgenze. Come una famiglia". Il porporato ha invitato tutti a "imparare a parlare al mondo intero" e a non temere "di educare i nostri bambini e i nostri ragazzi a questa sfida". Qui ha puntualizzato: "Stiamo facendo un grande errore a credere che ai nostri figli interessino solo i loro giochetti... No! I bambini e i ragazzi sono capaci di grandi pensieri e di grandi cose". Perciò "aiutiamoli a capire che hanno una missione nella vita, che Dio li ha chiamati a un destino, che sono loro la speranza della Chiesa e del mondo". C'è poi un ringraziamento tutto speciale da fare, a Dio, "per "aver capito fin da bambino che anch'io avevo un destino grande. E averlo capito grazie ai miei genitori, ai maestri, ai preti, nelle esperienze semplici della vita quotidiana. Com'era andare a scuola o servire Messa o accompagnare il parroco quando visitava i malati o entrava in case toccate dal lutto... Lì ho capito che la fede, l'intelligenza, la cultura, sono doni che abbiamo ricevuto per diventare noi stessi dono per gli altri".