LA RINUNCIA DI PAPA BENEDETTO XVI

UNA RINUNCIA LUNGAMENTE MEDITATA – DI GIUSEPPE RUSCONI, ‘CORRIERE DEL TICINO’ DI MARTEDI’ 12 FEBBRAIO 2013

 

Tutto era calmo in Sala stampa vaticana, perfin sonnacchioso, come in un normale giorno di festa, nel nostro caso per l’84.mo anniversario della stipula dei Patti Lateranensi.

 

Ce ne siamo andati verso le 11.25;  saliti sul bus, siamo scesi al Corso e ci siamo incamminati verso la Sala stampa estera. Dal portone vediamo uscire a grandi passi tre colleghi, dagli occhi spiritati. “Dove andate così sconvolti?” “In Sala stampa vaticana”, grida la collega della ‘Welt’. “Se  ci sono appena uscito… che è successo?” “Il Papa ha annunciato le dimissioni!” “Non sarà uno scherzo del lunedì di Carnevale?” “No, no, sta su tutte le agenzie!”. Il trio mi ha inglobato e poi, tutti su di un taxi, verso via della Conciliazione. Quando entriamo in Sala stampa vaticana verso la mezza, è già in buona parte occupata. In un paio di minuti lo è totalmente. Arriva padre Federico Lombardi e ci legge e ci spiega quel che sa, colto anche lui di sorpresa, ma in ogni caso “pieno d’ammirazione” per un gesto “di grande coraggio e onestà”.

Nell’adiacente Piazza San Pietro molti non sanno ancora nulla. Carla e Maria, anziani coniugi piemontesi, invitano a non scherzare, anche se è il periodo. Jarek è un polacco di Cracovia che parla un po’ l’italiano: si rabbuia e se ne va scotendo la testa. Il sorriso luminoso di Irene, catechista a santa Barbara alle Capannelle, si muta in espressione di stupore e le domande giungono spontanee e per niente banali: “Non ci posso credere! Ma è mai successo prima? E’ un messaggio forte! Ci dobbiamo preoccupare?” 

E’ giorno di vacanza dentro le Mura Leonine e anche per i frequentatori dei Palazzi delle Congregazioni (sarebbero i Ministeri). Però nelle viuzze di Borgo c’è sempre qualcuno in giro; e i telefoni funzionano. Anche il mondo vaticano è frastornato. Tuttavia la reazione va molto al di là del primo moto di stupore. Prima di tutto bisogna ricordare che il tema delle eventuali dimissioni non è nuovo in papa Ratzinger. L’ha elaborato certamente negli anni conclusivi del pontificato di Giovanni Paolo II, quando ha assistito da vicino al lungo calvario fisico del papa polacco. L’ha perfezionato dopo essere divenuto Benedetto XVI, tanto è vero che nel 2010, aveva risposto così alla domanda ad hoc postagli in “Luce del mondo” dal giornalista Peter Seewald: “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”. Benedetto XVI ha voluto ammettere chiaramente tale sua condizione nella “Declaratio” letta alla fine del Concistoro per tre canonizzazioni: “Il vigore sia del corpo sia dell’animo (…) negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Papa Ratzinger, per cultura, educazione, interessi e carattere è sempre stato molto diverso dal suo predecessore, che aveva accettato di continuare ad essere Papa, anche non governando pienamente la Chiesa, ma offrendo al  mondo la testimonianza della sua sofferenza. Del resto lo stesso Karol Wojtyla nell’aprile del 1994, ricoverato al Gemelli per un’operazione al femore, aveva detto al chirurgo (secondo le parole dell’allora portavoce Navarro Valls): “Professore, io e Lei abbiamo un’unica scelta: Lei mi deve curare e io devo guarire, perché nella Chiesa non c’è posto per un Papa emerito”. Joseph Ratzinger da anni la pensa diversamente. Il papa bavarese ha una concezione sacrale del servizio cui è stato destinato: ha sempre voluto svolgerlo al cento per cento, nella pienezza delle sue forze. Mai accetterebbe di essere Papa al cinquanta per cento. Tanto più che oggi la Chiesa ha bisogno di un nuovo slancio evangelizzatore. Ha bisogno di un Papa che non sappia soltanto giungere alle menti e ai cuori degli uomini con le frasi semplici e fondamentali di cui Joseph Ratzinger è maestro, ma di un Papa che abbia energie fisiche e mentali adeguate per entusiasmare i popoli e per far fronte all’ondata laicista che minaccia di stravolgere con ritmo accelerato le radici cristiane e umane non solo dell’Occidente. E’ opinione diffusa qui in Vaticano che sulla decisione annunciata oggi da Joseph Ratzinger abbiano influito sia il suo progressivo indebolimento fisico e mentale che la necessità impellente di contrastare con forza ed efficacia proprio l’avanzata mondiale, foraggiata dalla potenza del denaro, delle lobby relativiste e nichiliste. Il gesto di Benedetto XVI è giudicato da molti come coraggioso, da tutti di grande onestà intellettuale. Trova scarso credito la tesi, oggettivamente difficile da credere, che Papa Ratzinger si sia ritirato perché si ritiene sconfitto nelle sue grandi battaglia per la vita e la famiglia. Non è da lui, per chi lo conosce anche un minimo. Poco credito anche per la tesi che abbiano influito significativamente sulla decisione le questioni dello scandalo degli abusi sessuali e delle fughe di notizie conosciute come Vatileaks. Papa Ratzinger da cardinale prefetto di “Propaganda fide”, ha vissuto, da osservatore, per più di 23 anni la vita curiale e in quel lungo periodo ha imparato a conoscerne vizi e virtù: Vatileaks l’ha certo addolorato (soprattutto per l’infedeltà del maggiordomo), ma non certo sorpreso. 

Lo stupore dentro le Mura è derivato sostanzialmente dai tempi scelti per l’annuncio, non in sé dai contenuti. Dato che la decisione è stata lungamente meditata, appaiono sotto nuova luce anche la nomina del segretario personale Gaenswein a prefetto della Casa pontificia e soprattutto la creazione a fine novembre di sei nuovi cardinali, tra i quali l’apprezzatissimo patriarca maronita libanese Béchara Rai e il cinquantacinquenne filippino Luis Antonio Tagle. In un batter d’occhio già sono spuntate liste di papabili, con indicazioni di presunti ‘favoriti’. Non siamo però al gioco del Lotto e quindi consiglieremmo prudenza.