150 ANNI DELL'O.R.: INTERVISTA AL DIRETTORE VIAN

150 ANNI DE 'L'OSSERVATORE ROMANO': INTERVISTA AL DIRETTORE GIOVANNI MARIA VIAN - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI MAGGIO 2011

 

Nell’intervista a tutto campo le novità introdotte, gli abbinamenti con altre testate, la questione degli abbonamenti, lo spadone e la ragione, soddisfatti e insoddisfatti, ’Avvenire’ e ‘Osservatore’, le critiche alla beatificazione di Giovanni Paolo II

 

Nel centocinquantesimo di quel singolarissimo giornale che è L’Osservatore Romano e a oltre tre anni e mezzo dall’intervista rilasciataci a un mese dall’insediamento quale suo direttore (28 ottobre 2007), rieccoci a parlare con Giovanni Maria Vian del quotidiano della Santa Sede e delle novità –molte, di forma e di contenuto -  introdotte in questo lasso di tempo. Il noto storico (storia della Chiesa, filologia patristica) e giornalista cinquantanovenne sembra esercitare con competenza, fantasia e anche con gaudio l’impegnativo servizio richiestogli da Santa Romana Chiesa, come emerge dal colloquio che segue. Nell’ultima parte dell’intervista anche un accenno ad alcune polemiche che hanno accompagnato la beatificazione di Giovanni Paolo II, un evento  cui L’Osservatore ha dedicato tra l’altro un numero speciale in sette lingue, stampato in Vaticano e in altri Paesi di quattro continenti con una tiratura di 400mila copie. Tra l’altro il quotidiano della Santa Sede sta proprio in queste settimane preparando un nuovo ‘speciale’, stavolta dedicato ai suoi centocinquant’anni.  

 

 

Caro direttore, nell’intervista che Le feci per Il Consulente RE (allora cartaceo) numero 10/2007, qualche settimana dopo il Suo insediamento da timoniere de L’Osservatore Romano, Lei rilevò tra l’altro: “L’esperienza è appassionante: ciò vale per qualsiasi giornale, ma costruire quotidianamente il giornale del Papa è, se possibile, ancora più impegnativo”. Gli anni sono volati, ne sono già passati più di tre e mezzo da quell’intervista: il Suo entusiasmo è sempre lo stesso? O magari si annoia?

Non mi annoio per niente. L’esperienza resta appassionante, anzi – se si può dire – ancora più appassionante. Quanto più si viene a conoscere lo spirito che anima L’Osservatore Romano, tanto più si scoprono le sue enormi potenzialità, tutto quello che il nostro caro Osservatore Romano (come lo definiva Pio XI) può rappresentare. Certo, rispetto al tempo di papa Ratti non c’è più solo il quotidiano, che è accompagnato da ormai otto edizioni settimanali in altrettante lingue e da quella mensile in polacco. L’Osservatore Romano ha poi sviluppato il suo sito, che nel 2007 era embrionale: da poche settimane – proprio in coincidenza con l’inizio del settimo anno di pontificato di papa Benedetto XVI – è stato poi completamente rinnovato e lanciato, oltre che in italiano, in spagnolo e in inglese.

Alcune edizioni settimanali da qualche tempo godono di una diffusione molto più ampia, grazie alla politica degli abbinamenti, da Bergamo a Madrid passando per Milano…Una novità della Sua direzione. Perché avete pensato agli abbinamenti? Li avete proposti voi o ve li hanno chiesti?

 

Sono idee che nascono nell’ambito dei rapporti personali di conoscenza e di amicizia tra direttori.  Il primo abbinamento è stato con LEco di Bergamo ed è stato pensato come un omaggio della diocesi bergamasca alla Santa Sede nel cinquantesimo della morte di Giovanni XXIII, nel 2008.

Come vi siete organizzati tecnicamente?

 

In un primo tempo noi mandavamo il sabato l’edizione quotidiana che veniva poi inserita nell’ Eco di Bergamo della domenica. Notoriamente noi usciamo con la data del giorno dopo. L’iniziativa è stata valutata positivamente dai lettori. Quando LEco di Bergamo – che, lo ricordo, è un giornale ben fatto, è il secondo quotidiano cattolico d’Italia ed è partecipato nella proprietà in misura rilevante dalla diocesi, una diocesi importante – ha deciso di ridurre il suo formato, noi non riuscivamo più a inserire il nostro quotidiano, troppo grande. Perciò optammo per la nostra edizione settimanale in lingua italiana, detta “dei parroci”, poiché – quando nacque nel secondo dopoguerra – riportava il meglio degli articoli apparsi durante la settimana sul quotidiano e dunque era una sorta di compendio facilmente fruibile da loro: il formato del settimanale è la metà di quello del quotidiano, così da ben prestarsi all’inserimento nell’ Eco di Bergamo rinnovato.

Veniamo all’abbinamento con La Razón

 

E’ il più importante dal punto di vista del numero di copie, circa duecentomila. La Razón di Madrid ogni domenica stampa e diffonde la nostra edizione settimanale in lingua spagnola: noi prepariamo l’edizione, poi la inviamo ai nostri colleghi per via elettronica. Per il resto fanno tutto loro, stampa a colori compresa, senza costi aggiuntivi per la Santa Sede e neppure per i lettori spagnoli…

L’hanno chiesto loro?

 

Sì, l’hanno chiesto loro. L’idea è nata nell’ambito di un seminario organizzato dalla Conferenza episcopale spagnola. Si sono stipulati degli accordi ad hoc, naturalmente con l’assenso del nostro editore, cioè sostanzialmente la Segreteria di Stato, anche se il Papa ne era al corrente, tanto è vero che gli abbiamo presentato l’iniziativa alla vigilia di Natale del 2009. E Benedetto XVI, quando gli ho spiegato i motivi, i contenuti dell’abbinamento e la tiratura, ha esclamato: E’ un miracolo! In effetti l’abbinamento con La Razón copre circa la metà di tutta la nostra tiratura che comprende il quotidiano, i settimanali, il mensile in polacco. La stessa Razón ci ospita sul suo sito: e il web ha moltiplicato anche i nostri lettori.

Il terzo – e fin qui ultimo – abbinamento è con il settimanale Tempi, di estrazione ciellina…

Tempi, diretto da Luigi Amicone, voleva fare un regalo al Papa per il nostro centocinquantesimo. Perciò ha avuto l’idea di proporre l’inserimento della nostra edizione settimanale in lingua italiana nella rivista: l’iniziativa è partita a gennaio e procede bene. Tutte queste sono iniziative che noi salutiamo con gioia, perché ci permettono di raggiungere un numero di lettori che forse mai avrebbero letto il nostro giornale. E’ evidente l’importanza di diffondere sempre più  la parola del Papa in una società come la nostra.

E come va l’edizione quotidiana cartacea?

 

Va bene.

Mi spieghi che cosa intende per “bene”.

 

La crisi mondiale che grava anche sulla stampa comporta che tutti i giornali – salvo eccezioni – perdano copie. Noi siamo in controtendenza. Non soltanto abbiamo bloccato la lenta ma costante emorragia che ci affliggeva dalla fine degli Anni Settanta, ma – confermati gli abbonamenti -abbiamo addirittura guadagnato un certo numero di copie in edicola. Rispetto alle potenzialità attribuite alla Santa Sede, le nostre 12-15mila copie quotidiane sembrerebbero – a valutarle con occhio distratto – un po’ poche. In realtà, tenendo conto che si tratta di un giornale molto particolare, è un bel risultato!

Quante di queste copie sono in abbonamento diciamo ‘forzato’?

No, noi non abbiamo abbonamenti ‘forzati’. A differenza di altri giornali, i nostri abbonamenti sono tutti reali. Le dico di più: ci leggono più i laici degli ecclesiastici. Non abbiamo alcun aiuto statale italiano, poiché siamo vaticani; per lo stesso motivo non riceviamo aiuti dalla Chiesa in Italia…

A tale proposito mi ricordo di una bella gaffe del Corriere della Sera, che vi attribuì finanziamenti tratti dall’8 per mille italiano…

L’equivoco si palesò un paio di volte proprio sul giornale generalista più autorevole che c’è in Italia, appunto il Corriere della Sera. Dapprima nell’agosto 2009 con una vignetta di Staino: il protagonista, un operaio robusto di sinistra, di nome Bobo, dialoga con la figlia al mare. Noi avevamo da poco stroncato il ‘fenomeno Allevi’, quello del pianista Giovanni Allevi. La figlia dice al padre: L’Osservatore ha stroncato Giovanni Allevi. Risponde il padre: Sì, l’8 per mille ci costa caro. Ma almeno abbiamo un buon critico musicale. Carina la battuta, ma citare l’8 per mille era del tutto fuori luogo. L’equivoco si ripeté in un’altra occasione, ad agosto 2010 e noi rispondemmo con un corsivo ironico che così esordiva: La combinazione agosto e otto per mille è fatale al Corriere della Sera.

Ritorniamo agli abbonamenti…

 

Non ce ne sono di ‘indotti’. Abbiamo ridotto molto gli omaggi…

Ma i cardinali? I vescovi italiani?

Solo i cardinali di Curia ricevono automaticamente L’Osservatore Romano. Gli altri cardinali e i vescovi italiani no. Qualche decina di copie va al nostro editore, in Segreteria di Stato. Altrettante alla Radio vaticana, che riceve il quotidiano cartaceo, anche se noi avevamo chiesto di mandarglielo via elettronica: ma loro preferiscono avere il giornale tra le mani. I nunzi apostolici lo ricevono per via elettronica. Al di là di questo non ci sono omaggi: mi ricordo di averne tagliati per diverse decine di migliaia di euro. In sé il giornale non costa molto, ma sono soldi della Santa Sede. Non si può scherzare, non si tratta di privati che dispongono di risorse illimitate. Contrariamente a quanto spesso si crede la Santa Sede non può essere assimilata a un editore ricchissimo.

L’Osservatore Romano è molto citato, ma quanto è letto?

 

Io credo che non solo L’Osservatore Romano sia da sempre  molto citato (e oggi entra in numerosissime ‘mazzette’ e altrettante Rassegne-stampa), ma anche molto letto. Direi sempre di più e con attenzione. Abbiamo riscontri innumerevoli. L’Osservatore Romano è ben dentro il dibattito politico-religioso.

Anche culturale…

 

Certamente: sono le due direttrici principali lungo le quali ci muoviamo. Da una parte restiamo il giornale della Santa Sede, e ci mancherebbe…. Siamo un piccolo giornale, con meno di un centinaio di dipendenti, ma immensamente autorevole proprio per il fatto di essere il quotidiano vaticano. Papa Benedetto XVI e il cardinale Segretario di Stato ci hanno chiesto di produrre un “bel giornale”…

Esteticamente pregevole?

 

Non solo, ma è “bello” anche per la sostanza che contiene. Quando uno lo apre, gli piace perché è gradevole alla vista e gli piace perché vi trova contenuti interessanti. A tale proposito abbiamo molto ampliato la dimensione internazionale e quella culturale.

Tra le novità introdotte subito l’eliminazione della pagina di Roma…

 

… che non aveva più molto senso. Quando L’Osservatore Romano è nato, come giornale della sera, dava notizie anche molto importanti. E così è rimasto per tanto tempo, fino a trent’anni fa. Certo, se avessimo più lettori cattolici a Roma, si potrebbe magari tenerne conto. Ma anche Avvenire, per cui ho lavorato da interno negli Anni Settanta e cui resto molto legato, non ha più la cronaca di Roma. Che è rimasta nei soli giornali romani come Messaggero, Tempo, Repubblica o nell’edizione romana del Corriere della Sera – con cui ho pure collaborato - o in Libero.

A proposito di Avvenire: si muove più liberamente de L’Osservatore quando tratta di politica italiana, ad esempio quando parla del Presidente della Repubblica o del Consiglio…

E’ così anche per La Croix in Francia. Direi che è naturale. Il nostro è il giornale della Santa Sede. Non ci possiamo occupare nei modi di Avvenire e La Croix delle questioni italiane e francesi…

D’accordo. Però ha colpito molto per esempio la differenza nel trattare in pagina il triste ‘caso Englaro’. Quando Giorgio Napolitano ha rifiutato di firmare il decreto salva-Eluana, Avvenire l’ha fatto notare con grande chiarezza e rilievo, mentre L’Osservatore apparentemente ha voluto minimizzare…

L’Osservatore ne ha dato notizia, naturalmente in maniera più sobria. Ma escludo che ci sia stata una differenza nella sostanza: noi siamo intervenuti con molta chiarezza sul ‘caso Englaro’… certo non siamo entrati nei dettagli. Non era compito de L’Osservatore, che ha comunque espresso un rifiuto nettissimo dell’eutanasia e si è sempre schierato per la difesa della persona umana dal concepimento alla sua fine naturale. E’ chiaro però che le funzioni di Avvenire e de L’Osservatore Romano sono diverse.

Altre novità concretizzatesi  sotto la Sua direzione?

 

Una forte attenzione all’economia, un allargamento importante nell’ambito delle collaborazioni (anche di non cattolici), un aumento della presenza femminile. Intendiamoci, la presenza femminile non era sconosciuta a L’Osservatore, ma per le edizioni settimanali. Nella redazione del quotidiano non ce n’erano, oggi sì: Silvia Guidi – che appartiene ai Memores Domini - e la storica Giulia Galeotti. Poi l’edizione tedesca è diretta da una donna, quella inglese è di sole donne. Gli unici due ecclesiastici de L’Osservatore – che è un giornale laico - dirigono invece le edizioni settimanali in lingua spagnola, un messicano Legionario di Cristo e in lingua polacca, un gesuita. C’è anche una suora nell’edizione spagnola.

Ci sono altre novità? Ad esempio per il formato: in bus è difficile dispiegare in tutto il suo volume L’Osservatore Romano…

 

Caro direttore, lo diceva anche Giovan Battista  Montini… Chi mai lo leggerebbe sul tram o al bar? nell’indimenticabile riflessione dal titolo:  Le difficoltà dell’ Osservatore Romano, apparso nel supplemento al numero del primo luglio 1961. Tutto sommato però questo formato grande non mi dispiace. Inoltre, per cambiarlo, dovremmo sostituire la rotativa al modico costo di sette milioni di euro…

L’Osservatore Romano compie centocinquant’anni. Conta di vivere ancora a lungo?

Non ho motivi per essere pessimista. A me pare che i riscontri siano tali da indurre all’ottimismo. Lo sforzo che facciamo ogni giorno mi pare sia apprezzato. Poi naturalmente molti non sono d’accordo sulle nostre posizioni…

Molti?

Faccio un esempio. Quando abbiamo recensito il film Habemus papam di Nanni Moretti, ho avuto l’impressione che molti avrebbero preferito una stroncatura con lo spadone. Invece abbiamo pubblicato una recensione ragionata, che esprimeva delusione per l’ultima opera di un regista apprezzato, che purtroppo con questo film non ha firmato certo il suo capolavoro. Però, ripeto, c’è  chi apprezza maggiormente la scomunica esplicita, in questo come in tanti altri casi. E’ soprattutto fuori d’Italia che viene apprezzato lo sforzo di ragionare, senza toni accesi, adottato da L’Osservatore Romano.

Però, a proposito di interpretazione del Concilio Vaticano II, L’Osservatore ha pubblicato una recensione dura, pur se rispettosa, nei confronti del volume di Roberto de Mattei; e ne ha pubblicata un’altra, dai toni diremmo eufemisticamente robusti, nei confronti delle posizioni del teologo don Brunero Gherardini (con qualche intertitolo quasi feroce)…

 

Erano critiche molto argomentate, molto ragionevoli, firmate da intellettuali al di sopra di ogni sospetto…

… non da noti ‘progressisti’…

 

Sì, non da ‘progressisti’ nell’accezione corrente. Io credo che sul Concilio Vaticano II occorra avere un atteggiamento che è proprio quello paradossalmente auspicato da Roberto de Mattei: un atteggiamento da storici, tenendo conto che da più di mezzo secolo non solo la stragrande maggioranza della gerarchia cattolica, ma anche la continuità del Magistero papale hanno un atteggiamento inequivocabile sull’ultimo Concilio. Mi pare improbabile perciò che de Mattei abbia ragione nelle sue critiche a Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Hanno ragione Agostino Marchetto e Inos Biffi a sostenere che la tradizione non si ferma a san Pio X, un papa per il quale ho un’autentica venerazione, perché – secondo la tradizione di famiglia – da lui sono stato miracolato…

Miracolato?

Questo mi hanno detto i miei genitori. Nel 1954, a due anni appena compiuti, ero stato colpito da una forma praticamente mortale di difterite: si era alla vigilia della canonizzazione di Pio X e venni raccomandato a lui da uno storico, un sacerdote spagnolo amico di mio padre, don Vicente Castell Maiques. Don Vicente celebrò messa in San Pietro proprio sulla tomba del Papa al quale la mia famiglia – di origine veneziana – era molto legata. Guarii.

Nell’ultima parte dell’intervista veniamo alla beatificazione di papa Giovanni Paolo II. Le giornate appena trascorse hanno ribadito l’enorme affetto verso di lui da parte delle grandi folle. V’è stata anche qualche critica, espressa in alcuni libri. Troppa fretta, si è detto. Sarebbe stato meglio, si è scritto, consegnare papa Wojtyla nella sua complessità al giudizio della storia…

 

Le critiche non sono così diffuse come si può credere. Mi sono sembrati emblematici i risultati di un sondaggio promosso dai Cavalieri di Colombo negli Stati Uniti (la più importante associazione laicale cattolica del mondo, con 1.700.000 aderenti), secondo il quale il 94% dei cattolici praticanti statunitensi si dichiarava favorevole alla beatificazione. Non solo, ma nell’insieme della popolazione statunitense, il consenso si attestava al 74%, tre americani su quattro. Una sorta di maggioranza, si sarebbe detto una volta, di tipo bulgaro. Poi, a proposito della presunta “fretta”, il Papa ha parlato di “discreta celerità”: prevedibile, del resto, vista la grandissima fama sanctitatis, come ha spiegato benissimo al nostro giornale il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Dunque la critica sui tempi accelerati mi sembra non fondata. Il processo è andato avanti secondo le sue dinamiche, rapide perché il caso era eccezionale, come ricordo sempre: da dieci secoli un Papa non beatificava il suo predecessore. Per trovare precedenti, in contesti pure molto diversi, bisogna risalire a Leone IX (1049-1054) e a Gregorio VII (1073-1085).

Tra le critiche espresse c’è quella su una rimproverata ‘indifferenza’ se non ‘fastidio’ di papa Wojtyla verso l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, poi assassinato in cattedrale da squadre paramilitari salvadoregne…

Su Romero non c’è proprio motivo. Giovanni Paolo II rese omaggio alla tomba dell’arcivescovo di San Salvador…

Sì, ma i critici sostengono che in vita non lo considerò con occhio amichevole, forse perché ‘condizionato’ dalla sua lotta contro il comunismo nell’Est europeo…

 

Il Papa è sempre stato molto vicino all’America latina, il suo primo viaggio l’ha fatto in Messico, ha mostrato grande attenzione alle diverse situazioni in America latina, sono uscite ben due ‘Istruzioni’ sulla teologia della liberazione: nella prima si metteva in guardia dalla deriva politica marxista, nella seconda si sottolineava la necessità di una teologia della liberazione autenticamente cristiana. D’altra parte, per la sua esperienza personale, il papa aveva tutte le ragioni di diffidare delle strumentalizzazioni politiche del messaggio cristiano. Mi pare poi che la storia successiva abbia confermato la bontà dell’atteggiamento di Giovanni Paolo II. Certo, non tutti sono contenti…

Altre critiche riguardano la gestione del ‘caso Ior-Ambrosiano’…

E’ stato ben evidenziato nel processo per la beatificazione di papa Pio IX: la causa deve accertare, al di là di ragionevoli dubbi, la santità personale del candidato agli onori degli altari. Questo per Giovanni Paolo II è fuori discussione. Invece, per una valutazione storica attendibile del Pontificato, bisognerà lasciar passare diversi anni… ci sono protagonisti ancora in vita… ci vuole un giudizio sereno, scevro da passioni suscitate da avvenimenti ancora molto recenti. Soprattutto dovranno emergere altre fonti.

Lei nel 2005 aveva espresso da storico qualche perplessità su alcuni aspetti del Pontificato: le modalità del dialogo interreligioso, i pochi progressi in quello ecumenico, una certa enfatizzazione delle richieste di perdono…

Sono tutti aspetti sui quali la discussione è in corso e lo sarà ancora per tanto tempo. Sono valutazioni di carattere storico e politico. E dunque opinabili e mutevoli, proprio alla luce di una comprensione storica più matura e completa dei tempi e del personaggio. La prospettiva temporale è essenziale per comprendere meglio e più profondamente i fenomeni storici. Ma ciò non ha nulla a che vedere con la santità personale, ampiamente accertata: Giovanni Paolo II non è stato proclamato beato perché…

 … ha fatto cadere il Muro di Berlino?

 

Proprio così, anche se non è stato il solo. Storicamente è stato un grande Papa. Alla Chiesa, per la canonizzazione, importa però come Giovanni Paolo II ha vissuto quotidianamente la testimonianza cristiana. E qui, ripeto, non ci sono dubbi. Questa beatificazione ritengo farà un grande bene sia alla Chiesa che alla società nel suo insieme.