IL CARD. ARINZE SUL CARD. GANTIN

INTERVISTA AL CARDINAL FRANCIS ARINZE IN MORTE DEL CARDINAL BERNARDIN GANTIN - 'IL CONSULENTE RE' DI GIUGNO 2008

 

Il prefetto nigeriano evidenzia nell’intervista che segue le grandi qualità umane e pastorali del cardinale del Benin, spentosi il 13 maggio a Parigi: “Non parlava troppo forte, ma ogni sua parola valeva molto”.  Consacrato già a 34 anni, fu il primo vescovo africano nella Curia Romana. L’omaggio corale del suo popolo, di un intero Paese, della Chiesa universale

 

Il 13 maggio, memoria della Madonna di Fatima, in una clinica parigina dov’era stato trasportato per un estremo tentativo di cure, si è spento un ‘grande’ della Chiesa, l’ottantaseienne cardinale Bernardin Gantin, per quattordici anni prefetto della Congregazione per i vescovi, per una decina decano del Collegio cardinalizio, emerito nella stessa carica dal 30 novembre 2002, quando papa Giovanni Paolo II accolse la sua domanda di tornare in patria. Il cardinale Francis Arinze ha acconsentito volentieri alla nostra richiesta di ricordare il porporato, creato ancora da papa Montini nel 1977 insieme con i cardinali Joseph Ratzinger, Giovanni Benelli, Frantisek Tomasek e Mario Luigi Ciappi. Per il settantacinquenne prefetto nigeriano della Congregazione per il Culto divino, il cardinale del Benin era come un fratello maggiore, spesso anche un padre. L’ha conosciuto, l’ha apprezzato, lo rimpiange e chiede di continuare a pregare per lui. Poi, magari, un giorno sarà beato. E allora diverrà anche un intercessore.

Eminenza, che importanza ha avuto il cardinale Bernardin Gantin per il cattolicesimo africano?

Il cardinale Gantin fa parte della prima generazione dei vescovi africani, beninteso dei tempi moderni, poiché nessuno può dimenticare sant’Agostino o san Cipriano….

Nominato vescovo nel 1956 a 34 anni e ordinato a Roma – nella cappella di Propaganda fide - il 3 febbraio 1957, mentre stava concludendo la sua tesi, ha dato dapprima un grande contributo al suo Paese, l’odierno Benin (un tempo Dahomey). Divenne dopo quattro anni arcivescovo di Cotonou: era zelante, attento alla formazione dei catechisti, grande visitatore di parrocchie. Tra i vescovi africani è uno dei pochi che ha partecipato a tutte le sessioni del Concilio ecumenico vaticano II; vi ha tanto contribuito che quando papa Paolo VI nel 1971 volle un vescovo africano nella Curia Romana, fu lui ad essere scelto. Per la sua storia personale il cardinale Gantin era considerato un leader tra i vescovi d’Africa: non faceva molto rumore, non parlava troppo forte, ma ogni sua parola valeva molto. Dall’ascolto che riceveva, dall’autorità morale che gli era riconosciuta, si può evincere la grandezza dell’uomo.

Questa sua autorità morale era riconosciuta anche dagli africani non cattolici?

 

Ho partecipato il 22 maggio ai funerali del cardinale Gantin a Cotonou e posso testimoniare di un cordoglio unanime. Non solo prima di tutto della Chiesa del Benin, ma di tutta l’Africa: erano presenti ad esempio i cardinali di diversi Paesi, dal Senegal alla Costa d’Avorio, dalla Tanzania alla Nigeria. Anch’io poi sono nigeriano. Una cinquantina i vescovi, tantissimi i sacerdoti, religiosi e religiose. Il suo Paese, il Benin, gli ha tributato onori di Stato. La salma, proveniente da Parigi, è stata accolta la sera del 21 dal presidente Yayl Boni, che era accompagnato da diversi membri del governo: sono stati decretati tre giorni di lutto nazionale, l’aeroporto internazionale di Cotonou è stato intitolato al cardinale Gantin, i funerali sono stati celebrati – presieduti dal cardinale Giovanni Battista Re – nello stadio di Cotonou presente una grande folla. Il presidente della Repubblica ha chiesto alle città di intitolare una strada o una piazza all’illustre concittadino. La gente, partecipe, era non solo allo stadio, ma anche negli altri luoghi delle celebrazioni e lungo le strade. Dopo la santa messa esequiale allo stadio (durata un’ora e mezzo più un’altra ora di testimonianze ufficiali) ci siamo infatti spostati alla Basilica di Ouidah – a trenta chilometri da Cotonou – dove incominciò ad opera dei primi missionari l’evangelizzazione del Benin e dove il cardinale è stato ordinato sacerdote. L’anno scorso c’ero anch’io per il giubileo, per i cinquant’anni dall’ordinazione. Poi il cardinale è stato inumato nella cappella del Seminario di san Gallo sempre a Ouidah, dove aveva studiato. E’ stato un grande funerale. C’erano soldati dappertutto, non certo per fare del male al popolo, ma per rendere onore a un grande figlio del Benin. Che era riconosciuto leader da tutti, anche dai non cattolici. Non dimentichiamo che fu chiamato dal re del Marocco a far parte dell’Accademia reale di cultura. E il Marocco è un Paese certo a grande maggioranza islamica. Il cardinale Gantin, fin quando potè, partecipò alle sedute dell’Accademia ed era onorato di essere stato chiamato a farne parte.       

Il cardinale Gantin fu chiamato nel 1971 a Roma come segretario aggiunto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Due anni dopo divenne segretario dello stesso Dicastero. Poi fu nominato vice-presidente, in seguito presidente dell’allora Pontificia Commissione della Giustizia e della Pace, anche presidente di “Cor Unum”; creato cardinale nel 1977 da Paolo VI insieme con Joseph Ratzinger, divenne prefetto della Congregazione per i vescovi nel 1984 fino al 1998, decano del Collegio cardinalizio dal 1993… insomma non gli mancarono i riconoscimenti nella Curia romana…

Quello che Lei ha riassunto è qualcosa, non è niente… è il segno dell’apprezzamento dei Papi e della Chiesa nei suoi confronti. Pensi anche al fatto che papa Benedetto XVI ha voluto personalmente partecipare e ricordare il cardinale Gantin nel rito celebrato in San Pietro venerdì 23 maggio: non è usuale per un cardinale morto fuori Roma e sepolto fuori Roma che si celebri in san Pietro una santa messa per lui, con la partecipazione del Papa. In Curia il cardinale Gantin era conosciuto per la sua saggezza, per quella sorta di pace interiore che emanava dalle sue parole e dai suoi gesti, per la sua capacità di lavorare insieme con gli altri, per il suo amore e la sua fedeltà alla Chiesa e al Papa. Ogni anno per Natale andava in Terrasanta, fino a quando ne aveva la forza. Amava anche Roma. E quando a inizio dicembre del 2002 partì per la sua patria, il Benin, disse che ci tornava da missionario romano. Tutto questo ci aiuta a capire che siamo davanti a un personaggio di non comune levatura.   

Il cardinale Gantin mostrava di essere ben cosciente di essere il primo cardinale  africano in Curia?

Certo che ne era cosciente, ma non se ne insuperbiva per niente. Ci raccontava sempre che, il giorno in cui fu creato cardinale con Joseph Ratzinger e tre altri confratelli, la mamma gli disse: Bernardin, non dimenticare mai il piccolo villaggio da cui noi proveniamo! Il cardinale Gantin diffondeva sempre serenità, non era mai scostante, non incuteva timore…

Il cardinale ha vissuto con molta sofferenza la vicenda del vescovo Lefevbre…

… che egli conosceva bene. Gli costò molto firmare il decreto del 1998, insieme con il cardinale Ratzinger. Doveva farlo, da prefetto della Congregazione per i vescovi. Ma ne sofferse tanto, anche per gli attacchi che ricevette e che furono come sale sulla sua ferita. Però sapeva come continuare nella fede, nella speranza e nella carità.

Che cosa si sente personalmente di ricordare del cardinale Gantin?

 

Era per me come un fratello, un fratello maggiore, direi anche padre. Potevo andare da lui a chiedere consiglio ogni tanto. Sostenne intensamente gli sforzi dell’episcopato nigeriano in favore della beatificazione del primo figlio di quel Paese (che è il mio), il trappista padre Cipriano Michele Iwene Tansi, avvenuta nel 1998, durante la visita di papa Giovanni Paolo. E’ stato un momento storico per la Nigeria; e il beato Cipriano è stato anche il primo sacerdote che ho conosciuto. Alla fine del suo servizio a Roma, come prefetto della Congregazione per i vescovi, mi diceva che avrebbe preferito tornare in patria. Aggiungendo: “Ho sentito che costa meno trasportare in aereo un passeggero vivo che un cadavere”.

Il cardinale Gantin aveva il senso dello humour

 

R: Ma anche il Signore, perché ha fatto sì che alla fine succedesse come il cardinale non prospettava… Trasportato a Parigi per un ultimo tentativo di cure, è tornato in patria da morto. E io l’ho accompagnato, pur senza averlo previsto, perché con il cardinale Re e altri presuli mi sono trovato nello stesso aereo che faceva scalo a Parigi, prima di dirigersi a Cotonou. Io vivo, lui morto, ma tutti e due nel Signore. E’ la Provvidenza che dispone. Noi possiamo a volte avere l’impressione di essere noi a governare il mondo, ma in realtà è la mano invisibile di Dio che dirige la storia! Il direttore generale, che è nel contempo particolare, esiste e non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. 

Ce lo ricordiamo nel 2005 a Roma con il bastone, nei giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II e poi ancora per la festa dei santi Pietro e Paolo…

Sì, nel 2005 venne ancora due volte. Una cosa è importante e ci tengo a dirla: anche se era pieno di virtù, dobbiamo continuare a pregare per lui, come ci insegna la nostra fede cattolica. Pregare almeno fino a quando una persona non venga beatificata: a quel momento allora si potrà pregarla direttamente come intercessore. Sono grato a “Il Consulente RE” per avermi dato la possibilità di informare i tanti lettori su una persona come il cardinale Gantin, che Dio ha regalato alla Chiesa e al mondo. Ho inviato all’arcivescovo di Cotonou un telegramma sì di condoglianze, ma anche di felicitazioni, in segno di ringraziamento per la diocesi e per il Benin da cui è venuto concretamente quel grande dono per tutti noi.