LIBRI/DON GIUSSANI, CL E OLTRE - DDL ZAN: UNA GUIDA - ORE 10: LEZIONE DI

LIBRI/ DON GIUSSANI, CL E OLTRE --DDL ZAN: UNA GUIDA- ORE 10: LEZIONE DI– di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 25 aprile 2021

 

Nel libro di Robi Ronza diversi passi stimolanti per riflettere sulla figura di don Giussani e sul movimento ciellino. Sempre acceso il dibattito sul disegno di legge Zan: un manuale con contributi di diversi giuristi fa chiarezza su contenuti e obiettivi della proposta. Un libro singolare di don Francesco Pieri su una vicenda scolastica vera (con una premessa su quanto accaduto in un istituto comprensivo di Fiumicino).

 

ROBI RONZA, “LUIGI GIUSSANI : COMUNIONE E LIBERAZIONE & OLTRE” (EDIZIONI ARES)

Certamente è già oggi abbondante la bibliografia su don Luigi Giussani, sulla storia e le vicende a volte controverse di Comunione e Liberazione. Tuttavia ci pare non superfluo l’agile volumetto con cui l’ottantenne  Robi Ronza – tra l’altro storico e potente portavoce del Meeting di Rimini fino al 2005 e membro del suo comitato organizzatore fino al 2014 – ripercorre la sua esperienza ciellina, che iniziò a Varese nell’anno scolastico 1955-56. Avverte Ronza che il suo libro “è per così dire una guida rapida offerta a chi voglia conoscere o riconoscere Giussani percorrendo un itinerario segnato sia dal racconto di esperienze su comunione e di incontri che da suggerimenti di lettura”. Obiettivo del libro? Lo evidenzia Giancarlo Cesana nell’ “Introduzione”: “Il libro di Ronza non è preoccupato di definire, ripropone l’esperienza di Giussani e del Movimento che lo segue come provocazione e suggerimento per riaccendere fede e speranza nei tempi attuali che sembrano esserne così carenti”.

Che i tempi siano problematici lo ribadisce drammaticamente lo stesso Ronza nell’incipit del primo capitolo: “Una crisi esistenziale di massa serpeggia ormai in ogni parte del globo. L’idea che ‘tutto finisca in niente, anche noi stessi’ sta diventando convinzione diffusa come mai prima nella storia”. Da ciò l’opportunità, anzi la necessità, di recuperare i ricchi contenuti di personalità come quella di don Giussani, “a pieno titolo tra quei grandi antesignani che – affrontando di petto, ma senza lasciarsene sommergere, l’onda di piena della modernità al tramonto – hanno tracciato la rotta grazie alla quale la Chiesa potrà doppiare, senza tradire sé stessa,  anche il capo tempestoso del passaggio dall’età moderna a una nuova età finora senza nome”.

Subito Ronza mette in chiaro che don Giussani, “fondatore (suo malgrado, come si vedrà) e sino alla fine dei suoi giorni guida autorevole di Comunione e Liberazione”, permane “nella memoria dei più per così dire imprigionato in tale suo pur rilevante ruolo”. In realtà, annota l’autore, “egli fu anche molto più di questo” (si noti il titolo del libro “Comunione e Liberazione & oltre). Infatti, secondo Ronza, “non si rende un buon servizio né a lui né alla Chiesa né alla storia del secolo XX facendone semplicemente il fondatore di CL”. Spiega l’autore: “Egli riteneva che quanto andava costruendo fossero un’esperienza e un metodo di riannuncio della fede cristiana validi per tutta la Chiesa, e che si immaginava tutti nella Chiesa avrebbero volentieri accolto”. Non fu così, anzi… tanto che don Giussani “si risolse a porsi come guida spirituale di uno specifico movimento ecclesiale quando i fatti smentirono la sua speranza”. A una condizione: “Disse subito e poi ribadì molte volte negli anni successivi che, quando e se l’intera Chiesa avesse condiviso quanto egli proponeva, il Movimento avrebbe esaurito il suo compito”.

Comunione e Liberazione è stata sovente associata alla fame di potere, “serbatoio di appalti e di interessi”. A tale delicato e controverso proposito Ronza è categorico:  “Quali che siano i pretesti offerti al riguardo da gente di CL, la sproporzione tra la realtà dei fatti e l’entità delle accuse è abissale”. Dove si ritrova l’origine di tanta ostilità nei confronti di CL? “Nella brutta sorpresa che fu per l’intellighenzia e per le élites borghesi-progressiste degli anni ’50 del secolo scorso la nascita e lo sviluppo proprio a Milano, centro pulsante dell’ammodernamento dell’Italia, di una realtà di Chiesa che pescava in ambienti studenteschi che esse consideravano ‘cosa nostra’. Di qui un furore e una reazione inviperita che da quegli anni in poi non si sono più spente”.

Ronza tratta anche dell’immagine che tanti media danno di CL, considerata “essenzialmente una forza politica, seppur sui generis”. E’ un’immagine, secondo l’autore, “del tutto errata”. Argomenta Ronza: “Come ha recentemente osservato Fausto Bertinotti, figura eminente della sinistra italiana di tradizione marxista, per capire che cosa è CL bisogna guardare a ciò che è, e non sempre e soltanto domandarsi con chi si schiera”. La “figura eminente” scelta non è forse proprio la migliore e tuttavia quanto rileva è almeno in parte condivisibile. In parte, poiché – come annota lo stesso Ronza – “guardando obiettivamente ai fatti nessuno può certo dire che CL e i ‘ciellini’ siano sempre riusciti a superare” le difficoltà connesse alla scelta politica.

Se si parla di ‘politica’, il pensiero corre ad esempio al Meeting di Rimini (di cui Ronza è stato anche cofondatore nel 1980): in tempi in cui “una larga parte del mondo cattolico subiva passivamente l’egemonia della cultura marxista oppure si sottraeva al confronto con essa” – evidenzia l’autore – “la gente di Comunione e Liberazione, che intendeva stare nel presente a viso aperto e senza alcun complesso d’inferiorità, veniva costantemente stretta d’assedio”. Tanto che “l’idea fu allora appunto quella di fare del Meeting di Rimini un luogo in cui vivere e quindi testimoniare liberamente la capacità della fede di interloquire e di confrontarsi senza alcuna remora con la realtà del nostro tempo”. E così avvenne. Anche se i rapporti con la politica vennero a poco a poco mutando, tanto che  - a partire dal 2015 quando la direzione del Meeting venne “largamente rinnovata” – “la manifestazione ha assunto un carattere marcatamente istituzionale”. Ovvero – rileva criticamente Ronza – “ha cominciato a presentarsi all’opinione pubblica sempre meno come esigente interlocutore e sempre più come parte integrante dell’attuale establishment del nostro Paese; con tutte le cautele e i silenzi che ne conseguono”. In verità può darsi che tale atteggiamento fosse già presente da tempo, anche se forse in modo non così diffuso; ricordiamo che nell’edizione 2005, svoltasi poco dopo il fallito referendum abrogativo di alcuni punti della legge 40 sulla fecondazione artificiale, dall’alto si ‘consigliò’ alla platea di non fischiare Gianfranco Fini (allora vicepresidente del Consiglio) che si era pronunciato a favore di tre dei quattro quesiti del referendum radicale: fischi e muggiti ce ne furono all’apparire dell’allora leader di Alleanza Nazionale, ma vennero subito sopraffatti dagli applausi di una platea molto disciplinata.

Conclude Ronza sul Meeting: “Al di là dei vari modi più o meno brillanti con cui il Meeting ha via via affrontato il problema del suo rapporto con il potere, la sua prima e fondamentale ragion d’essere resta finora intatta. Sia per chi ci lavora che per chi lo visita il grande festival estivo di Rimini continua a essere un’affascinante e cruciale occasione di esperienza e di verifica, o in ogni caso di confronto, con la proposta e con una visione del mondo cristiana. Lo conferma un fatto forse ancor più sorprendente e significativo del grande numero dei suoi visitatori: l’entusiasmo, in quarant’anni mai venuto meno, delle centinaia di volontari grazie ai quali ogni anno viene organizzato, allestito e aperto al pubblico”.

Nel capitolo intitolato “L’io, il potere & le opere” si affronta anche l’argomento Formigoni, che alla testa del governo regionale lombardo “raccoglieva consensi personali da 10 a 15 volte maggiori di quelli che direttamente o indirettamente gli potevano venire dall’ambiente ciellino”. Afferma poi Ronza: “Sono convinto, e insieme a me sono convinti in tanti, che l’operazione con cui Formigoni venne tolto di mezzo fu per così dire una reazione di rigetto di una novità insopportabile per l’ordine costituito borghese-progressista del potere reale in Italia”. L’autore ne ha anche per il mondo ecclesiale: “Colpisce il fatto che nella Chiesa, e nel mondo ecclesiale in genere, non cvi si sia abbastanza resi conto di quale fosse in realtà il vero obiettivo strategico di cui Formigoni era il bersaglio tattico: ossia l’unica esperienza di governo che, in tutta la storia dell’Italia contemporanea, sia stata espressione evidente, efficace e sostenuta da grande consenso popolare, di un progetto largamente ispirato alla visione del mondo cristiana e alla Dottrina sociale della Chiesa”.

Molti altri i passi interessanti del libro di Ronza. Ne citiamo ancora due, che ci sembrano di grande rilievo. Il primo: “Per don Giussani (…) la libertà di educazione era fondamentale non solo in sé, ma anche in quanto primo presidio della libertà in genere”. Il secondo: “Il principale, se non il solo motivo per cui nel 1976 Giussani aveva accettato, senza grande entusiasmo, l’inizio di un forte e diffuso impegno nella Democrazia Cristiana di molti esponenti rappresentativi del Movimento, fu la speranza che costoro potessero finalmente dare il via al superamento del monopolio statale della scuola pubblica semigratuita e quindi al riconoscimento reale della libertà d’educazione. (…) Purtroppo bisogna riconoscere che “in sede nazionale (…) tale obiettivo è stato del tutto mancato” perché “coloro che da allora, schieratisi per la Dc e poi per Forza Italia, vennero eletti al Parlamento italiano con l’attivo sostegno della gente di CL, colà giunti di tutto si occuparono meno che della libertà d’educazione”.

 

"LEGGE OMOFOBIA: PERCHE’ NON VA" (CANTAGALLI), a cura di ALFREDO MANTOVANO

Dopo che martedì 20 aprile  la calendarizzazione del disegno di legge contro “l’omotransfobia” (ddl Zan) in Senato è stata di nuovo rinviata (grazie ai partiti di centro-destra), se ne discuterà martedì 27, sempre nell’Ufficio di presidenza della Commissione Giustizia. Intanto in queste ultime settimane– come abbiamo riferito nell’articolo precedente (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1011-ddl-zan-murgia-merlo-la-campagna-di-vanty-fair-crepe-a-sinistra.html ) -anche a sinistra  si sono manifestate diverse voci duramente critiche nei confronti dell’attuale testo, cui si rimprovera ad esempio di utilizzare l’espressione ‘identità di genere’, ritenuta inammissibile perché “ha un grave impatto sulla vita delle donne”. Incomincia pubblicvamente anche il dibattito all’interno del Pd, riemerso dopo il tentativo – riuscito per diversi mesi – di soffocamento in culla operato a livello nazionale. Vedremo che succederà, sempre che la legge venga calendarizzata. Se ciò avvenisse e se almeno alcuni senatori di sinistra fossero sensibili alle critiche espresse da non pochi tra i loro elettori, il ddl Zan sarebbe o affossato o modificato profondamente, così da dover richiedere un secondo passaggio alla Camera con tutte le incognite prevedibili sui tempi di approvazione definitiva.

Intanto non sarebbe male che i senatori piddini, pentastellati e di Liberi e uguali (oltre alle loro propaggini mediatiche) trovassero il tempo di acculturarsi leggendo l’analisi approfondita del ddl Zan che dieci giuristi propongono nell’antologia curata da Alfredo Mantovano, dal titolo “Legge omofobia, perché non va” (Cantagalli).  Nelle 250 pagine del volume  (frutto di una riflessione comune all'interno del Centro studi Rosario Livatino) vengono esaminati dettagliatamente e puntigliosamente i 10 articoli del testo unico, dopo due capitoli iniziali in cui si situa la novità del ddl Zan nel contesto legislativo attuale. Oltre ad Alfredo Mantovano, hanno dato il loro contributo alla completezza della disanima Domenico Airoma, Aldo Rocco Vitale, Mauro Ronco, Carmelo Leotta, Angelo Salvi, Daniela Bianchini, Francesco Farri, Francesco Cavallo, Roberto Respinti.

Nell’introduzione si mette subito in chiaro che lo sguardo con cui nel libro si è affrontato il tema è “laico e non confessionale”. E, non meno importante, si evidenzia l’obiettivo degli attivisti lgbt, “che va ben al di là dei ‘diritti’ delle minoranze sessuali”. E’ infatti quello , “una volta de-costruita la sessualità, di ri-costruirla secondo il desiderio di ciascuno, disincarnandola del tutto dal corpo, e facendone parte di una concezione dell’uomo definitivamente sganciata da ogni ordine oggettivo”.

Sempre nel capitolo introduttivo si ricorda che “nell’autunno 2013 la proposta di legge contro l’omofobia, che portava come prima firma quella dell’on. Scalfarotto, fu approvata alla Camera con larghissima maggioranza, ma poi si perse per strada e non venne più esaminata dal Senato” (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/282-legge-omofobia-si-faticato-alla-camera-ora-al-senato.html ). Le ragioni? “Certamente grazie alle proteste che si sollevarono nelle piazze italiane (NdR: in particolare con la Manif pour tous Italia e le Sentinelle in piedi), ma anche perché il fronte ampio dei suoi promotori preferì, dopo quel tentativo di inizio legislatura, optare per qualcosa di più sostanzioso: la legge sulle unioni civili (Ndr: ricordate lo Spavaldo di Rignano e la Garrula Ministra?), cui è stato conferito un regime simile nella sostanza al matrimonio same sex”.

Altra constatazione (ahimè) significativa sul ddl Zan: “Avrebbe, se approvato, un significato politico e culturale diverso rispetto alla proposta Scalfarotto”. Perché “chiuderebbe il cerchio, mettendo ‘in sicurezza i risultati ottenuti sul fronte dei cosiddetti nuovi diritti. La piena espansione del relativismo pone in discussione la fondamentale relazione uomo-donna fin dall’adolescenza: regala gli strumenti chimici, tecnici e giuridici per superarla, e fa sì che la ri-creazione del mondo attraverso la realizzazione di un indistinto magmatico non sia più il desiderio di qualche filosofo gnostico, né l’ansia elitaria di ‘illuminati’ tanto potenti quanto sconosciuti ai più”. Infatti “sta diventando persuasione di massa, mediaticamente egemone: nessuna fiction va in prima serata sui una tv di Stato se non racconta una storia omosessuale e se non fa l’apologia della canna” (NdR: poche le eccezioni, come ad esempio la fiction su Chiara Lubich).

L’introduzione si chiude con un’altra constatazione amara e inquietante, riferita alla discussione del ddl Zan in prima lettura alla Camera. “Vedere un Parlamento che si affanna per approvare le norme del testo unico Zan, giungendo in Commissione Giustizia della Camera – è accaduto nella seduta iniziata il 28 luglio 2020 – fino alle ore 1.45 della notte, e contingentando i tempi degli interventi in Aula, dà l’idea che il totalitarismo non esiga l’autoblindo. Gli è sufficiente la Gazzetta Ufficiale”.

Se la lettura attenta del testo a cura di Mantovano è fortemente consigliata per i senatori piddini, pentastellati, di Leu, non lo è da meno per i senatori di centro-destra: per confermarli solidamente nelle loro convinzioni oppure – e qui il riferimento a quelle senatrici di Forza Italia che hanno già annunciato il loro sì al ddl Zan – perché riesaminino la loro decisione e ritornino nell’alveo liberale contro una normativa che si prospetta – oltre che inutile – liberticida. “Legge omofobia, perché non va” è naturalmente una lettura consigliata non solo ai parlamentari, ma a tutti quelli che hanno a cuore il destino della comunità e il futuro delle nuove generazioni, in particolare a livello educativo. Speriamo che siano in tanti.

 

FRANCESCO PIERI, ORE 10: EDUCAZIONE ALLA SALUTE – Quando la scuola ignora la famiglia (www.amazon.it) – CON UNA PREMESSA D’ATTUALITA’ SUL CASO DELL’ISTITUTO COMPRENSIVO ‘PORTO ROMANO’ DI FIUMICINO

Restiamo in ambito educativo con un volumetto in cui si ripercorre una vicenda emblematica dell’ in genere carente rapporto scuola-famiglia quando la prima propone/impone incontri su temi eticamente sensibili. E’ una collaborazione che è preconizzata nei documenti del Ministero italiano dell’Istruzione, ma purtroppo non è  concretizzata adeguatamente in non pochi istituti scolastici.

Pensate ad esempio all’ultimo caso successo nell’Istituto comprensivo “Porto Romano” (in particolare nella sede di via Coni Zugna) di Fiumicino, dove - come premio per la partecipazione a un progetto per il centenario della nascita dello scrittore per l’infanzia Gianni Rodari (“Piccoli passi nel mondo”)  - sono giunti da parte della Fondazione Benetton 9mila libri in parte di contenuto pornografico, distribuiti a bambini di scuola materna e primaria.  Errore nella consegna o altro (la Fondazione Benetton si è detta “profondamente rammaricata” per quanto accaduto)?. E poi: nell’Istituto comprensivo “Porto Romano” nessuna maestra ha pensato di controllare il contenuto dei libri distribuiti ai pargoli? In ogni caso da ambo le parti si è denotata una grave negligenza, una carenza inquietante di quel senso di responsabilità che le famiglie giustamente pretendono dagli educatori.

Fatto sta che quasi subito alcuni genitori si sono accorti che in mano ai loro figli di quattro e sei anni c’erano libri-omaggio indubbiamente ed esplicitamente pornografici nelle immagini e nei testi (come è confermato pienamente da quanto apparso ieri sui media). Immediata una dura protesta. Sul sito ufficiale del ‘Porto Romano’ è apparso un comunicato in cui ci si “rammarica” di quanto accaduto e si ringrazia per la “solidarietà” espressa dai genitori, che hanno rinnovato “la fiducia verso l’Istituto” (questa sì che è una presa di distanza seria e sincera da quanto avvenuto … o forse non è magari un po’ sfrontata?). Proteste accese anche presso l’amministrazione locale, cui ha dato voce il centro-destra in tutte le sue componenti:  il Comune (guidato dal noto piddino Esterino Montino, coniuge della notissima Monica Cirinnà) se n’è uscito con una nota  in cui si parla di “errore grave”, chiedendo il ritiro sollecito dei libri che mostrano immagini ‘non adatte’ ai bambini, perché “pur non togliendo nulla al valore artistico del progetto e non ponendo nessun tipo di censura alla creatività artistica, non c'è dubbio che quando ci si rivolge a un pubblico, bisogna capire di quale pubblico si tratti” (come dire: lasciamo che le porcherie circolino liberamente tra chi non è né neonato né bambino piccolo). Prendiamo atto del linguaggio del Montino, un vero esempio di politicamente corretto (perfino con il riconoscimento del “valore artistico” del progetto). Certo non c’erano ‘reazionari’ da insultare, perché altrimenti il registro lessicale sarebbe cambiato, come ha mostrato più e più volte la notissima consorte (quella del cartello esibito a margine di una manifestazione: “Dio, patria, famiglia, che vita de m….).

Situazioni di tal genere sono state riportate nelle cronache degli ultimi anni e diverrebbero certo pura normalità se dovesse essere approvato il ddl Zan che nell’attuale formulazione prevede il dilagare nelle scuole della nota lobby, impegnata con entusiasmo messianico e allure totalitaria a concretizzare la Strategia nazionale lgbt elaborata dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (il notissimo UNAR, in verità dedito negli ultimi anni in particolare proprio alla promozione dell’agenda lgb).

E’ per questo che appare di grande attualità il volumetto di don Francesco Pieri “Ore 10: educazione alla salute – Quando la scuola ignora la famiglia”. Don Pieri è un sacerdote cinquantanovenne dell’arcidiocesi di Bologna, che da oltre un quindicennio insegna greco biblico, patrologia, storia della Chiesa antica presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna e storia della liturgia antica presso l’Istituto di Liturgia pastorale (Padova). L’autore nell’agile testo dà voce allo svolgersi di fatti successi in un liceo che hanno coinvolto in prima persona una docente di latino dichiaratamente cattolica (i nomi sono inventati per ragioni intuibili). Sono fatti, annota Pieri, che potrebbero avere “come scenario una qualsiasi città e scuola italiana o anche europea”. L’ “invito alla lettura” che introduce il testo è della giornalista e scrittrice Costanza Miriano, la postfazione di Giusy D’Amico (presidente di “Non si tocca la famiglia”); c’è anche un breve saggio dello psicologo Roberto Marchesini su “la falsa neutralità di ‘certa’ educazione sessuale”.

Questo è proprio il caso da cui prende spunto la vicenda: la docente nota su un banco un libretto con cui una studentessa si sta trastullando…porta il titolo “Il sesso è bello…se è assicurato!”. Anche gli altri studenti ce l’hanno davanti agli occhi, frutto di una mattinata di  “educazione igienico-sanitaria” come da progetto incluso nel piano triennale dell’offerta formativa. Nel libretto tra l’altro anche l’equiparazione tra “gravidanze indesiderate e malattie”. Si scopre che i genitori avevano firmato l’autorizzazione per “un incontro con personale specializzato sulle ‘buone abitudini’ igienico-sanitarie, rivolte a proteggere gli adolescenti dai rischi di alcoolismo, tabagismo, malattie infettive”. Come dire che in quel caso - come emerge dal colloquio della docente con una madre - “il consenso dei genitori è stato ottenuto con voluta opacità, scavalcando il diritto a formare i figli secondo le proprie convinzioni educative, che non devono certo coincidere a priori con quelle dell’azienda sanitaria e dei suoi psicologi”. Fa riflettere anche un’altra osservazione dell’interlocutrice: “Le sovvenzioni pubbliche a vari soggetti comprimari rappresentano voci di bilancio tutt’altro che risibili e vengono erogate proprio in nome del ‘servizio’ da loro svolto per le scuole. A sua volta la scuola ne trae certamente qualche vantaggio, che se non è economico, è per lo meno politico”. Del resto “meno classi in visita al consultorio significherebbe una diminuzione complessiva del numero di eventi. Nel tempo, questo comporterebbe veder calare i contributi regionali all’azienda e all’associazione Superlgbt che collaborano per queste cose”.

Riprendiamo il filo della vicenda: dopo la scoperta del vademecum più o meno sanitario la docente di latino fa presenti le sue osservazioni critiche nel Consiglio di classe e al preside. Non solo non trova nessuna solidarietà pubblica (nemmeno dalla docente di religione, ma per chi conosce un po’ come vanno le cose… non è certo una sorpresa… a volte i cattofluidi sono peggiori addirittura di coloro cui fungono da ruota di scorta), ma incassa rimbrotti e minacce del tipo: “Qua dentro tu non puoi ragionare come una suora!” oppure “Ba-sta! La verità è che tu pensi in questa maniera perché sei cattolica, dunque sei per forza di parte!”. Seguiranno penalizzazioni tali da impedire alla professoressa di avere la stessa classe per più di un anno. La conclusione non è banale: “Può una comunità educante appiattirsi sulla constatazione che così va il mondo, rinunciando alla capacità di un giudizio che sia critico, prima ancora che etico? E fino a che punto può giungere la latitanza educativa prima di diventare corresponsabilità?” Eppure “l’immensa montagna dell’esperienza umana non può accontentarsi di partorire il topolino del ‘male minore’, del costume invalso, rinunciando all’obiettivo di additare alla mente, al cuore dei giovani un ‘bene maggiore’ arduo e possibile”. Fortunatamente, se è vero che “vi sono certo genitori educativamente assenti (…) non mancano anche oggi le famiglie che “non si rassegnano, persistendo nell’appassionante, gioiosa fatica di remare contro la mentalità dominante, le mode del momento e le mille difficoltà della vita quotidiana”.