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    PAROLIN: EDMOND FARHAT HA SERVITO LA CHIESA CON IL LIBANO NEL CUORE

    PAROLIN: EDMOND FARHAT HA SERVITO LA CHIESA CON IL LIBANO NEL CUORE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 16 gennaio 2017

     

    Domenica 15 gennaio 2017 nella chiesa nazionale libanese di san Marun il cardinale Segretario di Stato ha presieduto una santa messa in suffragio del nunzio apostolico, morto ottantatreenne lo scorso 17 dicembre e sepolto in patria. L’omelia del cardinale Parolin, le parole del vescovo François Eid, il ricordo del professor Onorato Bucci, il recente volume sul cammino sinodale.

    Hanno concluso da poco il loro cammino terreno due eminenti ecclesiastici che hanno lungamente servito la Chiesa universale, accomunati da una virtù oggi non molto diffusa: la discrezione. Il 17 dicembre 2016 è morto il nunzio apostolico libanese Edmond Farhat; il 13 gennaio 2017 ci ha lasciato il cardinale ticinese Gilberto Agustoni, le cui esequie saranno celebrate domani, martedì 17, in San Pietro (sulla sua figura ci soffermeremo nei prossimi giorni).

    Affollata ieri, domenica 15 gennaio, la chiesa di san Marun (nei pressi di Porta Pinciana) per la santa messa in suffragio dell’arcivescovo Farhat, deceduto ottantatreenne dopo lunga malattia e già sepolto nel natio Libano. La celebrazione – ricca di incensi e inni orientali - è stata presieduta dal cardinale Pietro Parolin, coadiuvato dall’arcivescovo Piero Marini (compagno di studi del defunto), dal vescovo François Eid (procuratore patriarcale maronita, in rappresentanza del cardinale Béchara Raï), dal nunzio apostolico emerito Agostino Marchetto e dal corepiscopo Tony Gebran. Per il mondo diplomatico erano rappresentati il Libano, l’Austria, l’Algeria, la Slovenia, la Libia, la Turchia e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Presenze non casuali dato che il nunzio libanese nel corso della sua carriera ha servito la Santa Sede, a partire dal 1989, in Libia (1989-95), Tunisia, Algeria, Slovenia, Macedonia (dove ha mediato per l’allacciamento di relazioni diplomatiche tra l’allora giovane Repubblica e il Sovrano Militare Ordine di Malta), Turchia (dal 2001 al 2005 – periodo in cui è stato molto vivo il dibattito sull’eventuale ammissione del Paese nell’Unione europea), infine in Austria (dal 2005 al 2009). Edomnd Farhat partecipò anche al Sinodo speciale dei vescovi per il Medio Oriente dell’ottobre 2010 – in cui svolse anche un intervento assai controverso sull’emorragia dei cristiani in Medio Oriente - come membro di nomina pontificia.

    “Uomo buono e saggio”, deceduto “dopo una lunga malattia affrontata con grande dignità e grande fede”: così il Segretario di Stato ha definito inizialmente nella sua omelia il nunzio Farhat, la cui vita è stata contrassegnata da “un generoso ministero sacerdotale ed episcopale” e da “un’opera diplomatica” tesa “all’incontro e al dialogo”. Certo nel suo servizio ha sempre evidenziato un “grande attaccamento alla sua cara patria, il Libano, con amore di figlio, con emozione, con profonda preoccupazione che spesso diventava sofferenza per il presente e il futuro del Libano”. L’arcivescovo Farhat, ha evidenziato il cardinale Parolin, ha operato perché il Libano continuasse a essere messaggio di collaborazione tra le varie Chiese e di dialogo rispettoso verso i fedeli delle altre religioni. Nel nunzio apostolico l’appartenenza maronita è stata costantemente accompagnata da “un forte senso di universalità e cattolicità”. Come del resto dimostra il suo cursus ‘romano’ da Radio Vaticana, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dal Sinodo dei Vescovi (dov’è stato sottosegretario) alla diplomazia pontificia. Insomma Edmond Farhat “ha servito fedelmente la Chiesa e il Papa, ha vissuto senza sosta la sua missione di pastore solerte venuto per servire e non per essere servito”.

    Parole sentite sul defunto sono state dette in arabo dal vescovo François Eid. Per il procuratore patriarcale tre sono le caratteristiche che hanno contrassegnato la vita di Edmond Farhat. La prima: “Il suo amore verso Dio”. La seconda: “Il suo amore per la cultura e la verità”. Poiché “Monsignor Farhat fu sincero nel parlare, onesto nel dialogare. Non camuffava nulla, non eludeva nulla, e questa sua sincerità nel pensare e nel dire non gli ha procurato tanti amici”. Del resto “fu uomo di grande cultura, poiché discendeva da una famiglia amante della cultura e perché era figlio di Byblos, culla del primo alfabeto fenicio”. E “amò la Chiesa universale senza disprezzare certe sue rughe, e la sua Chiesa maronita che volle più modesta, più aperta e più generosa nella sua vita e nel suo servizio ecclesiale”. Terza caratteristica: “Il suo amore per il Libano, terra di Dio e patria dell’uomo”; di conseguenza “Monsignor Farhat portò la causa libanese presso il cuore della Cristianità, la Santa Sede e davanti alle istanze internazionali”. Ha voluto essere sepolto in patria, nel villaggio natale di Ain Kfa’a, “che rappresentava quel Libano che ha amato tanto”.

    ANNI NOVANTA: A COLLOQUIO CON GHEDDAFI DUE VOLTE AL MESE… E IL DITTATORE LIBICO SI AMMORBIDI’ CON l’OCCIDENTE…

    Prima del congedo il ringraziamento della famiglia è stato porto dal professor Onorato Bucci, amico del defunto da oltre cinquant’anni. “Fu un grande mediatore” già all’interno della Chiesa maronita divisa in “chiesa di Aleppo, chiesa della montagna, chiesa della costa, chiesa di Cipro”. Profondo conoscitore del mondo arabo (docente di diritto islamico dal 1970 al 1989 presso l’Università di Sassari), da sempre un suo “cruccio” fu la divisione persistente e drammatica tra sciiti e sunniti. Negli anni di Libia, era solito andare da Gheddafi due volte al mese: per il professor Bucci il nunzio libanese – per natura e scelta così “riservato” sui suoi contatti diplomatici - ha così giocato un ruolo importante nel riavvicinamento del dittatore libico all’Occidente.  

    “IL MIO CAMMINO CON IL SINODO DEI VESCOVI”: TESTIMONIANZA PERSONALE DI 22 ANNI DI SERVIZIO NELLA SEGRETERIA GENERALE

    Nel novembre 2016 – quando l’autore era già in ospedale - è uscito, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana (LEV), una sorta di diario ragionato del Sinodo dei vescovi dalla nascita (1967) al 1989, anno in cui Edmund Farhat ricevette in San Pietro la consacrazione episcopale da Giovanni Paolo II e incominciò il suo servizio di Nunzio apostolico. Titolo del volume assai vivace e di circa 350 pagine (di cui un centinaio da discorsi e omelie di Paolo VI, Giovanni Paolo II con l’aggiunta del discorso del 17 ottobre 2015 di papa Francesco, commemorativo del Cinquantesimo): “Il mio cammino con il Sinodo dei Vescovi – Ricordi e considerazioni”. Come annota il cardinale Lorenzo Baldisseri nella prefazione, si tratta di un libro in cui “l’autore svolge un’attenta riflessione sulle Assemblee sinodali cui ha preso parte, una riflessione che non si limita alla nuda cronaca o all’elencazione di avvenimenti, ma che si impegna ad approfondire i loro contenuti con la passione e la competenza” di un testimone. Lo stesso Edmund Farhat, nella presentazione, espone le sue intenzioni: “la rievocazione non doveva essere una ‘storia’ del Sinodo durante il mio servizio, ma la citazione dei fatti doveva essere esatta. (…) Ho preferito rimanere nel soggettivo, menzionando i fatti che impressionarono la mia memoria. Pertanto l’esposizione (…) è la raccolta della mia memoria controllata della ‘realtà storica’ “.

    Certo il Sinodo dei Vescovi è cresciuto dal 1967. Sentiamo lo stesso Edmund Farhat: “Piantato nel giardino della Chiesa, il Sinodo dei Vescovi è come un grano di senape gettato nella buona terra. L’ho accompagnato sin dalla sua nascita, ho seguito i suoi primi passi, sono stato testimone delle sue gioie e dei suoi dolori, del suo travaglio e della sua crisi. L’ho servito e vegliato nelle ore del giorno come nelle ore piccole della notte per redigere un testo o concludere un documento”. E oggi il Sinodo “è diventato un grande e splendido albero nel quale tutti gli uccelli del cielo, tutti i vescovi della Chiesa cattolica, tutti i pastori e gli agenti della pastorale universale portano le loro bisacce e svuotano i loro scrigni”.

    Tra gli episodi ricordati quello che riguarda l’assunzione a tempo pieno in segreteria del giovane sacerdote Farhat, fino a quel momento al servizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Ottaviani. Su suggerimento del segretario di quest’ultimo, don Gilberto Agustoni (proprio il futuro cardinale), Farhat inviò la richiesta al suo superiore per lettera, stilata con l’aiuto del sacerdote ticinese. Tra i tanti altri momenti impressi nella memoria dell’autore lo stupore e l’ammirazione dei padri sinodali – convenuti per la seconda Assemblea generale ordinaria nell’ottobre 1971 – quando all’uscita della messa d’apertura nella Cappella Sistina videro apparire Paolo VI che teneva sottobraccio il cardinale Mindszenty. Anche gli aspri dibattiti del 1967 in materia di liturgia: “Le votazioni sui vari quesiti della liturgia furono quelle che riscontrarono il maggior numero di riserve in tutte le votazioni sinodali in assoluto”. Un esempio basterà: la struttura generale della ‘messa normativa’ (cioè la nuova messa, officiata nella Cappella Sistina il 23 ottobre 1967 per i padri sinodali da padre Annibale Bugnini (Segretario speciale per l’argomento liturgico) ricevette 71 placet, 43 non placet, 62 placet iuxta modum e vi furono 4 astenuti. Non manca l’episodio comico, quando il cardinale Pericle Felici, che presiedeva delle Congregazioni generali del 1967, scoppiò improvvisamente in una gran risata avendo visto “un eminentissimo affossarsi letteralmente con il suo seggio”. Spiega Edmond Farhat: “Una poltrona tutta nuova aveva ceduto sotto l’eminente peso del suo illustre ospite. (…) Un bullone si era svitato”.

    Di episodi interessanti per l’uno o l’altro verso tratteggiati nel libro di Edmond Farhat ce ne sarebbero diversi altri. Che siano i lettori a scoprirli. 

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