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    CAFFARRA: CATTOLICI VERI O DI POLTRONA?

    ROSSOPORPORA DI FEBBRAIO 2010 SU 'IL CONSULENTE RE ONLINE'

    L'arcivescovo di Bologna sull'assurda equiparazione tra unioni omosessuali e matrimonio. Il cardinal Antonelli sui diritti dell'infanzia. Dei cattolici in Cina parla il cardinale Zen. Per il cardinale Rodriguez Maradiaga il narcotraffico è il "cancro dell'America latina". Il cardinale Policarpo e la laicità. Ricordo di don Giussani a cinque anni dalla morte nelle parole dei cardinali Tettamanzi, Saraiva Martins e Scola. Georges Cottier e Carlo Marx

    Ogni giorno giungono notizie di aggressioni – spesso mortali – ai cristiani soprattutto in Asia (dall’Iraq all’India), di chiese bruciate, di provocazioni oscene. E’ uno stillicidio che, nonostante le rassicurazioni di governi e quant’altro, continua e crea le premesse per un futuro ancora peggiore, fondato non sulla convivenza, ma sul rancore. Occupiamoci invece questa volta di un avvenimento che permetterà in taluni casi di constatare il senso di responsabilità del mondo cattolico italiano: le elezioni regionali di fine marzo. Come è noto in alcune regioni si presentano a guida di un largo schieramento candidati e candidate anticattolici, zapaterici  a origine controllata. Sarà interessante vedere se la spunteranno con l’aiuto determinante di politici che ostentano spesso il loro ‘cattolicesimo’, ma che per qualcuno sarebbero più legati alla poltrona (qualsiasi, basta che poltrona sia) che alla coerenza dei valori che dicono essere propri (vedi anche l’intervista a monsignor Elio Sgreccia). In tale contesto non è certo casuale  (pur se riferita in primo luogo alla discussione in sede regionale) la Nota dottrinale su “Matrimonio e unioni omosessuali” che il cardinale Carlo Caffarra ha pubblicizzato in data 13 febbraio.

    Subito l’arcivescovo di Bologna nota che il documento si rivolge ai cattolici, ma anche a “chi, non credente, intenda fare uso, senza nessun pregiudizio, della propria ragione”. Poi entra nel merito, rilevando che “in Occidente l’istituzione matrimoniale sta attraversando forse la sua più grave crisi”. Originata dal fatto che “su di essa non si ha più la stima adeguata alla misura della sua preziosità”. Continua il settantunenne porporato: “Il segno più manifesto, anche se non unico, di questa disistima intellettuale è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all’unione legittima tra uomo e donna, includendo anche l’abilitazione all’adozione dei figli”. Per il cardinale Caffarra tale equiparazione costituirebbe “una grave ferita al bene comune”. Quali i motivi? Di seguito il porporato li illustra senza fronzoli inutili, a beneficio in primo luogo di “quei credenti cattolici che hanno responsabilità politiche di ogni genere”, così che “non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa”. Difficile che i destinatari (pur se i sordi intellettuali non mancano) possano equivocare sulla chiarezza del messaggio loro indirizzato.

    L’equiparazione significherebbe che lo Stato è neutrale “di fronte a due modi di vivere la sessualità, che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune”.  Perché? “Mentre l’unione legittima fra un uomo ed una donna assicura il bene – non solo biologico! – della procreazione e della sopravvivenza della specie umana, l’unione omosessuale è privata in se stessa della capacità di generare nuove vite”. Poi: “E’ dimostrato che l’assenza della bipolarità sessuale può creare seri ostacoli allo sviluppo del bambino eventualmente adottato da queste coppie”. E’ dunque evidente che “la società deve la sua sopravvivenza non alle unioni omosessuali, ma alla famiglia fondata sul matrimonio”. Perciò lo Stato non può essere neutrale in materia, dato che mira al bene comune (come deve essere).

    Altre considerazioni del cardinale Caffarra: “Se l’unione omosessuale fosse equiparata al matrimonio, questo sarebbe degradato ad essere uno dei modi possibili di sposarsi, indicando che per lo Stato è indifferente che uno faccia una scelta piuttosto che un’altra”. Conseguentemente “crollerebbe uno dei pilastri dei nostri ordinamenti giuridici: il matrimonio come bene pubblico”.

    Qualcuno obietta: ma voi volete discriminare! Osserva qui l’arcivescovo di Bologna: “La discriminazione consiste nel trattare in modo disuguale coloro che si trovano nella stessa condizione”. Il che non è il caso. Niente discriminazione dunque, ma “semplicemente il riconoscere le cose come stanno”.

    Qualcun altro obietta: ma voi volete imporre uno Stato etico! Risponde il cardinale Caffarra: “L’obbligo dello Stato di non equiparare non trova il suo fondamento nel giudizio eticamente negativo circa il comportamento omosessuale: lo Stato è incompetente al riguardo”. L’obbligo nasce invece dal fatto che “in ordine al bene comune, la cui promozione è compito primario dello Stato, il matrimonio ha una rilevanza diversa dall’unione omosessuale”.

    Nell’ultima parte della Nota il porporato si rivolge direttamente “al credente che ha responsabilità pubbliche, di qualsiasi genere”. E gli rende ben palese che tale credente “ha il grave dovere di una piena coerenza fra ciò che crede e ciò che pensa e propone a riguardo del bene comune”. Conseguenza: “E’ impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno all’equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio”, perché “i due si contraddicono”. E” un “atto pubblicamente e gravemente immorale” quello di “chi propone l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico della suddetta equiparazione o vota a favore in Parlamento di una tale legge”. Grave anche la responsabilità “di chi dà attuazione, nelle varie forme, ad una tale legge”. Tanto che, “se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie”.  In conclusione del ragionamento: “E’ impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso”.

    Ai giovani l’ultimo appello: “Siate liberi nei vostri pensieri e non lasciatevi imporre il giogo delle pseudo-verità create dalla confusione mass-mediatica”. Perché “la verità e la preziosità della vostra mascolinità e femminilità non è definita e misurata dalle procedure consensuali e dalle lotte politiche”.

    Restiamo in tema di vita e famiglia con il cardinale Ennio Antonelli, che dall’8 al 10 febbraio ha presieduto l’assemblea plenaria del suo dicastero sul tema “I diritti dell’infanzia”. Aprendo i lavori dopo l’udienza papale,  il porporato settantatreenne ha richiamato - nell’ambito dell’illustrazione del progetto “la famiglia risorsa per la società” e citando “alcune percentuali clamorose” (“sulle quali però sembra calare una certa congiura del silenzio e una certa censura da parte dei massmedia”) - il legame tra situazione famigliare e comportamento dei figli. Ad esempio “in Francia i figli di genitori separati, nella percentuale del 25%, continuano a presentare, anche a distanza di anni, problemi psicologici di adattamento sociale e di rendimento scolastico e lavorativo; costituiscono il 50% dei tossicomani e l’80% dei ricoverati in psichiatria”. Passiamo agli Stati Uniti, in cui – secondo i dati riportati dai massmedia – “i figli cresciuti senza la presenza paterna costituiscono il 60% degli stupratori, il 63% dei giovani suicidi, il 69% delle vittime di abusi sessuali, il 72% degli adolescenti omicidi, l’85% dei giovani in carcere, il 90% dei senza fissa dimora”. Nell’ultima parte del discorso d’apertura l’ex-segretario generale della Cei ha evidenziato una “strategia intelligente” per impedire l’imposizione della “prospettiva gender” nella società: “E’ ora di dare la priorità ai diritti dei bambini ad avere un padre e una madre che si amano e li amano, a crescere insieme con loro”, anche “ad essere adottati da una coppia formata da un uomo e una donna”. Certamente, “se si guardassero le cose dal punto di vista dell’interesse del bambino, cambierebbe la percezione del divorzio, della procreazione artificiale, della pretesa di singles e di coppie omosessuali all’adozione, della priorità data alla professione e alla carriera, all’organizzazione del lavoro, di tante altre cose ancora”. Allora “nella prospettiva-bambini verrebbe a cadere – ha ribadito il cardinale Antonelli – ogni motivo per concedere il matrimonio o un qualsiasi riconoscimento pubblico a una coppia omosessuale, che rimarrebbe così collocata tra le varie forme private di relazioni interpersonali”.

    A conclusione della plenaria il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia ha tratto una serie di conclusioni in 22 punti. Ne citiamo alcuni tra i più significativi. 8: “L’unità e la coerenza psicofisica del bambino sono un bene da tutelare e sviluppare con una corretta educazione” . 9. “Non è accettabile un’educazione dei bambini che miri intenzionalmente a costruire personalità omosessuali o incerte e confuse”. 10. “Altro è insegnare il doveroso rispetto verso tutte le persone e altro è proporre ai bambini e agli adolescenti l’omosessualità come un ideale alternativo”. 14. “Solo la coppia uomo-donna, unita in matrimonio e aperta ai figli, è un fatto di interesse e rilevanza pubblica”. 15. “Voler istituzionalizzare una forma di affettività, solo perché si tratta di un sentimento, è come voler istituzionalizzare un rapporto tra amici”. 16. “ingiustizia è trattare cose diverse allo stesso modo”. 17. “Altro è provvedere a bisogni e diritti individuali e altro è istituire il rapporto tra omosessuali”. 18. “E’ paradossale esaltare il pluralismo e le diversità culturali e nello stesso tempo minimizzare le differenze umane fondamentali, quella dei sessi uomo-donna e quella delle generazioni genitori-figli, in nome dell’uguaglianza e della non discriminazione”. 22. “Le ideologie che approvano relazioni sessuali fuori del matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna sono in evidente contrasto con la parola di Dio, oltre che con il vero bene delle persone”.  E qui il cardinale Antonelli si ricongiunge con la Nota dottrinale del cardinale Caffarra, di cui abbiamo riferito in apertura.

    A quasi mille giorni dalla Lettera di papa Benedetto XVI ai cattolici cinesi il cardinale Joseph Zen Ze-kiun ha voluto riflettere sulla sua concretizzazione in un documento riportato integralmente dall’agenzia missionaria  AsiaNews. L’ha fatto in occasione del Capodanno lunare cinese (quest’anno a metà febbraio), che ha introdotto l’Anno della Tigre.  La prima considerazione (diremmo già riassuntiva del tutto) espressa dal porporato salesiano non lascia dubbi: “Il seme seminato dal Papa sembra che faccia ancora fatica a sbocciare e a diventare spiga”. Certo “la Lettera ha dato una chiara direzione per un cambiamento, per una maturazione e per un progresso”, ma “il cammino però sembra soverchiamente lento” e “il progresso è mancato”. Non si può dire che Benedetto XVI non sia stato “chiaro” nel ribadire “la dottrina cattolica sulla Chiesa”. Da ciò consegue che “l’avere altri organismi che si mettono al di sopra dei vescovi a guidare la Chiesa non è normale”. Anzi “finora non si vede ancora nemmeno un inizio chiaro di normalizzazione”. Il riferimento del settantottenne arcivescovo emerito di Hong Kong è qui alla presenza persistente dell’ “Associazione patriottica” (un organismo del partito comunista che controlla la vita della Chiesa e opera per staccarla dalla comunione con Roma) e dell’ “Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi”.  

    Quali i motivi del “mancato progresso”? Il cardinale nato a Shanghai rileva che la Lettera papale “è un capolavoro di equilibrio tra la chiarezza dei principi e la comprensione per le persone”. Facile rompere da parte degli interpreti interessati tale equilibrio: “Mi sembra – rileva il presule – che, dalla parte della chiarezza, si sia mancato per difetto” e “da quella della comprensione, per eccesso”.

    Nella Lettera la riconciliazione tra le due comunità cattoliche cinesi è “un tema principale”. Tuttavia non sempre “è possibile” unificarsi. Osserva qui acutamente il cardinale Zen: “Qualcuno, citando la Lettera del Papa, dice che la clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa e si ferma lì. Facendo così, cita fuori contesto (inducendo qualcuno a pensare che sia anormale la decisione di chi rimane nella clandestinità), mentre il testo dice anche che pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede e di non accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l’intimo della vita della Chiesa. “ Perciò, chiosa il porporato, “è la anormale ingerenza che ha creato l’anormale clandestinità”. Conseguentemente “è errato dire che il Santo Padre ha incoraggiato tutti a farsi riconoscere dal Governo”. Invece il Papa “ha ricordato a tutti che per ottenere questo scopo non possono rassegnarsi ad assumere atteggiamenti, a porre gesti e a prendere impegni che sono contrari ai dettami della loro coscienza di cattolici “.

    Il cardinale Zen riconosce che anche nella ‘comunità ufficiale’ esistono in non pochi casi “fedeltà e coerenza”. Ma oggi “sembra proprio necessario incoraggiare quelli della comunità clandestina ed esortare a maggiore coerenza certi fratelli della comunità ufficiale”. In quest’anno cinese della Tigre il presule spera che “i supremi dirigenti della nostra Nazione decidano di riconoscere ai loro cittadini cattolici il diritto di vivere normalmente la fede”. Qualche segnale positivo c’è: essi “hanno accettato che i vescovi illegittimi si facciano legittimare dal Santo Padre e che i nuovi candidati all’episcopato si facciano approvare dal Romano Pontefice prima della loro ordinazione. Un’altra speranza riguarda i cattolici stessi: “Non creiamo più ostacoli alla desiderata normalizzazione e conseguentemente sforziamoci tutti di capire oggettivamente e di seguire fedelmente la Lettera del Santo Padre, nonostante eventuali divergenze che devono essere presto superate e non gonfiate secondo un certo stile giornalistico”.

    Sono queste delle speranze che “non si realizzeranno senza grandi sacrifici, senza umiltà e coraggio, e senza apertura vicendevole del cuore, riconoscendoci tutti (cattolici e comunisti) fratelli della grande Nazione cinese”. Sarà necessario l’aiuto divino, “per intercessione di Maria Ausiliatrice”. Perciò “guardiamo con fiducia all’efficacia della Resurrezione per una fioritura della Chiesa ed un nuovo ordine armonioso della Nazione, fondato sui ‘valori spirituali e morali’, specialmente dell’onestà e del rispetto per la dignità della persona umana”.

    Da notare che il cardinale Zen a novembre aveva pubblicato sul sito della diocesi di Hong Kong una guida di 22 pagine per meglio comprendere i contenuti della Lettera papale.

    Il 3 febbraio, come apprendiamo dall’agenzia Zenit, il cardinale Oscar Andrès Rodriguez Maradiaga ha presieduto una solenne Eucarestia per il 263.mo anniversario della Madonna honduregna di Suyapa.Presenti le più alte cariche dello Stato, il porporato salesiano ha reiterato l’appello alla riconciliazione nazionale dopo gli avvenimenti dell’anno scorso (conclusisi con l’elezione a fine novembre di Porfirio Lobo alla presidenza della Repubblica, mentre l’ex-presidente deposto Manuel Zelaya ha visto vanificati i suoi sforzi di chavesizzare il Paese). Per il presule sessantasettenne “Maria è la madre che ci dice: costruiamo insieme un nuovo Honduras”, un Paese necessariamente da riconciliare, “perché si è cercato di presentare la menzogna come verità, il male come bene e la giustizia come ingiustizia”. Ha detto alle nuove autorità il presidente di Caritas Internationalis: “Rallegratevi, cari fratelli e care sorelle cui spetta di dirigere questo Paese. Dio vi ha scelti, perché Dio benedice l’Honduras”. Ancora: “Siamo pieni di speranza, perché sappiamo che l’umanesimo cristiano guiderà questa nuova tappa del nostro Honduras e auspichiamo che tutti possano collaborare a questo progetto per il bene della Nazione”. Dovere di tutti sarà “preoccuparsi per i più poveri, i più bisognosi, gli emarginati e gli esclusi, i nostri anziani, i bambini e i giovani, che sono la nostra più grande ricchezza”.

    Sempre il cardinale Rodriguez Maradiaga, nel corso di una conferenza-stampa del 22 gennaio ad Acapulco,  a conclusione di un grande incontro di sacerdoti messicani, ha detto che “il narcotraffico è il cancro dell’America latina”: la legalizzazione del consumo di stupefacenti non è però la soluzione per stroncare il flagello della droga. Al contrario, laddove il consumo è stato autorizzato, “è aumentato considerevolmente il numero delle persone coinvolte”: la conseguenza è che “si stroncano i giovani e muoiono”. Perciò “bisogna combattere con tutte le forze possibili e non cedere a questo flagello”. Certo denunciare gli sporchi affari del narcotraffico “è mettersi in pericolo” – ha rilevato il presule honduregno – “ma è nostro dovere farlo, perché il flagello della droga può distruggere interi Stati quando mina e incomincia a corrompere dirigenti, poliziotti, militari”.

    In una conferenza del 24 gennaio (vedi ancora Zenit ) presso l’Università Cattolica Portoghese  - nell’ambito di un convegno sull’educazione scolastica - il cardinale Josè da Cruz Policarpo ha affermato che “la guerra ai simboli religiosi è oggi in Europa un segnale preoccupante”. E ha invitato i partecipanti a essere coraggiosi nei loro comportamenti: “Non abbiate paura di comunicare, nel processo educativo, la prospettiva cristiana della libertà, della ricerca della verità, della generosità nel servizio del bene comune, perché i valori cristiani sono fondamentali in una cultura realmente umanista”. Seguire e concretizzare tali valori, ha proseguito il patriarca di Lisbona, “non vuol dire necessariamente confessionalizzare la scuola, ma servire la persona umana, in un orizzonte di bellezza e di trascendenza”.  Nella conferenza il porporato settantaquattrenne ha parlato soprattutto di ‘laicità’, richiamando la Costituzione portoghese, “frutto di una lunga evoluzione del pensiero e della realtà sociale”, espressione in origine “dell’autonomia del potere statale in relazione ad altri poteri, tra cui quello della Chiesa (…), che la Chiesa non rivendica più né vuole rivendicare”. La ‘laicità’ costituzionalmente intesa significa che “lo Stato non è confessionale”, cioè “non si identifica con nessuna religione” e però “rispetta il fenomeno religioso”, prevedendo “la possibilità di cooperare con le confessioni religiose per la promozione del bene comune della società”. Tuttavia negli ultimi anni si è fatta largo una concezione aggressiva della ‘laicità’, “una nuova forma di egemonia totalitaria che si maschera sotto le vesti della democrazia(…) e che combatte qualsiasi presenza o influenza della religione nella società”. Deve essere chiaro invece – ha obiettato il presule - che “la scuola, qualunque scuola degna di questo nome, non può esimersi dal dare spazio, nel progetto educativo, alla dimensione religiosa”.

    Per la Chiesa maronita si è aperto in questi giorni l’anno giubilare indetto in occasione dei 1600 anni della morte del monaco san Marone. Si concluderà il 2 marzo del 2011. In Libano i cristiani non hanno festeggiato uniti. Il patriarca Nasrallah Pierre Sfeir ha celebrato la santa messa solenne nella cattedrale di St. Georges a Beirut (presenti le più alte cariche dello Stato) e la parte maronita che fa riferimento alle Forze libanesi (eredi della Falange); i cristiani alleati degli sciiti di  Hezbollah, in primo luogo il generale Aoun e Sulemain Franjieh (accompagnati dall’ex-presidente Emile Lahoud) si sono riuniti in Siria, a Brad. Nel messaggio per il Giubileo il novantenne patriarca – come apprendiamo da Radio Vaticana - ha evidenziato tra l’altro che “il Giubileo ha lo scopo di pregare, pensare, pentirsi, tornare indietro nella storia, meditarla, apprenderne la lezione per disegnare una nuova strategia per la nostra Chiesa nel Terzo Millennio”. Il Giubileo deve essere “un anno della giustizia, della riconciliazione e del pentimento, un anno di grazie speciali per le persone e per le comunità”. A Roma, l’Anno è stato aperto nella Basilica di Santa Maria Maggiore dal cardinale Leonardo Sandri, che nell’omelia ha richiamato i maroniti al senso di responsabilità: “Sarebbe triste – ha detto – che voi deludeste le aspettative di Dio, della Chiesa e del Libano. Testimoniate la fede dei padri cooperando tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina, e come comunità cattolica confermando un convinto dialogo ecumenico perché sia costruttivo il confronto interreligioso. Solo così il mosaico splendido di religioni e culture che è il Libano potrà favorire la stabilità e la pace nella reciprocità del rispetto e della solidarietà”.

    Il 22 febbraio ricorrevano cinque anni dalla morte di don Luigi Giussani, cui si deve la nascita e lo sviluppo del movimento di Comunione e Liberazione. Non sono mancate messe commemorative in tutto il mondo. Nel Duomo di Milano il cardinale Dionigi Tettamanzi ha così significativamente esordito nella sua omelia: “Con questa celebrazione eucaristica vogliamo fare memoria del V anniversario della morte di don Giussani e del XXVIII anniversario del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione. Il nostro è un ricordo, un riandare con il cuore alla figura di don Giussani come uomo, cristiano, sacerdote, insegnante, educatore, maestro di vita cristiana nella Chiesa e nella società, amico e padre. Un riandare con il cuore che si fa, anzitutto, preghiera; preghiera di rendimento di grazie al Signore per i doni che, attraverso la vita e l’opera di don Giussani, hanno arricchito e continuano ad arricchire la Chiesa e la società”. A Roma, nella basilica di Santa Sabina, è stato il cardinale Josè Saraiva Martins a presiedere la celebrazione, rilevando nell’omelia come don Giussani possa “essere giustamente riconosciuto nel novero delle figure sacerdotali più notevoli con cui Dio ha benedetto la sua Chiesa nel nostro tempo”. Ha notato il prefetto emerito delle Cause dei Santi che don Giussani “fu richiamato alla casa del Padre poco più di un mese prima dell’oggi Servo di Dio Giovanni Paolo II, suo buon amico”. Il sacerdote di Desio “sentì profondamente nella sua vita personale la comunione effettiva con la Chiesa visibile attraverso la comunione con il proprio vescovo e con il Papa”, una comunione “che visse in crescita con devota obbedienza a tutti i suoi vescovi ambrosiani”. Insomma, ha rilevato il settantanovenne presule portoghese, “Don Giussani è stato quindi e soprattutto un figlio convinto della Chiesa. Ed è esattamente da qui che sgorgano la fecondità del suo carisma missionario ed il suo notevole impegno educativo”. Ha concluso il cardinale Saraiva Martins: “Chiediamo al Signore che aiuti la Fraternità di Comunione e Liberazione a realizzare il proprio scopo: mostrare a tutti, secondo il carisma di don Giussani, la pertinenza della fede alle esigenze della vita”. Sempre in occasione del 22 febbraio il cardinale di estrazione ciellina Angelo Scola ha evidenziato un’intuizione particolare di don Giussani: “Quando il mondo cattolico sembrava ancora occupare in modo imponente la società, Giussani percepisce con lucidità l’ondata di secolarizzazione che si sta per abbattere sull’Italia cattolica, i cui effetti saranno visibili, macroscopicamente, a partire dal 1968”. Un’intuizione che derivava “dalla percezione che tale presenza massiccia non era che l’eredità inerziale di un passato”. Per il patriarca di Venezia “Giussani era realista, di un realismo che afferma l’esistenza e la conoscibilità del fondamento veritativo del reale e che conduce a un confronto a tutto campo: Se la persona di Cristo dà senso ad ogni persona e ad ogni cosa, non c’è nulla al mondo e nella nostra vita che possa vivere a sé, che possa evitare di essere legato invincibilmente a Lui. Quindi la vera dimensione culturale cristiana si attua nel confronto tra la verità della sua persona e la nostra vita in tutte le sue implicazioni”.

    Essendo ormai trascorsi cinque anni dalla morte di don Giussani, si affaccia sempre più spesso l’ipotesi dell’avvio del processo di canonizzazione, data anche la presenza di un elemento importante come la ‘fama di santità’ (riscontrabile anche nel flusso di fedeli alla tomba milanese). Per il momento non c’è stata comunque nessuna richiesta ufficiale all’arcidiocesi ambrosiana. 

    Presso la Camera italiana dei deputati è stato presentato il 23 febbraio l’agile saggio di Stefano Zamagni sull’avarizia, edito da Il Mulino. Tra i relatori il cardinale Georges Cottier, che ha condiviso gli elogi verso san Paolo e la sua “radicalità” in materia, espressi poco prima dall’ex-presidente della Camera Fausto Bertinotti: “Mai perdere la radicalità, non cedere a una delle odierne tentazioni”, ha detto il porporato svizzero. Il quale in gioventù ha studiato Marx (ma non l’ha seguito, a differenza del suo interlocutore): “Uno dei difetti di Marx – ha rilevato – è l’aver accettato una dialettica di tipo illuministico tra individuo e società, in cui l’individuo è di per sé innocente e la società invece responsabile di ogni male”. Tale dialettica – ha continuato il teologo emerito della Casa Pontificia – persiste, “ed è grave che ciò accada, poiché alimenta la deresponsabilizzazione dell’individuo”.   

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