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    FRANCESCO: PAROLE 'AFRICANE' COMPRESE QUELLE IN AEREO (CON QUALCHE NOTA)

    FRANCESCO: PAROLE ‘AFRICANE’ COMPRESE QUELLE IN AEREO (CON QUALCHE NOTA) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 30 novembre 2015

     

    Una scelta di alcuni tra i passi più significativi dei discorsi di papa Francesco in Kenya, Uganda e Centrafrica, oltre che delle risposte durante la conferenza-stampa in aereo verso Roma – Un viaggio difficile e coraggioso in Chiese di ‘periferia’  in cui Francesco ha riscosso  un grande successo popolare, non deludendo le attese di poveri e diseredati e promovendo un intenso dialogo interreligioso – Emblematica l’apertura della Porta Santa a Bangui, con un rito tanto intenso quanto essenziale.

     

    Incontro con le autorità del Kenya (Nairobi, 25 novembre 2015): Nell’opera di costruzione di un solido ordine democratico, di rafforzamento della coesione e dell’integrazione, della tolleranza e del rispetto per gli altri, il perseguimento del bene comune dev’essere un obiettivo primario. L’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione (NdR: L’esperienza dimostra non di rado qualcosa di diverso: a volte il terrorismo è alimentato dalla disperazione che nasce dalla povertà, ma sovente  – vedi quanto successo negli ultimi anni per il terrorismo islamista – è legato a un ‘credo’ intellettuale e feroce che non necessariamente è frutto della povertà) 

    Incontro ecumenico ed interreligioso (Nairobi, 26 novembre 2015): Il nostro rapporto ci sta mettendo davanti a delle sfide; ci pone degli interrogativi. Tuttavia il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso. Non è qualcosa di aggiuntivo o di opzionale, ma è essenziale, è qualcosa di cui il nostro mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno.

    Omelia della santa Messa nel campus dell’Università (Nairobi, 26 novembre 2015): La profezia di Isaia ci invita a guardare alle nostre famiglie e a renderci conto di quanto siano importanti nel piano di Dio. La società del Kenya è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini. La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità la fede nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione all’interno della società, ad accogliere i bambini come una benedizione per il nostro mondo e a difendere la dignità di ogni uomo e di ogni donna, poiché tutti noi siamo fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana.

    Discorso nel ‘quartiere povero’ di Kangemi/1(Nairobi, 27 novembre 2015): Ma prima di tutto vorrei soffermarmi su un aspetto che i discorsi di esclusione non riescono a riconoscere o sembrano ignorare. Voglio fare riferimento alla saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da “un’ostinata resistenza di ciò che è autentico” (Laudato sì, 112), da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato. Voi siete in grado di tessere “legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo” (ibid., 149). La cultura dei quartieri popolari, impregnati di questa particolare saggezza, “ha caratteristiche molto positive, che sono un contributo al tempo in cui viviamo, si esprime in valori come la solidarietà, dare la propria vita per l’altro, preferire la nascita alla morte; dare una sepoltura cristiana ai propri morti. Offrire un posto per i malati nella propria casa, condividere il pane con l’affamato: dove mangiano in 10 mangiano in 12, la pazienza e la forza d’animo di fronte alle grandi avversità, ecc…” (Gruppo di sacerdoti per le Zone di emergenza, Argentina, Reflexiones sobre la urbanizacion y la cultura villera, 2010). Valori che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro. Grazie per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile. (NdR: Non è un po’ tanto idillica questa descrizione, che sa molto di mito, del popolo di una ‘bidonville’, da cui molti – appena possono – scappano?) 

    Discorso nel ‘quartiere povero’ di Kangemi/ 2 (Nairobi, 27 novembre 2015): Queste realtà che ho elencato (Ndr: ad esempio la mancanza di accesso alle infrastrutture e ai servizi di base come l’acqua potabile) non sono una combinazione casuale di problemi isolati. Sono piuttosto una conseguenza di nuove forme di colonialismo, che pretende che i Paesi africani siano “pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco” (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Africa, 32-33). Non mancano, di fatto, pressioni affinchè si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità che pretende “legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare (Laudato sì, 50). (NdR:  a proposito di pressioni, forse sarebbe stato troppo almeno un accenno al ricatto oggi più diffuso – denunciato ripetutamente con forza dai vescovi africani - che mira all’introduzione dei cosiddetti ‘matrimoni gay’ in cambio di aiuti economici? 

    Incontro con i giovani allo stadio Kasarani/ Tribalismo (Nairobi, 27 novembre 2015): (il Papa risponde a domande poste da due giovani) Una sfida che ha menzionato Linette è quella del tribalismo. Il tribalismo distrugge una nazione; il tribalismo vuol dire tenere le mani nascoste dietro la schiena e avere una pietra in ciascuna mano per lanciarla contro l’altro. Il tribalismo si vince soltanto con l’orecchio, con il cuore e con la mano. Con l’orecchio, ascoltando: qual è la tua cultura? Perché sei così? perché la tua tribù ha questa abitudine, questa usanza? La tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore; e poi tendo la mano per continuare il dialogo. (…) Io vi voglio invitare adesso, tutti voi giovani, Linette e Manuel, a venire qui, a prenderci tutti per mano; ci alziamo in piedi e ci prendiamo per mano come segno contro il tribalismo.

    Incontro con i giovani allo stadio Kasarani/ Corruzione(Nairobi, 27 novembre 2015): Io ricordo che nella mia patria un giovane di 20-22 anni voleva dedicarsi alla politica; studiava, era entusiasta, andava da una parte all’altra… Ha trovato lavoro in un ministero. Un giorno ha dovuto decidere su quello che bisognava comprare; allora ha chiesto tre preventivi, li ha studiati e ha scelto il più economico. Poi è andato all’ufficio del capo perché lo firmasse. “Perché hai scelto questo?” “Perché bisogna scegliere il più conveniente per le finanze del Paese”. “No, no! Bisogna scegliere quelli che ti danno di più da metterti in tasca”, disse. Il giovane allora rispose al capo. “Io sono venuto a fare politica per aiutare la patria, per farla crescere”. E il capo gli rispose: “E io faccio politica per rubare!”. Questo è soltanto un esempio. Ma questo non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, compreso il Vaticano, ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. E’ come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile… e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Con tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese diventa diabetico! (NdR: certo la corruzione è diffusa, ma forse alle non poche mele bacate si contrappongono ancora tante mele sane…da non scoraggiare con generalizzazioni eccessive). 

    Incontro con i giovani allo stadio Kasarani/ Via Crucis (Nairobi, 27 novembre 2015): VI farò una confidenza…Avete fame? Sono le 12.00…No? Allora vi farò una confidenza. In tasca porto sempre due cose (le tira fuori dalla tasca e le mostra): un rosario, un rosario per pregare; e una cosa che sembra strana…Che cos’è questo? Questa è la storia del fallimento di Dio, è una Via Crucis, una piccola Via Crucis (mostra un astuccio che si apre e contiene delle piccole immagini): come Gesù ha sofferto da quando è stato condannato a morte, fino a quando è stato sepolto… E con queste due cose cerco di fare del mio meglio. Ma grazie a queste due cose non perdo la speranza. 

    Incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi (Kampala, 27 novembre 2015): Memoria significa fedeltà. E fedeltà che è possibile soltanto con la preghiera. Se un religioso, una religiosa o un sacerdote smette di pregare o prega poco, perché dice che ha molto lavoro, ha già incominciato a perdere la memoria, e ha già incominciato a perdere la fedeltà. Preghiera, che significa anche umiliazione, l’umiliazione di andare regolarmente dal confessore, a dirgli i propri peccati. Non si può zoppicare con entrambe le gambe. Noi religiosi, religiose e sacerdoti non possiamo condurre una doppia vita. Se sei peccatore, se sei peccatrice, chiedi perdono. Ma non tenere nascosto quello che Dio non vuole; non tenere nascosta la mancanza di fedeltà. Non chiudere nell’armadio la memoria.

    Incontro con le autorità e il Corpo diplomatico/Martiri (Entebbe, 27 novembre 2015): La mia visita si prefigge innanzitutto di commemorare il cinquantesimo anniversario della canonizzazione dei Martiri Ugandesi, avvenuta ad opera del mio predecessore, il papa Paolo VI. (…) I martiri, sia cattolici che anglicani, sono autentici eroi nazionali. Essi rendono testimonianza ai principi-guida espressi nel motto ugandese: Per Dio e per il mio Paese. Essi ci ricordano l’importanza che la fede, la rettitudine morale e l’impegno per il bene comune hanno rappresentato e continuano a rappresentare nella vita culturale, economica e politica di questo Paese. Essi inoltre ci ricordano, nonostante le nostre diverse credenze religiose e convinzioni, che tutti siamo chiamati a cercare la verità, a lavorare per la giustizia e la riconciliazione e a rispettarci, proteggerci ed aiutarci reciprocamente come membri dell’unica famiglia umana.

    Incontro con le autorità e il Corpo diplomatico/Rifugiati (Entebbe, 27 novembre 2015): Qui, nell’Africa orientale, l’Uganda ha mostrato un impegno eccezionale nell’accogliere i rifugiati, permettendo loro di ricostruire le loro esistenze nella sicurezza e facendo loro percepire la dignità che deriva dal guadagnarsi da vivere con un onesto lavoro. Il nostro mondo, segnato da guerre, violenze e diverse forme di ingiustizia, è testimone di un movimento migratorio di popoli senza precedenti. Il modo con cui affrontiamo tale fenomeno è una prova della nostra umanità, del nostro rispetto della dignità umana e, prima ancora, della nostra solidarietà con i fratelli e le sorelle nel bisogno.

    Incontro con le Comunità evangeliche (Bangui, 29 novembre 2015): Dio non fa differenze tra coloro che soffrono. Ho spesso chiamato questo l’ecumenismo del sangue. Tutte le nostre comunità soffrono indistintamente per l’ingiustizia e l’odio cieco che il demonio scatena. (…) Cari amici, la divisione dei cristiani è uno scandalo, perché è anzitutto contraria alla volontà del Signore. Essa è anche uno scandalo davanti a tanto odio e tanta violenza che lacerano l’umanità, davanti a tante contraddizioni che si innalzano davanti al Vangelo di Cristo.

    Apertura della Porta Santa (Bangui, 29 novembre 2015, immediatamente prima dell’apertura): Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo su questa terra. Una terra che soffre da diversi anni per la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, per i pesi che soffrono la guerra, chiediamo la pace! E tutti insieme chiediamo amore e pace. Tutti insieme! (i fedeli in coro: Amore e pace). E adesso con questa preghiera incominciamo l’Anno Santo, qui, in questa capitale spirituale del mondo, oggi!

    Omelia della santa Messa nella cattedrale di Bangui (Bangui, 29 novembre 2015): La salvezza di Dio attesa ha ugualmente il sapore dell’amore. (…) Dovunque, anche e soprattutto là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia e la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio che è amore. Incoraggiando i sacerdoti, le persone consacrate e i laici che, in questo Paese, vivono talvolta fino all’eroismo le virtù cristiane, io riconosco che la distanza che ci separa dall’ideale così esigente della testimonianza cristiana è a volte grande. (..) E’ dunque in mezzo a sconvolgimenti inauditi che Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla né davanti ai cieli sconvolti né davanti alla terra in fiamme né davanti al mare infuriati. Dio è più potente e più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forza del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore e di pace! A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace. 

    Incontro con la comunità musulmana (Bangui, 30 novembre 2015):  Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti, perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune.

    CONFERENZA-STAMPA SULL’AEREO NEL VOLO DI RITORNO DA BANGUI VERSO ROMA (30 novembre 2015) 

    Come deve essere la stampa che denuncia la corruzione? (riferimento al caso ‘Vatileaks 2’, trascrizione di Radio Vaticana):  La stampa libera, laica e anche confessionale, ma professionale, dirò, eh? Perché la professionalità della stampa può essere laica o confessionale: l’importante è che siano professionisti, davvero; che le notizie non vengano manipolate! Questo per me è importante, perché la denuncia delle ingiustizie, delle corruzioni, è un bel lavoro: ‘Lì c’è corruzione!’. E poi, il responsabile deve fare qualcosa, esprimere un giudizio … Ma la stampa professionale deve dire tutto, senza cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione – dire la metà e non dire l’altra metà -, la calunnia – la stampa non professionale, quando non c’è professionalità, sporca l’altro con verità o senza verità – e la diffamazione, che è dire cose che tolgono la fama di una persona con cose che in questo momento non fanno male a niente, forse cose del passato … E questi sono i tre difetti che attentano alla professionalità della stampa. Ma abbiamo bisogno di professionalità, il giusto: la cosa è così, la cosa è così, la cosa è così. E sulla corruzione, vedere bene i dati e dirli, sì: c’è corruzione qui, per questo, per questo, per questo … Poi, un giornalista che sia un professionista vero, se sbaglia chiede scusa: eh, credevo, ma poi mi sono accorto di no; e così le cose vanno benissimo. Eh, è molto importante!”.

    Un errore la nomina di mons. Vallejo Balda e di Francesca Immacolata Chaouquí nella commissione Cosea? (trascrizione di Radio Vaticana): Io credo che sia stato fatto un errore – ha risposto il Papa - Mons. Vallejo Balda è entrato per la carica che aveva e che l’ha avuta fino adesso. Lui era segretario della Prefettura degli Affari economici: lui è entrato. E poi, come è entrata lei, non sono sicuro ma credo di non sbagliare se dico – ma non sono sicuro – che sia stato lui a presentarla come una donna che conosceva il mondo dei rapporti commerciali. E così hanno lavorato; quando è finito il lavoro i membri di quella commissione che si chiamava Cosea sono rimasti in alcuni posti, in Vaticano. Vallejo Balda, lo stesso. E la signora Chaouqui non è rimasta in Vaticano perché è entrata per la Commissione e poi non è rimasta. Alcuni dicono che si è arrabbiata di questo, ma i giudici ci diranno la verità sulle intenzioni, come l’hanno fatto … Per me non è stata una sorpresa, non mi ha tolto il sonno perché propriamente hanno fatto vedere il lavoro che si è incominciato con la Commissione di Cardinali – il C9 – di cercare la corruzione e cose che non vanno. E qui voglio dire una cosa: niente Vallejo Balda e Chaouqui ma tutti, tutto. E poi torno, se Lei vuole. La parola “corruzione” – l’ha detta uno dei due kenyani (NdR: le prime domande sono venute da giornalisti del Kenya) – tredici giorni prima della morte di San Giovanni Paolo II, in quella Via Crucis, l’allora cardinale Ratzinger che guidava la Via Crucis, ha parlato delle “sporcizie della Chiesa”: ma lui ha denunciato quello! Il primo! Poi muore nell’ottava di Pasqua – questo è il Venerdì Santo – muore Papa Giovanni Paolo, è diventato Papa. Ma nella Messa “pro eligendo pontifice” – lui era decano – lui ha parlato dello stesso, e noi lo abbiamo eletto per questa libertà di dire le cose. E’ da quel tempo che c’è nell’aria del Vaticano che lì c’è corruzione: c’è corruzione. Su questo giudizio, io ho dato ai giudici le accuse concrete: perché quello che importa, per la difesa, è la formulazione delle accuse. Io non le ho lette, le accuse concrete, tecniche; io avrei voluto che questo finisse prima dell’8 dicembre, per l’Anno della Misericordia. Ma credo che non si potrà fare, perché io vorrei che tutti gli avvocati che difendono abbiano il tempo per difendere, che ci sia la libertà di difesa, tutta, no? E’ così. E come sono scelti, è tutta la storia. Ma la corruzione viene da lontano …”. Come procedere perché tali episodi di corruzione non si ripetano? Ma io ringrazio Dio che non ci sia Lucrezia Borgia! [si ride] Ma, non so, continuare con i cardinali, con la commissione a pulire. Eh? Grazie”. (NdR: povera Lucrezia Borgia! A quanto si sa, non aveva nulla della spregiudicatezza estrema e anche della malvagità di certe note figure femminili dei nostri tempi. Secondo le notizie storiche disponibili fu piuttosto una ragazza sfortunata, costretta a sposarsi due volte in giovanissima età; a Ferrara, poi, con il terzo marito, apparve come donna brillante, intelligente, protettrice degli artisti, anche - nella seconda parte della vita - donna pia dedita a pratiche di pietà e sollecita dei poveri).  

    Sull’intervento pubblico dei capi religiosi contro il fondamentalismo – “tanti” cattolici sono fondamentalisti (trascrizione di Radio Vaticana): “Se vuol dire fare politica no – ha risposto il Papa - Faccia il prete, il pastore, l’imam, il rabbino: questa è la sua vocazione. Ma si fa una politica indiretta, con la predica dei valori, dei valori veri, e uno dei valori più grandi è la fratellanza tra noi. Siamo tutti figli di Dio, abbiamo lo stesso Padre. E in questo senso, si deve fare una politica di unità, di riconciliazione … una parola che non mi piace, ma devo usarla: di ‘tolleranza’; ma non solo tolleranza: convivenza, amicizia! E’ così. Il fondamentalismo è una malattia che c’è in tutte le religioni. Noi cattolici ne abbiamo alcuni: non alcuni, tanti, eh?, che si credono con la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, con la diffamazione e fanno male: fanno male.(NdR: si noti il “tanti”). E questo lo dico perché è la mia Chiesa: anche noi, tutti! E si deve combattere. Il fondamentalismo religioso non è religioso. Perché? Perché manca Dio. E’ idolatrico, come è idolatrico il denaro. Fare politica nel senso di convincere questa gente che ha questa tendenza, è una politica che dobbiamo fare noi leader religiosi. Ma il fondamentalismo che finisce sempre in una tragedia o in reati, è una cosa cattiva ma viene in tutte le religioni un pezzetto”

    Africa, Aids, uso del preservativo (trascrizione di Radio Vaticana): .La domanda  mi sembra troppo piccola e mi sembra anche una domanda parziale. Si, è uno dei metodi e la morale della Chiesa si trova in questo punto davanti a una perplessità. E’ il quinto o è il sesto comandamento? Difendere la vita o che il rapporto sessuale sia aperto alla vita? Ma questo non è il problema. Il problema è più grande. Questa domanda mi fa pensare a quella che hanno fatto a Gesù, una volta: ‘Dimmi, Maestro, è lecito guarire di sabato?’. E’ obbligatorio guarire! Questa domanda se è lecito guarire così … ma la malnutrizione, lo sfruttamento delle persone, il lavoro schiavo, la mancanza di acqua potabile: quelli sono i problemi. Non parliamo se si può usare tale cerotto o tale altro per una piccola ferita. La grande ferita è l’ingiustizia sociale, l’ingiustizia dell’ambiente, l’ingiustizia che ho detto, dello sfruttamento e la malnutrizione. Quello è. A me non piace scendere a riflessioni così casistiche, quando la gente muore per mancanza di acqua e di fame, di habitat … Quando tutti saranno guariti o quando non ci saranno queste malattie tragiche che causa l’uomo, sia per ingiustizia sociale, sia per guadagnare più soldi: pensa al traffico delle armi; quando non ci saranno questi problemi, credo che si potrà fare una domanda: ‘E’ lecito guarire di sabato?’. Perché si continuano a fabbricare armi e trafficare le armi? Le guerre sono il motivo di mortalità più grande … Io direi di non pensare se è lecito o non è lecito guarire il sabato; io dirò all’umanità: fate giustizia, e quando tutti saranno guariti, quando non ci sarà ingiustizia in questo mondo, possiamo parlare del sabato”.

     

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