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    CARD. MARCHISANO: UNA FERITA LA VENDITA DELLE CHIESE

    INTERVISTA AL CARDINALE FRANCESCO MARCHISANO - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI DICEMBRE 2009 - DI GIUSEPPE RUSCONI

     

    Nell’intervista anche la grande amicizia già con il vescovo Karol Wojtyla, la valorizzazione dei Beni culturali della Chiesa come strumento di evangelizzazione, i tre decenni come catechista di bambine e bambini sordomuti, la sua ‘piemontesità’, il forte impegno ecumenico nel Consiglio mondiale delle Chiese

     

     

    Da circa cinque mesi il cardinale Francesco Marchisano, nato il 25 giugno 1929 e dunque ormai ultraottantenne, ha lasciato i suoi ultimi incarichi curiali, pur se si mantiene attivissimo rispondendo a inviti un po’ dappertutto.. Il primo incarico (aiutante di studio) l’aveva avuto dal cardinale Pizzardo che il 29 aprile 1956 l’aveva chiamato nel suo dicastero dell’Educazione cattolica (allora “Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi”). Lì divenne sottosegretario nel  1969, per vent’anni. Consacrato vescovo da Giovanni Paolo II nell’Epifania del 1989, il 3 maggio del 1993 fu nominato presidente della rinnovata “Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa”, di cui da quattro anni era segretario. Arciprete della Basilica di San Pietro (nonché Vicario generale per la Città del Vaticana e presidente della Fabbrica di San Pietro) dall’aprile 2002 fino all’ottobre 2006, ricevette la porpora cardinalizia il 21 ottobre 2003. Dal febbraio 2005 fino al 3 luglio di quest’anno è stato presidente dell’Ufficio del Lavoro della Santa Sede (Ulsa).

     

     Come si noterà, il porporato piemontese ha avuto la fortuna di conoscere vari ambiti della Curia Romana e, grazie al suo servizio nei settori dell’educazione e della cultura, molte personalità di tutto il mondo. Nell’intervista che ci ha rilasciato con molta cortesia nella sua casa a piazza San Calisto (strapiena di libri nonostante una buona fetta sia già partita verso la biblioteca comunale del suo amato comune d’origine, Racconigi), il cardinale Marchisano ci ha illustrato alcuni aspetti meno conosciuti, ma molto gratificanti della sua attività. Dopo l’esordio a proposito della prospettata eventualità di vendere una certa categoria di chiese (cui il porporato ha reagito con vivacità), il nostro interlocutore ha parlato dell’amore di Giovanni Paolo II per la cultura come strumento di evangelizzazione, della sua pluridecennale amicizia già con il vescovo Karol Wojtyla, dell’efficienza della Curia Romana, dell’amico cardinale Carlo Maria Martini, dei tre decenni di catechismo a bambine e bambini sordomuti, della sua ‘piemontesità’, del suo grande impegno in seno al Consiglio mondiale delle Chiese a Ginevra.

     

     

    Eminenza, Lei è stato per un quindicennio il motore della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa. In queste ultime settimane si discute molto dell’eventualità (prospettata in una conferenza-stampa il 26 novembre in Vaticano) che, nel caso in cui siano vuote di fedeli, di scarso o nullo valore artistico, di mantenimento oneroso per una diocesi, le chiese possano essere messe in vendita. Lei che pensa di tale eventualità?

     

    Nel tempo in cui sono stato, fino al 2003, presidente della Commissione, non si è mai sentito parlare della possibilità di vendere chiese, mai capitata una cosa del genere. Si è parlato di ristrutturazione di chiese, mai di una vendita. A tale proposito – e per  me ciò è sempre stato di grande consolazione – ho sempre potuto constatare quanto il popolo dei fedeli amasse la propria chiesa, addirittura i poveri più dei ricchi. Che cosa i fedeli non hanno fatto per restaurare la loro chiesa, per renderla più bella agli occhi degli altri, onorando il Signore, la Madonna, i Santi! Di demolire una chiesa per farne chissà cosa, ripeto, non avevo mai sentito parlare.

     

    Lei sa sicuramente, Eminenza, che la chiesa è anche un simbolo di identità. Lei sa quanto il popolo dei fedeli e anche dei cattolici ‘tiepidi’ sia legato alla chiesa come parte della propria storia personale; non c’è da meravigliarsi che al sentire che si potrebbero mettere in vendita le chiese, molti abbiano reagito come se fosse stata inferta una ferita profonda al loro stesso essere…

     

    Certamente è così. Dappertutto, nei settantasei Stati in cui ho viaggiato, ho potuto constatare l’amore e la disponibilità totale verso l’arte sacra e la decisione di creare una Pontificia Commissione ad hoc. Hanno tutti apprezzato che Roma avesse deciso di valorizzare maggiormente i beni culturali della Chiesa, tutelandoli, promuovendoli in tutto il mondo, finalizzati al culto divino.

     

    Ma perché, eminenza, Giovanni Paolo II nel 1988 ha voluto potenziare il settore dei beni culturali della Chiesa?

     

    Voleva far pervenire un messaggio di apprezzamento a tutti coloro che l’arte sacra da sempre custodivano e promuovevano con competenza e amore. E certificare davanti a tutti il sigillo del Papa all’importanza dei beni culturali della Chiesa per la stessa pastorale, per la stessa catechesi. Tutto questo ha prodotto un effetto molto positivo sul morale degli ‘addetti ai lavori’, a volte poco riconosciuti nel loro impegno in favore dell’arte sacro.

     

    Eminenza, da cinque mesi Lei è ‘in pensione’, dopo aver servito la Chiesa in ambito curiale per non meno di 53 anni, da quel 19 aprile 1956 quando fu chiamato dal cardinale Pizzardo per lavorare nell’ambito dell’educazione cattolica. Che ha fatto da luglio in avanti?

     

    Guardi, mi sono dovuto mettere a disposizione di tutti quelli che richiedevano la mia presenza per tale o tal altro avvenimento. Veda qui la mia agenda, non mancano gli appuntamenti! Ma Lei ha fatto questo… venga a parlarci, venga a visitare.. Qualche volta vado, altre volte devo rinunciare a causa della lunghezza del viaggio. Il 20 dicembre ad esempio dovrei andare a Pescara, poiché lì hanno costruito un ponte intitolato a Giovanni Paolo II: Lei ha conosciuto bene papa Wojtyla, Lei… Potevo dire di no? Insomma, faccio un lavoro non ufficiale, ma è una doverosa risposta a chi chiede che un cardinale parli delle sue esperienze nella Chiesa universale.

     

    Giovanni Paolo II… Lei attenderà con ansia gioiosa la beatificazione di papa Wojtyla, che un giorno le accarezzò il collo laddove era il segno dell’operazione alla carotide…e Lei a poco a poco riprese a parlare…

     

    Ho avuto la grande fortuna di conoscere Karol Wojtyla. Una fortuna… Chiamato inaspettatamente dal card. Pizzardo e così ‘bloccato’ a Roma dal 1956, mi avevano affidato presso il dicastero dell’Educazione cattolica il settore dei seminari delle nazioni di lingua tedesca, inglese e dei Paesi d’oltrecortina. Qualche giorno prima dell’inizio del Concilio viene da me il rettore del Collegio polacco, che mi chiede di incontrare i vescovi polacchi per parlare dell’attualità: non sapevano quasi nulla, ad eccezione del vescovo Wojtyla. Ho parlato un’ora e venti minuti; alla fine tutti i vescovi si sono messi in fila per ringraziarmi. L’ultimo era proprio il giovane Wojtyla, ausiliare di Cracovia: Io La ringrazio, poiché ho capito tutto quello che ha detto. E, se l’ho capito io, l’hanno capito tutti!Lei sa farsi capire… possiamo vederci qualche altra volta? Il futuro Papa venne da me all’Educazione cattolica una cinquantina di volte, lo invitai a casa mia in tante occasioni, mi invitò in Polonia a più riprese. 

     

    E quando divenne Giovanni Paolo II?

     

    Senta, con alcuni del Seminario Lombardo eravamo in San Pietro durante i novendiali dopo la morte di Giovanni Paolo I. A conclusione del rito, ecco la processione dei cardinali che andavano a rivestirsi all’inizio della Basilica. Vedo un cardinale che viene verso di me: era il cardinale Wojtyla. Sono contento di vederLa… Eminenza, io sono contento di vedere Lei, perché non si sa mai quel che potrebbe capitare… Ma per carità! Chi pensa a me? Stia tranquillo… non capiterà mai!

     

    Da Papa Karol Wojtyla ha continuato a incontrarLa?

     

    Parecchie volte mi ha invitato la sera, da solo, perché voleva conversare con me su determinati argomenti. Dopo la conversazione ‘ufficiale’, mi voleva a cena, dove parlavamo di tante cose. Mi auguro proprio che venga presto beatificato!

     

    Lei ha conosciuto la Curia Romana nel 1956. V’è restato per 53 anni. Quanto è cambiata da allora?

     

    E’ cambiata prima di tutto con l’aumento degli uffici. E’ il Concilio che ha evidenziato la necessità di un miglior servizio amministrativo alla Chiesa.

     

    La Curia ha migliorato la propria efficienza?

     

    Durante il Concilio i vescovi partecipanti di tutto il mondo hanno potuto conoscere meglio la Curia romana. Gli scambi si sono intensificati, oggi poi è più agevole spostarsi; e in Curia è più facile far presente il proprio punto di vista su argomenti particolari. Molto dipende anche dalla personalità di chi dirige i dicasteri; per la conoscenza che ne ho, mi sento di osservare che in genere si tratta di persone ben disposte al colloquio, all’ascolto, al consiglio. Direi in sintesi che in Curia si è registrato sì uno sviluppo quantitativo di uffici, ma anche qualitativo nelle persone responsabili del servizio.

     

    Però nell’opinione pubblica la Curia continua presso molti ad essere considerata come il volto burocratico della Chiesa… e questo non in un’accezione molto positiva!

     

    Non mi stupisco di questo. La natura umana è quella che è. Come si critica il governo, parallelamente si critica la Chiesa nelle sue strutture amministrative… Però è innegabile che ci si può rivolgere alla Curia più di un tempo e più di un tempo si trova ascolto.

     

    In questi 53 anni di Curia romana, quanto ha conservato della sua piemontesità, della sua identità sabauda visto che Lei viene da Racconigi?

     

     …dove c’è il bel castello reale. Dirò qualcosa che a qualcuno non piacerà. In Piemonte si lavora tanto. Ho lavorato anch’io tanto. Il Signore non potrà rimproverarmi di essere stato pigro, nonostante i miei tanti guai di salute. Noi siamo fatti così, è nella nostra natura: se si deve fare un lavoro, si fa e non si perde tempo in chiacchiere.

     

    Restiamo al Piemonte. Tra i confratelli più o meno coetanei ce n’è uno molto conosciuto, il cardinale Carlo Maria Martini…

     

    Adesso ho meno rapporti, ma ne ho avuto tanti per decenni. E’ un uomo straordinario, una persona di eccezionale sensibilità. L’ho conosciuto come rettore del Pontificio Istituto Biblico; l’ho incontrato spesso da arcivescovo di Milano. Gli auguro lunga vita. Ciò che sta scrivendo ancora in questi mesi conferma la statura dell’uomo, la vivacità del suo ingegno, la carità che lo anima.

     

    Eminenza, tra i momenti più importanti della Sua vita i 32 anni di catechismo ai bambini sordomuti…

     

    E’ stato così. Nel 1957 il rettore del Seminario Lombardo mi disse della telefonata di una suora che chiedeva un sacerdote per la messa della domenica nel suo istituto in via Nomentana. Ci sono andato, c’erano 300 ragazze e ragazzi sordomuti. Lì ho fatto la colazione più povera della mia vita, con un cucchiaio di latte e un pezzettino di pane. La suora mi ha detto che l’istituto non aveva mezzi, non c’erano soldi per pagare i catechisti, mi ha chiesto di rimanere a fare catechismo. Ho incominciato col dire che ci sarei andato fino a quando non avessero trovato qualcun altro… poi ci sono rimasto per 32 anni!

     

    Che cosa ricorda di quell’esperienza certo poco comune, ma pensiamo molto ricca sotto l’aspetto umano?

     

    Ho trovato bambini e bambine meravigliosi. Andavo all’istituto quattro pomeriggi la settimana, oltre la domenica per i riti religiosi: finii per sentirmi fratello di tutti quei ragazzi. Ho dovuto imparare due lingue diverse con i segni: una per comunicare con i bambini, l’altra con le bambine. Tanti sono i momenti che ricordo con emozione. Anche curiosi. Ad esempio un anno era stato allestito secondo tradizione un bel presepe. Vedo due bambine lì vicino che chiacchierano intensamente. Non riuscivo ancora a decifrare bene le parole. Chiedo che cosa dicono. Mi domandano allora se Gesù Bambino è un maschio. Ma allora perché non ha i pantaloni e indossa invece una veste da donna lunga fino ai piedi? Per me quel servizio è stato pesante, ma molto gratificante. Ad esempio c’erano decine di ragazzi e ragazze che si riunivano spontaneamente ogni settimana per decidere il sacrificio, il fioretto da fare così da poter aiutare i bambini in Africa. Ho sempre ascoltato i miei alunni e da loro sono sempre stato ben accolto.

     

    Un’altra Sua esperienza molto significativa è stata la Sua partecipazione ai lavori del Consiglio mondiale delle Chiese a Ginevra…

     

    Il cardinale Bea aveva chiesto al mio superiore all’Educazione cattolica, cardinale Garrone, una persona che rappresentasse il Vaticano presso il Consiglio mondiale delle Chiese. Aveva suggerito il mio nome e così fu. Quell’esperienza per me è stata fondamentale, bellissima. Nel Consiglio ho trovato persone che mi hanno molto arricchito umanamente; sono convinto che nell’ambito ecumenico si potrebbero raggiungere risultati ancora migliori. E’ innegabile però che i progressi sulla via ecumenica sono stati enormi in questi decenni, nonostante tutto. Dobbiamo riconoscere che nella grande famiglia umana siamo tutti fratelli, siamo una grande comunità: ogni tanto i fratelli bisticciano, poi fanno la pace. Le mie esperienze con gli altri membri del Consiglio mondiale delle Chiese sono molto significative di questo fatto. Sono ancora in contatto con alcuni, a distanza di tanti anni. Del resto sono ancora membro del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, presieduto con grande competenza dal cardinale Kasper. Tanti gli episodi di fraternità che meriterebbero di essere ricordati. Ad esempio una volta, nell’ambito dei viaggi annuali, dovevamo andare in Giappone. Lo scalo intermedio era a Calcutta, dove c’era madre Teresa. Siamo stati a trovarla, abbiamo constatato come madre Teresa raccogliesse con amore intenso e tenace attorno a sé i derelitti. Una signora del nostro gruppo fu tanto impressionata che decise di restare a Calcutta per collaborare con madre Teresa. E’ ancora lì e prosegue la grande opera avviata dalla piccola suora albanese, di cui mi auguro venga presto riconosciuta la santità.     

     

    P.S. In questo stesso sito anche: "Intervista al cardinal Francesco Marchisano su papa Wojtyla", rubrica Interviste a cardinali, apparsa su "Il Consulente Re online" del febbraio 2011

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